Polanski e i César 2020 : è giusto separare l’uomo dall’artista?

ECCO PERCHÈ L'ARTE NON ESONERA UN UOMO DAI REATI COMMESSI

 

Il 28 febbraio scorso, il mondo del cinema è stato scosso dalla vittoria di Roman Polanski come miglior regista per il lungometraggio ‘J’accuse‘ (L’ufficiale e la spia), in occasione dei Premi César 2020, la versione francese dei David di Donatello. Non appena il cineasta è stato proclamato vincitore, varie persone hanno infatti abbandonato la sala, contrariate dall’accaduto. Tra queste, anche l’attrice Adèle Haenel, che lasciando il luogo della premiazione ha fatto commenti sarcastici in merito al regista. Non a caso, a seguito dell’assegnazione del riconoscimento, il mondo del cinema si è diviso il due: c’è chi ha da subito preso le difese di Polanski valutandone esclusivamente il talento artistico e chi al contrario ha ritenuto opportuno separare l’uomo dall’artista.

Perché questa vittoria ha avuto tali conseguenze? Ebbene, Polanski ormai da anni fa parlare di sé, dal momento che nel 1977 venne accusato, a Los Angeles, di violenza sessuale, con annesso l’utilizzo di sostanze stupefacenti, nei confronti dell’allora tredicenne Samantha Geimer. L’avvocato difensore della ragazza, al fine di evitarle una deposizione pubblica davanti al tribunale in un processo fortemente esposto mediaticamente, propose un patteggiamento, attraverso cui l’accusa a Polanski si ridusse al semplice rapporto non lecito con una minorenne, facendo cadere di fatto l’accusa di stupro. Per il regista venne disposta una perizia psichiatrica, in attesa della quale egli fu incarcerato a Chino, in California. Dopo soli 42 giorni, a fronte dei 90 previsti inizialmente, Polanski fu rilasciato sulla base di una valutazione che richiedeva una pena detentiva con la condizionale. Non appena emerse che il giudice non avrebbe accolto tale richiesta, il regista scappò in un primo momento a Londra, per poi rifugiarsi a Parigi, dove, grazie alla sua doppia cittadinanza franco-polacca, non sarebbe potuto essere estradato.

Da allora egli evita l’ingresso negli Stati Uniti o in qualsiasi altro Stato in cui sarebbe possibile l’estradizione ma, nonostante questo, nel corso degli anni non sono mancati ulteriori sviluppi alla sua vicenda giudiziaria. Quando nel 2009 si recò ad esempio in Svizzera per ricevere un premio alla carriera al Zurigo Film Festival, egli venne immediatamente arrestato in aeroporto a seguito di una richiesta proveniente dalle autorità statunitensi. Ma, conseguentemente, partì anche una petizione atta a farlo rilasciare, firmata tra gli altri anche dal noto produttore Harvey Weinstein, protagonista dei recenti scandali legati al movimento #Metoo, nonchè da numerosissime altre star americane e francesi.

Nel 2008 inoltre Samantha dichiarò di voler chiudere la faccenda, senza negare i fatti, ma ritenendo che il regista avesse già pagato abbastanza. Questa assoluzione da parte della vittima è spesso stata usata come un elemento in sua difesa, ma è importante sottolineare che l’uomo è tutt’ora sotto inchiesta secondo la giustizia americana, dal momento che uno stupro su una minorenne è un atto punito dalla legge secondo le modalità stabilite dal tribunale. L’assoluzione personale della vittima non discolpa insomma in alcun modo i fatti compiuti dall’imputato e non ha alcuna validità rispetto alla pena da scontare.

La denuncia della Gainer non è stata la sola rivolta al regista. Durante i decenni sono infatti emerse ulteriori accuse nei suoi confronti, tra cui quella della sua ex moglie Valentine Monnier, che nel 2019 ha affermato di essere stata violentata dall’uomo nel 1975, all’età di 18 anni. Come viene spiegato da un interessante articolo pubblicato su rollingstones.it , altre 3 donne hanno denunciato l’uomo. Tra queste troviamo l’attrice britannica Charlotte Lewis, che nel 2010 ha dichiarato di essere stata stuprata da Polanski a Parigi nel 1983, ma dopo le accuse non ha proseguito, e anni dopo, nell’agosto del 2017, colei che si è presentata come Robin M. ha sostenuto di essere stata aggredita in California nel 1973, quando aveva 16 anni. L’ultima a denunciare il regista è stata Renate Langer, donna tedesca di 61 anni, che ha dichiarato di essere stuprata ben due volte da Polanski (una volta a casa dello stesso e l’altra a Roma), all’età di 15 anni. In tutta risposta il cineasta, nel maggio del 2018, si è scagliato contro il movimento femminista #MeToo (movimento contro molestie sessuali e violenza sulle donne), definendolo un’isteria collettiva, nonchè un’ipocrisia.

