Chiara Ferragni e Codacons: la storia infinita

FERRAGNI CONTINUA A ESSERE NEL MIRINO DEL CODACONS. QUALI LE CAUSE DI QUESTO ACCANIMENTO?

Occhi azzurri, chioma bionda, outfit sgargianti e un impero digitale da oltre 21,5 milioni di follower. Una descrizione che non lascia dubbi sul soggetto: Chiara Ferragni. Giovane, bella e intraprendente: un’affermata self-made woman e affettuosa moglie e madre.

Tanto amata dal pubblico che lo stesso presidente del consiglio, Giuseppe Conte, è arrivato a chiedere a lei e marito un aiuto per sensibilizzare all’uso delle mascherine in questo difficile periodo di pandemia. Ma se moltissimi la seguono, la apprezzano e la sostengono, altri non perdono occasione per cercare di screditarla, mettendo in discussione il suo lavoro e il suo intervento nel sociale. Tra questi, come è ormai noto, anche il Codacons, associazione che si preoccupa di tutelare l’ambiente e i diritti dei consumatori a contatto con i servizi pubblici, dalla scuola alla giustizia, dai servizi sanitari a quelli televisivi, bancari e assicurativi.

Pare infatti che al Codacons Ferragni e marito proprio non vadano giù.

Più volte l’associazione si è dichiarata contro le iniziative dell’influencer, fino ad arrivare addirittura a due querele: la prima a seguito di una campagna per la raccolta fondi lanciata dai Ferragnez sulla piattaforma GoFundMe, con lo scopo di raccogliere denaro per costruire un nuovo reparto Covid all’ospedale San Raffaele di Milano.

Con la seconda querela invece il Codacons accusa Chiara Ferragni di blasfemia, dopo che per un’intervista con Vanity Fair la giovane influencer è stata ritratta in una foto nei panni dell’iconica Madonna con bambino di Gian Battista Salvi. A questi scontri sono seguiti litigi e botta/risposta combattuti a colpi di video ed Instagram stories, ma molti interrogativi sulle reali motivazioni del Codacons e sulla legittimità delle accuse mosse ai due influencer restano aperti.

Quello che effettivamente sarebbe interessante capire è una questione che va oltre la presa di parte, l’assegnazione della ragione o del torto: nel secolo XXI, in cui la digitalizzazione della vita quotidiana e soprattutto lavorativa è quasi totale, in cui non si può quasi più parlare di confini distinti tra i Paesi perché la mobilità è illimitata e continua, e soprattutto, in un momento particolare come questo, in cui si sta affrontando l’emergenza di una pandemia mondiale, ha davvero senso che un organo della Pubblica Amministrazione si prodighi per cercare di cogliere in fallo figure pubbliche? Ha davvero senso che un’associazione attenda la mossa di un individuo per colpirlo sul fatto? E soprattutto, con che scopo?

É capitato talvolta che il Codacons  basasse le proprie accuse su tesi infondate o prive di motivazioni valide. E questo è proprio il caso della polemica scoppiata a ridosso della 70esima edizione del Festival di Sanremo, quando è stato annunciato che tra le possibili candidate che avrebbero accompagnato Amadeus durante la conduzione dell’evento c’era proprio Chiara Ferragni. Il Codacons non ha perso tempo a manifestare apertamente il proprio dissenso, tanto da arrivare a dichiarare che, in caso la Rai avesse confermato la scelta, l’associazione avrebbe aperto una causa legale, portando l’emittente pubblica alla Corte dei Conti e della Procura. La motivazione che dovrebbe giustificare questa presa di posizione da parte del Codacons è il fatto che la Ferragni sarebbe una figura diseducativa, un cattivo esempio da portare così platealmente sotto gli occhi del pubblico italiano soprattutto per l’uso improprio che fa dei social network.

Il Codacons però non sembra aver preso in considerazione  l’entità delle altre candidate alla conduzione, in molti casi famose più per essere le fidanzate o mogli di uomini importanti che per meriti professionali, come nel caso della Ferragni. Forse una donna che sceglie di non “rimanere un passo indietro” risulta più fastidiosa e diseducativa delle altre? Tra le candidate anche Giulia De Lellis che, a ben vedere, avrebbe potuto vantare motivazioni analoghe a quelle della Ferragni per partecipare alla co-conduzione. Dopotutto anche lei è un’influencer gradita al pubblico, quindi perché non accanirsi anche in questo caso? Sarà antipatia per le bionde.

Ma gli attriti tra la Ferragni e il Codacons non si fermano certo qui. Come scordare le accuse dell’associazione alla influencer  per l’uso sbagliato dei social network, a cui sono seguite “numerose denunce alle autorità competenti” (Codacons) e segnalazioni dell’Antitrust circa denunce per pubblicità occulta. Pare strano che un simile trattamento sia stato riservato proprio alla Ferragni, lei che è stata una tra le prime personalità del mondo di internet ad impegnarsi per contribuire alla regolamentazione della pubblicità sui profili social.

