Ricordati che devi morire, cultura o paura?

EVENTO NEL CICLO DI CONFERENZE “LA CULTURA COME CURA – LA CURA COME CULTURA” DI PARMA 2020

Lenz fondazione, Iphigenia in Tauride al Cimitero Monumentale della Villetta, Parma – foto di Francesco Pititto

 

Nella vita si hanno due certezze: pagare le tasse e la morte. Il secondo punto è la domanda che tutti noi ci siamo posti almeno una volta nella vita: quando esaleremo l’ultimo respiro? La morte è un argomento che ci condiziona la giornata, è imprevedibile e molte volte non dipende da noi. Abbiamo una data di scadenza, ma non sappiamo esattamente quando sarà. In questi ultimi anni è diventata tabù, una parola che ci terrorizza e che abbiamo persino timore di affrontarla o discuterne. Che sia per causa naturale o meno, abbiamo trovato escamotage letterali per promuoverne una connotazione positiva (è scomparso, è salito in cielo, ci ha prematuramente lasciati, ecc…) della morte. È un problema culturale o abbiamo paura di accettare il fatto più certo della vita?

L’EVENTO – Si è svolto nella serata di venerdì 17 luglio, in via XXIV Maggio a Parma, il terzo appuntamento di “Il rumore del lutto”. L’evento fa parte del ciclo di conferenze che si rimandano ad un titolo importante: “La cultura come cura – la cura come cultura”.

Gli ospiti della serata sono stati Marco Pipitone e Maria Angela Gelati, entrambi direttori artistici de “Il rumore del lutto”, nonché fondatori de “Segnali di vita”. Marco Pipitone è dj ed esperto di musica della città di Parma, ma non si ferma qui: Pipitone è anche un giornalista ed esperto fotografo. Maria Angela Gelati è un’insegnante, scrittrice, tanatologa parola che, a detta dell’interlocutrice, “crea una certa paura” ed un’esperta di death education.

“Il progetto ha una storia molto lunga, nasce nel 2007 dopo una chiacchierata con Maria Angela e va avanti ancora oggi – spiega Pipitone che con serietà ribadisce – arte, cultura e sensibilità sono fondamentali per questo tema, va visto come un inno alla vita e non come un inno alla morte”. Il progetto nasce come omaggio a Pier Paolo Pasolini e diventa poi una ritualità da “santificare” negli anni a seguire. Secondo l’esperto di musica, “Il rumore del lutto” è da interpretare come un “atto punk”, la morte è una parte essenziale della vita.

LA CONCEZIONE DELLA MORTE Probabilmente nessuna data sarebbe stata più corretta per affrontare il tema, scomodo e non così facile da affrontare: la scaramanzia e la tradizione vorrebbe che il venerdì 17 fosse per definizione una giornata nella quale è meglio rinchiudersi in casa e aspettare lo scoccare della mezzanotte.

Il tema centrale dell’incontro è stato ribadito con fermezza da entrambi gli ospiti della serata: “Bisogna cambiare la nostra concezione ed il timore che abbiamo verso la morte, questa è infatti presente nella nostra vita e dobbiamo rapportaci con un’altra mentalità”. Solo con un cambiamento di cultura, che era più intrinseco dentro di noi nei secoli scorsi, si potrà accettare l’estremo addio. Gelati ha voluto precisare una realtà che spesso ci dimentichiamo, “dalla Seconda Guerra Mondiale in poi abbiamo totalmente cambiato il nostro approccio con un avvenimento importante. Solo con il Coronavirus ci stiamo accorgendo che, con molta paura, la morte non guarda in faccia nessuno“.

LA TANATOLOGIA – Come racconta la Maria Angela Gelati, “il mio lavoro consiste nel far cambiare la mentalità delle persone verso il complesso tema della morte. Sono una tanatologa, la parola crea un po’ di suggestione ma è facile da comprendere: è la somma di due parole che derivano dal greco, tanatos (ossia morte) e logos (discorso). Se le uniamo, creiamo quello che può essere considerato come un discorso sulla morte”. L’obiettivo della Gelati è proprio quello di far accettare, cambiando la mentalità, la morte. La tanatologia “non è una disciplina scientifica, sono stati gli antropologi a crearla e renderla come un complesso sistema di credenze e non di scienze”.

Si osserva, inoltre, come nelle diverse culture le persone affrontino questo tema così complesso: “Noi occidentali tendiamo a rimuoverlo, altre popolazioni nelle Americhe o in Asia hanno invece un rapporto diverso e più diretto”. Si può dire che il lutto vada considerato come un’occasione per ripercorrere la nostra vita, secondo la tanatologa “abbiamo una visione lineare della vita, manca la parte spirituale”. Per tornare a non avere più il terrore della morte è necessario compiere una nuova rivoluzione ideologica. “Bisogna vivere con più consapevolezza, bisogna eliminare questa paura a livello mediatico. La nostra idea di questo progetto è di quella di dire: fermati, non far finta di nulla. Lascia spazio ai tuoi sentimenti ed alle tue emozioni”.

SDRAMMATIZZARE SERVE – Volendo sdrammatizzare nel migliore dei modi i complessi discorsi sulla morte/fine vita, andati in scena nella serata di venerdì 17, è giusto riportare alla memoria il grande film “Non ci resta che piangere” dove, uno splendido Massimo Troisi, dopo essersi sentito dire da parte di un uomo di chiesa la celebre frase cult “ricordati che devi morire”, rispondeva, genialmente, “sisi va bene, mo me lo segno”. In conclusione, la morte – sfortunatamente – ci colpirà tutti. Se, però, invece che temerla, la affrontassimo con più oggettività, come fanno in altre culture nel mondo, non avremmo più quel ‘blocco’ che ci impedisce di vivere al meglio la nostra esistenza.

di Alessandro Borasio

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