Parma senza casa, “Occupare è ingiusto ma dove va la mia famiglia?”

IN UN ANNO 726 SFRATTI. L'ASS. ROSSI: "ALLOGGI PUBBLICI DA 30 A 100, MA NON BASTA"

sfrattasi (1)“La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.”

articolo 42 della Costituzione italiana

Sfratto. Il nome dell’incubo che tormenta molti parmensi negli ultimi anni. Per i media si chiama ‘emergenza casa’, ovvero centinaia di persone che non hanno più un posto dove vivere. I soliti immigrati? No. A venire sfrattati e costretti a vivere in luoghi di fortuna sono parmigiani doc o abitanti della provincia che si arrangiano a dormire in auto, da amici e parenti o a occupare case sfitte.

Un problema di cui si continua a discutere e che si è aggravato  con l’aggressione avvenuta la notte del 20 gennaio a Borgo Bosazza. Due ragazzi, dopo essere scesi da una Bmw, si sono diretti verso una palazzina occupata di proprietà della Tegoni Srl e hanno preso a sprangate il portone d’ingresso gridando “Viva il duce, viva il fascismo!”. Nello stabile, un appartamento era occupato da una famiglia con due gemelli di pochi mesi. Tutto si è fortunatamente risolto per il meglio grazie alle segnalazioni dei passanti che hanno costretto i due giovani alla fuga dopo aver preso il numero di targa dell’auto. “La colpa è della mentalità per la quale si può avere un diritto solamente se si può pagarlo”, ha affermato Katia Torri della Rete Diritti in Casa, il collettivo che si occupa di aiutare le persone senza un’abitazione.

“OGNI ORA CHIAMO A CASA PER SAPERE SE LA MIA FAMIGLIA E’ ANCORA QUI” – “Io non voglio occupare perché non è giusto. Ho chiesto di pagare l’affitto al proprietario ma mi ha detto che la vuole vendere. Ho una famiglia, non posso farli vivere per strada” racconta il signor B. che oggi abita in Borgo Bosazza.

Nel 1999 B. ha un appartamento in affitto in Piazzale San Leonardo. Con lui due figlie adolescenti, un bambino piccolo e una moglie. Un giorno il suo padrone di casa gli dice che deve andarsene perché vuole dare l’appartamento al figlio che si deve sposare. Così il signor B. comincia a cercare un’altra casa. Ogni agenzia immobiliare gli propone prezzi troppo alti per il suo stipendio di operaio. Passano i giorni e arriva lo sfratto. Al padrone di casa non interessa che B. non sia ancora riuscito a trovare un’altra sistemazione, quell’appartamento lo deve dare al figlio. B. e la sua famiglia si rivolgono al Comune e l’assistente sociale lo rassicura: “Vai in albergo per tre giorni, nel frattempo cerchiamo una sistemazione”. Tre giorni dopo la soluzione non c’è. B. non sa bene cosa fare e decide di rivolgersi a Rete Diritti in Casa che lo indirizza in un appartamento vicino a Piazza Garibaldi. Ovviamente entra in modo irregolare, occupando. Poi si sposta in Borgo Bosazza: “C’è solo la luce. Gas e acqua non li abbiamo e i miei figli per questo sono sempre malati” racconta abbassando lo sguardo. “Ogni volta che suona il campanello ho paura che sia la polizia. Quando sono al lavoro chiamo a casa ogni ora per assicurarmi che mia moglie e i miei figli siano ancora qui. Non voglio vivere così, voglio pagare, essere in regola”. B. guarda il figlio più piccolo e sorride: “Comunque sto meglio di altri, almeno lavoro. Ho 14 punti per poter chiedere la casa popolare. Per entrare nel gruppo di emergenza ne servono 13, io sono fuori di uno. Fossi da solo mi arrangerei, ma non posso condannare i miei figli alla strada”.

GLI EFFETTI DELL’EQUO CANONE – L’allarme abitativo, secondo Rete Diritti in Casa, ha cominciato farsi sentire una ventina di anni fa, quando si sono manifestati gli effetti dell”equo canone‘: un prezzo di locazione non stabilito attraverso una libera contrattazione delle parti ma deciso dalla legge, sulla base di determinati parametri. Ciò ha generato un incremento del valore di mercato degli immobili al punto da rendere la situazione insostenibile per molti.
In questo contesto a trarne i maggiori vantaggi sono stati gli imprenditori edili più importanti, che hanno speculato “facendo cartello” tra loro. Attraverso la creazione di un monopolio sulla vendita delle case, hanno costretto gli imprenditori più piccoli ad adeguarsi ai ‘loro’ prezzi o semplicemente ad uscire dal mercato, con grosse ricadute sugli inquilini che non possono più permettersi di pagare gli elevati affitti.

