Trump perde le elezioni ma non accetta la sconfitta: sotto accusa il voto per posta

Perchè Trump si ostina a non voler concedere la vittoria a Biden? Cos'è il vota per posta e perchè il presidente il carica lo contesta tanto? Cerchiamo di capirlo!

Quest’anno l’eccezionale affluenza al voto per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America ha dato vita a una serie di record: quelle appena concluse sono state le elezioni più votate nella storia delle elezioni presidenziali. Joe Biden è il presidente eletto con il maggior numero di preferenze della storia (oltre 78 milioni), sbriciolando il vecchio record della seconda elezione di Obama. Trump, con circa 73 milioni di preferenze, è invece il presidente in carica più votato.

L’evento, a cadenza quadriennale, ha come sempre avuto un seguito globale enorme. Quest’anno, in particolar modo, la sua formula, il suo andamento e lo spettacolo che i media statunitensi ci hanno ricamato attorno, hanno trasformato la cronaca delle elezioni nel racconto di una vera e propria competizione agonistica. Questo perché quest’anno ci sono state tantissime polemiche attorno ad una questione strettamente legata alla pandemia: il voto per posta. Vediamo di cosa si tratta.

La diffusione del Covid-19 favorisce il voto per corrispondenza

Uno dei punti più controversi e dibattuti di queste elezioni presidenziali è stato il voto postale. Negli Stati Uniti il voto espresso tramite posta è consentito fin dai tempi della Guerra Civile. Nel corso degli anni il suo uso è stato perlopiù riservato alle persone impossibilitate a recarsi al seggio per esprimere la propria preferenza. Di recente invece, il suo utilizzo si è diffuso in tutti gli stati dell’Unione, fino a diventare una consuetudine. Nel 2016 infatti, nella tornata elettorale che ha visto trionfare a sorpresa Donald Trump sulla favorita Hillary Clinton, il vote-by-mail ha rappresentato un quarto dei voti validi e conteggiati in tutta la nazione.

Il 2020, anno elettorale per gli Stati Uniti, ha portato con sé anche una pandemia mondiale e con essa le chiusure generalizzate per bloccare la diffusione del virus. La conseguenza è stata un aumento esponenziale del ricorso a questo strumento: ad esempio, buona parte delle primarie dem si sono svolte tramite ivoto per posta.

Terminata la competizione interna al partito democratico, la sfida elettorale fra il candidato Trump e lo sfidante Biden si è concentrata molto sulle misure da adottare per respingere l’ondata del virus e fra gli argomenti di dibattito più accesi c’è stato proprio il voto per posta. Da una parte, Biden ha esortato gli elettori a fare quanto più possibile uso di questa modalità, per evitare le lunghe file ai seggi e dunque il rischio di un aumento della diffusione del virus. Dall’altra, Trump ha invitato i suoi elettori a recarsi al seggio di persona per garantire la regolarità del proprio voto. Il Presidente ha infatti più volte gettato ombre sulla regolarità del voto via posta, senza tuttavia una precisa ragione.

Donald Trump non accetta la sconfitta e accusa i dems di frode elettorale

Alla fine, il voto postale ha rappresentato la stragrande maggioranza dei voti espressi oltre 100 milioni di voti a fronte degli oltre 150 milioni di voti totali. Una crescita percentuale esponenziale, se si pensa che il numero di voti postali del 2020 equivale al 73% dei voti totali del 2016.

Trump ha confermato la propria versione dei fatti, accusando irregolarità nel conteggio dei voti per corrispondenza. La disputa principale è stata sulla effettiva validità dei voti, che a causa del sovraccarico del sistema postale americano ha costretto i singoli stati ad allungare i tempi di attesa per la ricezione dei voti.

Quest’anno, infatti, l’affluenza totale ha raggiunto numeri che non si vedevano da oltre un secolo. Gli oltre 150 milioni di elettori che hanno espresso la loro preferenza equivalgono al 66,9% dell’elettorato, secondo le stime di US Elections Project. Una percentuale seconda solo al 73,7% del 1900, quando il repubblicano McKinley vinse contro il democratico Jennings.

A causa dell’enorme affluenza, dunque, i voti da conteggiare sono stati tantissimi, ma in alcuni stati il sistema elettorale consente di conteggiare i voti arrivati a destinazione anche una settimana dopo la data del 3 novembre, purché datati appunto 3 novembre, ossia il giorno delle elezioni.

Dunque qual è il problema del Presidente Trump?