Di conseguenza, data la sua turbolenta vicenda giudiziaria, la sua vittoria ha fatto sì che si creassero due fazioni: da una parte coloro che ritengono sia stato giusto premiare il suo film valutandone unicamente la valenza artistica, dall’altra coloro che condannano il regista e ritengono inaccettabile una sua celebrazione.
Per esempio, tra i primi vi è Alain Terzian, presidente dell’Académie, che ha respinto le polemiche affermando: “Il César non è un’istanza che deve assumere posizioni morali. Se non sbaglio 1,5 milioni di francesi sono andati a vedere il film. Andate a chiedere a loro” oppure Swann Arlaud, vincitore del premio come miglior attore non protagonista per la sua performance nel film “Grazie a Dio”, che si è espresso dicendo : “Noi artisti non siamo dei giudici, mi sembra un po’ disonesto separare l’uomo dall’ artista”.

Tra gli oppositori troviamo invece Rose McGowan, importante figura del movimento #MeToo, che ha dichiarato di ritenere Polański un aggressore sessuale tra gli altri, ma famoso e influente. Ed è proprio questa affermazione che probabilmente evidenzia la negatività dell’accaduto: il fatto che lui abbia potuto evitare la condanna è attribuibile anche e sopratutto grazie al potere derivatogli dalla sua fama. Ciò significa che la distinzione tra uomo e artista, nel suo caso, non è stata poi così valida di fronte alla legge, tanto che ancora oggi è a piede libero.

Di fatto, come si accennava prima, nel bel mezzo dell’assegnazione del riconoscimento, l’attrice Adele Haenel si è alzata dal suo posto, sconvolta dalla vittoria di Polanski. Uscendo ha poi esclamato: “Vergogna”, per poi aggiungere : “Viva il pedofilo, che bravo il pedofilo”. É importante evidenziare il fatto questo non sia stato un assoluto colpo di scena, poiché già nei giorni precedenti all’evento, in un’ intervista al New York Times, l’attrice si mostrò contrariata alla celebrazione del cineasta tanto da dichiarare: “Premiare Polanski sarebbe sputare sul volto di tutte le vittime, vorrebbe dire che non è poi così grave violentare le donne”. L’atto di coraggio che l’ha portata ad allontanarsi dalla sala, assume ancora più rilevanza vista la sua storia di vittima di abusi. Di fatto, la Haenel tempo fa ha denunciato di essere stata vittima di molestie sessuali dai 12 ai 15 anni da parte del regista Christophe Ruggia. 

Quindi, verrebbe da chiedersi, la biografia di un artista è utile per capire la sua opera? Lo stesso Polanski, in risposta alle polemiche ricevute all’ultima mostra di Venezia (la presidente di giuria Lucrecia Martel dichiarò esplicitamente di non voler separare l’uomo dall’artista, mostrandosi contraria alla presenza del suo film in concorso), ha affermato di aver girato “J’accuse” perchè da anni ormai si sente giudicato ingiustamente proprio come il protagonista della pellicola, Alfred Dreyfus, il capitano dello stato maggiore francese ebreo condannato per alto tradimento a causa di false accuse.

Un paragone fin troppo esplicito, che ha portato l’uscita stessa del film in Francia ad essere contestata e addirittura annullata in città come Parigi e Rennes (in seguito a delle proteste femministe). Anche le nomination ottenute dal film ai César avevano già agitato gli animi, tanto che l’intero consiglio direttivo ha deciso di dimettersi e il regista ha dichiarato che non avrebbe partecipato alla serata temendo per la sua sicurezza. Come riporta corrieredellasera, anche il ministro francese della cultura Franck Riester, prima della serata, aveva dichiarato che: “Premiare ”J’accuse” come miglior film sarebbe comprensibile, meno accettabile invece premiare Polanski come miglior regista”.

Insomma, sebbene le accuse nei confronti del regista non facciano riferimento a fatti accaduti recentemente, ciò non toglie che un premio del genere doni un valore simbolico al ricevente e che quindi possa essere visto come un gesto irrispettoso nei confronti di tutte le donne che hanno avuto il coraggio di denunciare. Ricompensare ad una cerimonia di importanza internazionale un uomo che ha approfittato della libertà fuggendo dalla legge, può solo contribuire a legittimarne le azioni, tanto da arrivare a sfiorare un’imbecillità sociale.

 

di Krizia Loparco

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