QUELLE 726 FAMIGLIE MESSE ALLA PORTA – Rispetto ad altre città, a Parma l’allarme è diventato emergenza con tempi più lunghi e a braccetto con la crisi. “La situazione si è molto modificata negli ultimi anni – spiega l’assessore alle Politiche Sociali Laura Rossi -. La crisi economica è arrivata a Parma in ritardo rispetto ad altre città, si è cominciato a sentirne gli effetti tra il 2009 e il 2010. Persone che fino ad allora non avevano bisogno dei servizi sociali sono entrati in una situazione di povertà estrema. Purtroppo, questa ondata ha trovato gli enti locali impreparati ad affrontare l’emergenza e abbiamo cercato di operare tutte le manovre possibili per aiutare i cittadini”.

Solo nel 2013 ci sono stati 726 provvedimenti di sfratto definivo emessi dal tribunale (cioè senza possibilità di appello) tra Parma e provincia, con una media di due sfratti e mezzo la settimana. Tra questi ci sono anche persone che occupano case abusivamente. Secondo Rete Diritti in Casa, gli stabili occupati attualmente sono nove: “Alcuni di questi erano chiusi da anni eppure con il riscaldamento acceso. In un condominio attualmente occupato da alcune famiglie, il riscaldamento ha funzionato continuamente per sette anni nonostante all’interno non ci vivesse nessuno: chi paga per quel gas di cui nessuno usufruisce?”

Il Comune è stato sollecitato ad intervenire e ha emanato alcuni bandi che prevedono aiuti per pagare gli affitti, ovviamente avendo determinati requisiti. Ma è è un palliativo che non agisce sui prezzi di mercato comunque alti e inaccessibili. Gli alloggi pubblici sono passati da trenta a cento dalla fine del 2012 ad oggi, “tuttavia bisogna tenere presente – continua l’assessore Rossi – che gli operatori sono oberati di lavoro e non riescono a seguire caso per caso. La cittadinanza si sente sola e a questo stiamo cercando di rimediare ma facciamo fatica a causa della mancanza di fondi”.

Per chi amministra gli enti locali, le politiche attuate dallo Stato non sono sufficienti e, anzi, talvolta mettono in difficoltà. Il decreto Lupi, per dirne una, ordina gli sgomberi forzati in caso di occupazione: per quanto giusto sia punire un reato come l’occupazione abusiva, di fatto mette in strada interi nuclei familiari con minori e persone anziane di cui gli enti locali devono farsi carico immediatamente. E l’amletico dubbio è: meglio lasciare per strada delle persone o applicare la legge?

L’IPOTESI ‘AUTO-RECUPERO’ – Soluzioni? Ci sarebbero, ma non sono piacevoli per i proprietari e il loro diritto alla proprietà privata. Nel 1953 il sindaco di Firenze, La Pira, a fronte della grande ondata di immigrazione proveniente dal Sud Italia, ha operato una requisizione temporanea delle case sfitte. Diversamente dall’esproprio, che è definitivo, questo permetterebbe a molte persone di stabilizzarsi e recuperare risorse economiche sufficienti a pagare la propria casa.
Un altro metodo potrebbe essere l’auto-recupero di spazi abbandonati, come avvenuto alla Casa Cantoniera di via Mantova. Molti proprietari non hanno denaro sufficiente a risanare i loro stabili destinati a marcire: gli inquilini potrebbero ristrutturarli scalandone le spese dall’affitto. In questo modo alcune persone riavrebbero una casa e lo stabile verrebbe re-immesso nel mercato a vantaggio del proprietario.

Soluzioni non fattibili secondo l’amministrazione. “E’ vero, ci sono stabili chiusi di proprietà del Comune – conferma l’assessore Rossi – perché sono assolutamente inagibili. Esiste una clausola per coloro che vogliono ristrutturare le abitazioni per la quale salgono di priorità in graduatoria, ma quando si parla di certificazioni di impianti elettrici e via dicendo, il Comune non può prendersi la responsabilità di farlo fare ai cittadini. Si tratta della sicurezza delle persone che andranno a viverci”.

 

di Luca Mautone e Silvia Moranduzzo

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