Nemmeno durante la pandemia causata dalla incontrollabile diffusione del virus Covid19 il Codacons ha voluto allentare la presa. Tutto nasce dall’iniziativa dei coniugi Ferragnez di avviare una campagna di raccolta fondi attraverso GoFundMe, una delle piattaforme più usate dagli ospedali italiani per raccogliere fondi e finanziare le proprie strutture. E fin qui, tutto appare trasparente. Quello che però ha scatenato le polemiche del Codacons è stato il fatto che le donazioni effettuate attraverso questa piattaforma vantano delle commissioni dette “facoltative” legate alle transizioni, per finanziare la struttura che richiede la donazione: è infatti emerso che vi era un’impostazione di default tale per cui il donatore elargiva un 10% della somma ai fondi privati della struttura. Insomma, pretesto perfetto per accusare i Ferragnez di una campagna di raccolta fondi fasulla.

Tuttavia, una volta venuti a conoscenza dell’inconveniente, i Ferragnez si sono prodigati per contattare direttamente la piattaforma e chiedere di rimuovere questa opzione.

Inoltre, come fatto notare successivamente dallo stesso Fedez, il Codacons ha commesso uno scivolone analogo avviando una raccolta fondi dalla retorica ingannevole, secondo cui si sarebbe dovuto donare per provvedere all’emergenza Coronavirus, ma in realtà le donazioni erano destinate a sostenere la causa del Codacons durante l’emergenza Coronavirus.

1 a 1 palla al centro.

Infine, come si può non citare la recente accusa di blasfemia rivolta direttamente a Chiara Ferragni, dopo che un’intervista che ha fatto per Vanity Fair è stata corredata con una foto che la vede nelle vesti della Madonna con bambino di Gian Battista Salvi. Il Codacons vede questa scelta come blasfema e inappropriata perché, a detta dello stesso “sfrutterebbe la figura della Madonna e la religione a scopo commerciale, essendo noto come la Ferragni sia una vera e propria macchina da soldi finalizzata a vendere prodotti, sponsorizzare marchi commerciali e indurre i suoi follower all’acquisto di questo o quel bene”.

Il fotomontaggio di Francesco Vezzoli pubblicato su Vanity Fair

Questa volta il Codacons sembra aver superato sé stesso. Chiara Ferragni viene infatti accusata di una scelta che non dipendeva direttamente da lei, bensì da Franceso Vezzoli, artista contemporaneo di grande fama che ha curato la direzione artistica del numero di Vanity Fair “incriminato”. Vezzoli ha adottato la stessa tecnica di montaggio fotografico per tutte le donne intervistate in quel numero. Sarebbe quindi doveroso, secondo il Codacons, inviare l’Inquisizione Spagnola anche alle altre donne ritratte. Perché in questi casi non è stato fatto? Se poi l’obiettivo è quello di difendere il concetto di sacro, allora si dovrebbero tirare in causa tutti gli artisti contemporanei che utilizzano iconografia religiosa nelle proprie opere, spesso in modo molto più provocatorio di quello messo in atto da Vezzoli. Che dire di tutti coloro che, nel passato, andando contro le convenzioni e le tradizionali rappresentazioni hanno scioccato pubblico e critica, ma hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte e dell’umanità. Sicuramente la foto ritoccata di Vezzoli non è un pezzo fondante della cultura artistica, ma per questo motivo non dovrebbe avere lo stesso diritto di essere e di essere vista? Il timore di cadere nella blasfemia può davvero arrivare a limitare l’espressione artistica?

Una provocazione interessante arriva da UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), che ha fatto presente come al giorno d’oggi, la bestemmia non sia legalmente tutelata né dalla Corte Costituzionale, né dal Parlamento e neanche dal Governo. In questo modo si rappresenta unicamente la tutela giuridica di entità di cui non si può dimostrare l’esistenza, tanto che anche dall’Onu, nel 2014, sono emerse richieste di abrogare legislazioni anti-blasfemia.

Se questi sono i fatti, restano ancora misteriose le motivazioni che spingono il Codacons ad agire in questo modo. Cosa sta cercando o cosa vuole dimostrare: forse riportare l’istituzione televisiva alla tradizione, e spartire ordinatamente le figure professionali nei propri settori circondati da filo di ferro, e guai a chi tenta di uscire, o magari non trova corretto che le azioni a fin di bene possano comunque comportare degli imprevisti, presentare delle falle di sistema, che già di falle ne ha abbastanza figuriamoci durante un’emergenza. Forse l’intento è semplicemente quello di cercare visibilità, sfruttando la notorietà di Ferragni e marito? O semplicemente cerca di fare valere un’ottica tradizionalista in un mondo mediatico popolato da valori diffusi e ripetuti in tutte le salse fino alla sfinimento, ma forse non del tutto compresi, di belle facciate sorridenti e interni ammuffiti?

Qualunque sia la risposta, il Codacons sta combattendo con le armi sbagliate. In un mondo fatto di violenza e soprusi, che sta attraversando un momento così difficile come quello di una pandemia, l’arsenale di cui ogni esercito dovrebbe disporre è costituito da tolleranza reciproca, ascolto, comprensione, confronto e voglia di collaborare per raggiungere gli obiettivi che chiunque lavori per il pubblico, a qualunque livello aziendale, in qualunque declinazione lavorativa, condivide, o nella migliore delle ipotesi, dovrebbe condividere.

di Camilla Ardissone

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