Una mostra Iperproteica: le opere del pittore Robusti al Labirinto della Masone

OPERE ALL'INSEGNA DELLA SOVRABBONDANZA E PERSONAGGI GROTTESCHI CON L'INCONFONDIBILE STILE DEL PITTORE PARMIGIANO

 

La suggestiva cornice del Labirinto della Masone a Fontanellato ospita, fino al 17 gennaio, l’esposizione di una selezione di opere olio su tela – circa una trentina di cui quattro inedite-  dell’artista Enrico Robusti.

Una mostra Iperproteica, così come recita il suo titolo, all’insegna della sovrabbondanza, del sovraffollamento per usare un termine attuale, di cibo e personaggi. Persino la tecnica utilizzata per dipingere, l’olio su tela, ci suggeriscono qualcosa di denso, corposo, consistente e, perché no, grasso.

Certo “non è una mostra per vegani”, spiega Robusti.

Un pittore italiano di scene italiane

Tavole tutte “Made in Italy”, come il titolo di una delle opere esposte, vincitrice dell’ultima edizione del premio Eccellenti Pittori. E quali possono essere i “valori” tutti italiani, emiliani in particolare, se non il cibo, l’amore e lo svago? Ed è esattamente seguendo questi tre concetti che le tre sale dell’esposizione prendono vita.

Ad un primo sguardo può sembrare di ritrovarsi tra gli scatti di un vecchio album fotografico dei nostri nonni, con una particolare prospettiva grandangolare, da un obiettivo fish-eye: momenti di convivialità tipica emiliana fatti di chiacchiere, di condivisione, di un tempo passato rimpianto puro e semplice.

Eppure subito si viene bruscamente risvegliati: queste tavole non sono rappresentazione di un tempo dolce ormai passato e la dolcezza lascia spazio a personaggi grotteschi, all’abbrutimento dell’uomo che mostra il suo lato animale, diventando più attuali che mai. La convivialità si trasforma in abbuffata, le chiacchiere in pettegolezzi e la condivisione in una lotta per la supremazia.

Come nel quadro “Che grande cozzata” in cui quell’unico piatto di spaghetti da dividere con l’innamorato, immagine che tanto ci aveva fatto sognare con Lilli e il Vagabondo, diventa una gara a chi riesce a risucchiare più pasta ed ecco che il romanticismo cede il posto a quella che sembra la contesa di due affamati.

Oppure come nel “La Madonna delle brioche”, in cui un semplice gesto come la colazione diventa un momento mistico, “il rito diventa rito religioso”, spiega Robusti, conferendole un pathos e una spiritualità senza dubbio fuori contesto. O si potrebbe citare “Bar Italia” in cui l’artista volontariamente pone la sua attenzione e quella di chi osserva sulle borse dello shopping della donna, come fossero l’unica preoccupazione del personaggio.

La mostra diventa così una critica nei confronti della nostra società contemporanea, tutta lusso ma anche tanto “arrosto”.

Critica sociale o ricordo?

Eppure quel senso di riconoscimento nei quadri non ti abbandona per tutta la visita e così viene naturale chiedere all’artista che cosa prevalga nelle sue opere: è più critica sociale o più un ricordare? Il pittore dice di non avere una risposta precisa, certo è che nessuno sfugge a questa critica, nemmeno noi, nemmeno lui. Così come ci dimostra con il quadro “Il tuo posto è qui tra noi” dove in un salotto di frivolezze i personaggi invitano chi li osserva a prendere posto assieme a loro sul divano. Non si tratta dunque di una sterile critica da parte di qualcuno che si arroga il diritto di mettersi in cattedra.

I caratteri della pittura di Enrico Robusti

L’artista rivela che l’intento è quello di “obiettivare la realtà”. Una sorta di presa di coscienza della situazione che ci circonda. Potremmo forse definirlo un reportage. E del resto è proprio così che la pittura di Robusti prende forma: l’artista vede una scena, la scrive e successivamente la dipinge. Ecco spiegati i titoli stranamente lunghi e descrittivi delle opere. Da buon figlio di studi classici –diplomato al liceo classico e laureato in giurisprudenza- la parola, il titolo, è l’inizio dei suoi quadri. Una prerogativa che l’artista rivendica come sua unicità. Lo stile è quello impressionista eppure dei grandi maestri tedeschi si ritrova ben poco.

A parere del pittore l’opera della mostra che più racchiude la pittura “alla Robusti” è quella intitolata “Tragico destino di una gallinella ripiena”, “una summa di tutte quelle caratteristiche che mi appartengono – spiega l’artista – Una meditazione piuttosto tragica dell’esistenza che però viene mitigata da questo senso comico che cerca di dare una sorta di equilibrio a quella che invece è una constatazione pessimistica della vita”.

enrico robusti

Due opere esplicative

Nell’ultima sala, due opere colpiscono forse più delle altre. “Doppio brodo” e “Mi vergogno perché la sofferenza mi rende una bestia scura”.

La prima è “un monumento all’assuefazione” spiega Robusti, la tipica giornata al mare a Ferragosto quando ci si ritrova ammassati uno sopra l’altro ed ecco che il mare appare subito un brodo e, essendo una mostra per carnivori, il brodo non può essere che di carne e i personaggi della carne stessa. La cosa che più colpisce Robusti, e un po’ disarma, è che ogni personaggio del quadro sembra trovare spazio per svolgere l’attività di suo interesse sebbene questo “spazio sia l’unica cosa mancante”. Risulta evidente come questo quadro potrebbe trovarsi benissimo tra quelli a tema cibo pur non rappresentandolo.

“Mi vergogno perché la sofferenza mi rende una bestia scura” è l’opera, si potrebbe dire, più diversa della mostra. Un’opera che ha riscosso grande successo quando è stata presentata da Vittorio Sgarbi alla mostra “Il male. Esercizi di pittura crudele” svoltasi nel 2006 a Torino a palazzo Stupinigi. Il soggetto sembra in un ospedale, forse in uno psichiatrico, e si copre con il lenzuolo per la vergogna. Ed ecco di nuovo quella che abbiamo definito “critica sociale” per un mondo in cui non c’è spazio nemmeno per la sofferenza.

Eppure attraversando i corridoi dell’esposizione si notano nei quadri numerose porte e finestre aperte. Che siano forse una via di fuga? Una salvezza da questo abbrutimento umano? L’artista spiega che queste porte o finestre a volte danno un senso di libertà, a volte si aprono su un paradiso, un aldilà, altre lasciano entrare “un senso positivo”, “un vento di cultura”, o un paesaggio. Si tratta dunque di situazioni non negative in assoluto, ma che lasciano aperti altri sbocchi.

Alla fine del percorso quello che ci rimane dentro non è tanto il desiderio di salvarsi da questo mondo che ci circonda, ma la consapevolezza che ognuno ha dentro di sé “un elemento disturbante” come suggerisce Robusti, degli “aspetti lugubri” da accettare più che da condannare o negare.

di Chiara Paletti 

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