Ad oggi, pur non essendoci evidenze di vere irregolarità, il presidente in carica  continua  a dichiararsi vincitore delle elezioni se si contano solo i “voti legali”, cosa che va avanti fin dall’election-day. Ma cosa sono questi ‘voti legali’?

Secondo Trump, sarebbero quelli espressi di persona o quei voti per posta giunti alle commissioni entro il 3 novembre. Si tratta in realtà di voti che in maggioranza rappresentano i repubblicani. Gli elettori del GOP, infatti, rispetto ai democratici, hanno votato in larga maggioranza di persona, presentandosi direttamente ai seggi. I cosiddetti voti ‘illegali’, a cui si riferisce continuamente Trump, sarebbero invece i voti per posta giunti alle commissioni elettorali dopo il 3 novembre, che sono stati conteggiati nei giorni successivi al voto e che continuano tuttora ad essere scrutinati. Questi voti rappresentano perlopiù i democratici che hanno preferito votare per corrispondenza.

Questa modalità di voto mista ha causato il fenomeno dei ‘miraggi rossi’. Di cosa si tratta? Come dice la definizione stessa, in una prima fase del conteggio in diversi stati,  i repubblicani sembravano in vantaggio, identificati appunto col colore rosso, distintivo del GOP. Solo in un secondo momento, al conteggio dei voti giunti per posta è avvenuta la rimonta di Biden.

In Pennsylvania, ad esempio, era inizialmente in vantaggio il candidato repubblicano Trump, ma con il proseguire dello scrutinio  lo stato è stato alla fine assegnato a Biden. La dinamica dei ‘miraggi rossi’ si è ripetuta nel corso dei giorni in stati chiave, come il Wisconsin, il Michigan e la Georgia, creando non poche polemiche per le due ondate – rossa e blu -che hanno indirizzato il voto con tendenze talvolta opposte.

Di fronte la rimonta di Biden negli stati chiave, Trump ha dunque iniziato a parlare di frodi elettorali, sebbene, la legge permetta e lo scrutinio anche nelle settimane successive all’Election Night e nonostante non esistano finora prova che dimostrino frodi o brogli elettorali.

La Casa Bianca fa ricorso

Al di là delle accuse di Trump, ad oggi poco concrete, il presidente uscente, al netto delle risicate possibilità di riuscita, potrà comunque percorrere diverse strade per cercare di ribaltare il risultato. La strada più immediata e semplice è quella del riconteggio delle schede negli stati in cui la vittoria di Biden su Trump è stata risicata. Tuttavia è difficile definire con effettiva precisione come si svolgeranno questi meccanismi, perché le leggi in merito infatti variano da stato a stato.

In ogni caso per Trump sarà molto difficile che un riconteggio gli faccia recuperare somme di voti tali da ribaltare una situazione che lo vede dietro Biden di decine di migliaia di preferenze. Un’altra strada che il presidente in carica potrebbe percorrere e che ci accompagnerebbe per qualche settimana è il ricorso alla Corte Suprema, per la messa in discussione della validità di tutti quei voti giunti per posta alle commissioni elettorali nei giorni successivi al 3 novembre.

Tutte queste procedure dovranno comunque avere fine entro la data dell’8 dicembre. Le Corti Supreme statali, in cui comunque il team legale di Trump sta perdendo ogni ricorso, la Corte Suprema federale e le commissioni elettorali dei singoli stati dovranno aver terminato i riconteggi entro quella data perché il 14 dicembre avverrà l’elezione formale e diretta del Presidente da parte del collegio elettorale, composto dai 538 Grandi Elettori.

Un’elezione, dunque, non come tutte le altre. Ma non si tratta nemmeno di una novità assoluta. Un precedente storico è infatti quello del 2000, quando l’elezione presidenziale si decise davvero su una manciata di voti. In quell’occasione i due protagonisti erano George W. Bush – divenuto poi presidente e riconfermato nel 2004 –  e Al Gore.

La vittoria si decise in Florida, stato decisivo di quella elezione. Il paese assegnava infatti un numero di grandi elettori necessario ad entrambi per giungere a quota 270. Dopo diversi riconteggi, alla fine fu necessario il  ricorso alla Corte Suprema  che si riunì nel mese di dicembre per votare sulla questione. In quella occasione, anche la Corte si divise, ma alla fine con un verdetto di 5 a 4, la vittoria in Florida venne assegnata a Bush per poco più di 500 voti.

 

di Stefano Utzeri

 

 

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