Giovani medici contro il Covid-19: ecco Elena, Enrico e Michele

APPENA ABILITATI ALLA PROFESSIONE, RACCONTANO LA LORO ESPERIENZA PER FAR FRONTE ALL'EMERGENZA


“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità i cui fini sono la tutela della salute e della vita”.

Giuramento di Ippocrate e ogni medico, all’inizio della sua carriera, è tenuto a farlo. Per garantire alla popolazione e a tutte le persone che andrà a curare il massimo impegno nelle sue mansioni. Inizia così anche un articolo de il Giornale sulla situazione Coronavirus. Un articolo che riporta uno strano episodio avvenuto a Napoli“Compensi troppo bassi, rischi troppo grossi”. Così degli specializzandi, medici appena laureati e già a servizio della comunità, chiamati all’appello contro l’emergenza Coronavirus, hanno giustificato il loro rifiuto di contribuire alla lota contro la crisi sanitaria. Ignorando la frase del giuramento di Ippocrate che chiede a loro di mettersi a disposizione in caso di pubblica calamità.

Ma la situazione non è così ovunque. Dopo l’appello nazionale dell’ingaggio di 300 medici nelle regioni più colpite hanno risposto alla domanda più di 8mila medici. In migliaia sono pronti a rispondere al giuramento d’Ippocrate e a correre in corsia con mascherina e tuta protettiva. Dopo aver parlato di tre giovani infermieri oggi approfondiamo l’esperienza di tre giovani medici che stanno affrontando l’emergenza Covid-19.

Il primo a parlare è Michele Andreoli, giovane dottore di 27 anni, che ha iniziato a lavorare all’ospedale di Oglio Po come medico di reparto e si occupa della gestione dei pazienti. “In ospedale vi è la carenza di personale anche perché molti medici si sono ammalati e il personale è scarso. Anche se non sono ancora specialista cerco di dare il mio contributo in questa grave situazione”. Un giovane medico di Parma che non si è tirato indietro quando è stato il momento di affrontare questa gravissima situazione. “La cosa più difficile è la gestione umana. Ci sentiamo proprio impotenti verso la malattia stessa, perché ci sentiamo deboli e non vi sono terapie efficaci al 100% nei confronti di questa malattia. Serve molto ossigeno. Quando entrano in reparto la loro storia è già scritta. I pazienti sono consapevoli di essere in gravi condizioni e dell’aggravarsi della situazione”.

Poi parla della loro chiamata al lavoro: non c’è un rifiuto anzi c’è un’ottima risposta. “Siamo tutti stanchissimi ed emotivamente provati ma non molliamo un attimo: medici ed infermieri in prima linea”. Il clima di collaborazione tra il personale è ottimo, spiega, evidenziando che in un clima di stretta unione si lavori meglio. “Il rifiuto dei colleghi di Napoli non è un problema economico, ma un problema di tutele, come i DPI (dispositivi di protezione individuale, ad esempio la mascherina) e non affatto legato ai soldi. Bisogna solo tutelarsi, li capisco fortemente questi specializzandi. Poi voglio ricordare una cosa, è vero che il giuramento di Ippocrate impone di mettersi a disposizione della collettività ma con le giuste tutele come l’assicurazione e la garanzia del lavoro e delle protezioni personali”. Michele infatti fa riferimento un articolo de la Repubblica di Napoli e sottolinea che la situazione può essere stata male interpretata da alcuni quotidiani. Conclude però con una frase che vuole sottolineare che l’impegno non deve essere ostacolato da una mala amministrazione delle loro professionalità: “Quando tutto ciò sarà finito, la sanità e i politici si ricorderanno di tutto quello che stiamo facendo, che vi è carenza di medici, infermieri, mancanza di borse di specializzazione, si ricorderanno di tutto quello che abbiamo fatto e daranno valore al nostro lavoro?”.

Elena Antelmi, anch’essa dottoressa non specializzata e molto giovane (25 anni), spiega che è pronta a mettersi alla prova. Già attiva come volontaria in Croce Rossa, presto sarà chiamata sul campo: “Se mi chiamano vado, anzi mi hanno già chiamata, sto valutando dei bandi e dei colloqui di lavoro. Le mie conoscenze, seppure senza molta esperienza, possono essere un prezioso aiuto. Continuerò come volontaria in Croce Rossa perché anche lì mi sento utile”. Racconta poi dell’abilitazione: “Mi sono laureata a luglio e ho fatto dei tirocini per l’abilitazione. L’esame finale era solo una formalità, una prova che attestasse l’impegno che però abbiamo dimostrato nei tirocini. Per l’emergenza Covid è stata abilitata d’ufficio. Io ero pronta ad essere abilitata perché in questo momento ci sono tante possibilità di aiutare a fronteggiare l’emergenza. Il nostro contributo può essere prezioso. Abilitarsi dopo la laurea la vedo come una cosa positiva. La valutazione sui tirocini post-laurea rimane la cosa fondamentale – e conclude  specializzandi e neolaureati possono essere d’aiuto, possiamo e siamo d’aiuto in questo momento nei reparti Covid”.

A parlare è anche Enrico Bondi, anch’esso giovane medico non specializzato, ma già in campo contro il Coronavirus. Enrico è una testimonianza importante perché sta facendo il MET (Medico di emergenza-urgenza territoriale) e anche se non specializzato è costantemente al servizio della comunità. Non ha rifiutato la chiamata al servizio, anzi. “Io sto facendo la guardia medica nel distretto sud est della provincia e il medico di urgenza (dopo il corso MET) sulla nuova automedica entrata in servizio da poco a Lagrimone e sulla Langhirano 30, nonché presso la Croce Rossa di Parma. Su 31 giorni a marzo ho fatto solo 4 notti a casa. È una situazione molto critica- e riguardo le sue mansioni aggiunge – tanti pazienti, molti invii domiciliari a valutare le persone affette da Coronavirus. I casi sospetti: tantissimi anziani sono spesso in una situazione critica. Mi hanno colpito molto delle visite che ho fatto: tanti anziani che non vogliono farsi trasportare e non ammettono di stare male e tantissimi giovani, al contrario, chiamano presi dal panico. Moltissime sono le chiamate. È incessante la necessità di un medico. La cosa fondamentale è la nostra sicurezza: dobbiamo essere sicuri per poter intervenire su gravi situazioni. Dobbiamo essere sempre pronti e attenti. Sforzi impegnativi per noi giovani medici, impegnativi per tutti in questa grave situazione”.

Le testimonianze potrebbero essere ancora tante, tantissime. I giovani medici, anche se non specializzandi non si fermano. Anzi. Si impegnano costantemente per l’emergenza Covid. Non hanno grandi richieste, ma una in primis: la loro sicurezza. La sicurezza nell’intervenire sui tanti servizi, sulle tante casistiche a loro richieste, sui tanti servizi che sono chiamati a coprire. È quindi chiaro che i giovani medici non dicono ‘No’, ma vogliono sicurezza: non solo a Parma, ma in tutta Italia sono migliaia, pronti ad entrare in campo, pronti a fare il loro dovere.

di Nicolò Bertolini

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