Il Covid-19 può rilanciare la politica o è un’illusione?

SCENARI, RISCHI E FIGURE DEL POSSIBILE PANORAMA POLITICO DOPO L'EMERGENZA

Il Covid-19 sembra essere lo ‘spartiacque’ della contemporaneità. Abbiamo già parlato degli scenari economici che potrebbero avverarsi dopo l’emergenza; ora vediamo, sempre grazie l’intervento di esperti, quali potrebbero essere le prospettive future della politica internazionale.

IN ITALIA SI PUO PARLARE DI RISCHIO ANTIDEMOCRATICO? – L’attuale stato d’emergenza ha richiesto, in Italia così come in altri paesi, l’espansione dei poteri dello Stato, con limitazioni delle libertà personali, nonché una severa sorveglianza grazie all’uso di alte tecnologie e, in alcuni casi, dei dati biometrici. Ma non ci sarà il rischio di una deriva anti-democratica? “Credo che nonostante le limitazioni evidenti del nostro stile di vita e delle nostre libertà, ciò non rappresenti un vero e proprio ‘stato d’eccezione’, ma piuttosto occorra parlare di uno ‘stato d’emergenza’, per altro invocato dal basso (dalla società) e dalla nazione, non imposto dai ‘poteri forti’. Qui sta la differenza fondamentale. Per una volta la salute ha il primato sull’economia”, sostiene Marco Baldassarri, direttore del Collegio europeo di Parma.

Ma quindi abbiamo la certezza che, passata l’epidemia, le autorità italiane rinunceranno ai poteri acquisiti? “In questa fase l’unità politica non deve essere messa in discussione. Non critico quindi l’uso della decretazione d’urgenza. Non è escluso che, se la situazione economica dell’Italia dovesse precipitare, si possa ricorrere successivamente ad un Governo in cui una figura tecnica traghetti il Paese verso una qualche forma di commissariamento (non proprio uno scenario pienamente democratico)”, sostiene il direttore del Collegio europeo.

Questa ‘invocazione dal basso’ di cui parla il professor Marco Baldassarri, altro non è che il frutto di un sentimento di ansia e di paura generato dalla diffusione del virus. Questi timori, infatti, non hanno fatto altro che alimentare lo spirito patriottico degli italiani, convincendo i molti ad aderire con convinzione alle misure contenitive adottate dal Governo. Ma superata l’emergenza, è plausibile pensare che nelle persone permanga questo sentimento di paura?

Professor Sergio Manghi, Unipr

A rispondere è  Sergio Manghi, professore di sociologia delle emozioni collettive dell’Università di Parma: “Parto da una premessa piuttosto diversa: non mi sembra affatto che il popolo italiano si sia scoperto oggi impaurito al punto da mostrarsi disponibile a essere governato secondo criteri non democratici. Che cos’era, il Governo gialloverde, se non una risposta in chiave nazionalista, anti-europeista e antidemocratica alle crescenti paure collettive di impoverimento progressivo? Paure che avevano alimentato risentimenti di massa elettoralmente maggioritari rivolti verso il basso (migranti e chi li aiutava) e vero l’alto (le cosiddette élite e la maledetta Europa) ?”.

In altre parole, quello che sostiene il professore è che “la libera e diffusa accettazione di massa delle attuali misure di limitazione delle libertà porta in sé sia la venatura dell’antica attitudine gregaria ad affidarsi agli uomini della provvidenza, sia l’attitudine democratico-solidale a farsi carico del benessere degli altri”.

NUOVI ‘EROI’ NAZIONALI: IL CASO CONTE – Come si è detto, in una situazione generalizzata di ansia e percezione del pericolo, la gente si mostra più patriottica e preoccupata per il futuro del proprio Paese, ma soprattutto accetta anche i sacrifici più duri. Infatti, la solidarietà, la partecipazione e la compostezza con cui gli italiani – la maggior parte almeno – stanno gestendo la situazione è encomiabile. Questo perchè, la gente ha bisogno di sentirsi rassicurata, gratificata per quello che fa, e protetta.

Proprio per questo si assiste a un aumento dei consensi nei confronti dei leader politici: “Si percepisce l’esigenza di un’affermazione del pubblico e quindi di un maggior protagonismo della politica nazionale. – sostiene Baldassarri – Stiamo assistendo ad un ritorno dello Stato dopo trent’anni in cui ci era stato detto che il problema era quello di non governare troppo e che i mercati globalizzati avrebbero portato a un benessere diffuso. Questa richiesta di protezione porta ad una riaffermazione della dimensione nazionale e quindi anche a riporre maggiori aspettative nei politici nazionali, spesso illusorie”.

Un esempio di tutto ciò è il premier Conte. “Un outsider, senza una vera carriera politica alle spalle, senza un partito, che ha dato prova di tenacia e di saper gestire prima il difficile cambio di maggioranza, durante la crisi politica della scorsa estate, e ora una crisi sanitaria ed economica senza precedenti” continua il direttore del Collegio europeo di Parma. In effetti, spiega, è stato bravo a mostrare fermezza sul tavolo delle trattative in seno all’Eurogruppo, posticipando la sua firma, insistendo sui Coronabond e giocando astutamente le sue carte con l’opposizione. Ha fatto passare Salvini e Meloni come ostacoli per la negoziazione con Bruxelles, richiamando all’unità nazionale e, così facendo, guadagnando consenso.  “Gli italiani ora stanno guardando ad un solo nemico: il virus, lo spazio dell’opposizione politica è fortemente ridimensionato. Ma il tasso di gradimento dei leader politici è molto volatile e umorale, riflette la fluidità di una società sempre più frammentata e destrutturata, in cui i corpi intermedi e i partiti non fanno più da tessuto connettivo. Quando il confronto si riaprirà, se Conte non sarà riuscito a portare a casa un accordo europeo vero, sostanziale, ne uscirà fortemente indebolito”, avverte Baldassarri.

COLPE DELL’EUROPA E SOLUZIONI DI RIPRESA- I problemi italiani sono e saranno strettamente collegati a quelli europei. “Si sente sempre parlare di ‘ultima occasione’ per l’Europa, – continua Baldassarri – dando per scontato che la crisi offra l’opportunità per rilanciare il processo d’integrazione. Questo meccanismo detto ‘spill over’ si è ormai inceppato da tempo. Certamente gli stati e i governi nazionali hanno le loro responsabilità, ma la reazione dell’UE all’emergenza è stata scomposta e inefficace“.

Un’Unione Europea che, magari non si disintegrerà, ma dovrà cambiare radicalmente per fronteggiare le sfide della storia. E la chiave di svolta potrebbero essere nuove relazioni economico-commerciali con la Cina e la Russia che, nonostante il rallentamento causato dal virus, sono in forte ascesa. “Personalmente credo che uscire dal ‘Secolo americano’ possa aprire la possibilità ad un mondo multipolare, composto di spazi macroregionali per i quali occorre trovare un equilibrio e un nuovo ordine. La globalizzazione ha fallito e ha portato caos. L’Europa, che ha ormai perso la sua centralità politica da tempo, deve riacquistare un suo ruolo regionale in questo pluriverso, a partire dalla sua sfera di influenza che è il nord Africa e il Medio Oriente. Non dimentichiamoci che la nostra più grande sfida rimane quella migratoria e come gestirne i flussi”, conclude Baldassarri.

COSA SUCCEDE FUORI DALL’EUROZONA? – In alcuni paesi dove si stanno adottando misure restrittive per contenere l’emergenza sanitaria alcuni eventi fanno preoccupare. In Israele, un decreto d’emergenza di Netanyahu ha rinviato l’inizio dei lavori del nuovo Parlamento. Non solo, nel paese sono state adottate  misure di controllo e di monitoraggio della popolazione, prima usate contro la minaccia terroristica. Anche in India e Malesia le misure di sorveglianza sono diventate uno strumento per limitare la libertà di espressione: qui una persona è stata arrestata per aver inviato messaggi Whatsapp in cui criticava la politica del Paese. In Russia, invece, si utilizza il riconoscimento facciale per verificare se la popolazione sta a casa.

Ma non serve valicare i confini europei per assistere a derive autoritarie. E’ il caso dell’Ungheria, dove il presidente Orbán ha varato un decreto per fronteggiare l’emergenza che stabilisce, a tempo indeterminato, l’ampliamento preoccupante delle prerogative del Capo dello Stato. Fra queste: il potere di non consultare il Parlamento; la sospensione dell’esercizio del referendum e delle elezioni; la condanna a reato di qualunque fake news diffusa (ma chi decide se si tratta di fake nwes o meno?); di ogni critica rivolta alla politica sanitaria ungherese e della violazione della quarantena.

Si tratta di misure che alcuni potrebbero giustificare sulla base della situazione straordinaria che stiamo passando. Ma come è già accaduto sotto molti governi autoritari, decreti emanati in tempi di emergenza sono stati prorogati fino a diventare norme ordinarie, anche a pericolo superato.

ANCHE L’INFORMAZIONE FA LA SUA PARTE – Il coronavirus ci ha svegliato: anche quando passerà l’emergenza non riusciremo a cancellarlo dalle nostre vite, a non pensare a quanti rischi microscopici siamo esposti. Il virus permea nella nostra esistenza, ci ipnotizza. “Una ipnosi, alla quale cerca di re-incollarci, momento per momento, la gran parte dei giornalisti, della carta stampata, del web e della televisione. In quanti, chiediamoci, siamo perdutamente innamorati del virus e dei brividi di angoscia che procura?” afferma il professor Manghi. In effetti, oggigiorno, dove tutto è informazione, sono i media che decidono cosa la gente deve pensare e a cosa dare importanza. “Come le cose stanno cambiando e cambieranno dipende molto dai giornalisti, più di quanto siamo avvezzi a pensare”, aggiunge il docente. 

Ma in questo periodo il giornalismo, quello ufficiale e affidabile, si scontra con lo sviluppo e la diffusione di molte fake news e teorie complottiste. In realtà, in tempi di crisi, questo fenomeno non è affatto straordinario, anzi. Forse, però, in questo caso il virus e la fame di informazione che produce ha determinato un aumento, e non una diminuzione, del credito attribuito alla scienza. “L’autorevolezza conferita socialmente alle istituzioni, fattasi di colpo talmente elevata da farne conseguire l’obbedienza a prescrizioni molto limitative, non sarebbe tale se le istituzioni stesse non si alleassero visibilmente, retoricamente, ai saperi scientifici ufficiali. Saperi esaltati al contempo dal sistema informativo, talora rasentando la mitizzazione, come mai è accaduto prima” conclude Manghi.

di Laura Storchi

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