La crisi sanitaria mette in difficoltà anche i reparti oncologici, ma l’Emilia-Romagna reagisce bene

I pazienti oncologici subiscono tutti i disagi e rallentamenti causati dalla pandemia da Covid-19, ma i reparti emiliano-romagnoli si sono mossi velocemente per trovare nuove soluzioni

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La pandemia Covid-19 è stato uno tsunami, colpendo in prima linea la sanità italiana. Agli inizi di marzo del 2020 i pronto soccorso erano al collasso, mettendo in difficoltà soprattutto i reparti di oncologia, con la conseguenza di rallentare le cure dei pazienti oncologici. Tuttavia, il sistema sanitario ha garantito quotidianamente le cure e tutelato il proprio personale affinché potesse esercitare il proprio lavoro al servizio dei cittadini. La crisi Covid-19 ha spinto comunque i medici e la comunità scientifica ad assumere nuove metodologie, più efficaci sia a livello clinico che a livello gestionale nelle strutture sanitarie.

Come racconta il dottor Gabriele Luppi, Coordinatore dell’Associazione Italiana di Oncologica Medica (AIOM) dell’Emilia-Romagna e Responsabile di Struttura Semplice Dipartimentale Day Hospital Oncologico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena: “Dal 24 febbraio la preoccupazione maggiore, anche nelle strutture di oncologia, è stata quella di tutelare i pazienti e gli operatori sanitari. Misure protettive tuttora in atto quali: uso di mascherina, igiene delle mani, distanziamento, triage telefonico e accesso alle strutture, hanno sicuramente contribuito a ridurre l’incidenza di positivi tra i pazienti oncologici afferenti alle nostre strutture”.

Lo sforzo di portare avanti il reparto e le cure oncologiche si è dimostrato difficoltoso a causa delle misure di sicurezza. Per i pazienti l’attività di screening, per la valutazione della presenza di eventuali tumori, in questi mesi è stata faticosa, soprattutto a livello psicologico. Dal sospetto di tumore alla diagnosi, fino all’inizio della cura, possono passare molti mesi. Tutti gli esami diagnostici, infatti, sono stati rimandati a data da destinarsi.

“Il mio tumore è arrivato nel momento sbagliato: tutti gli esami sono stati rimandati e mi sono sentito abbandonato e in ansia. Con la consapevolezza di avere molti ostacoli da affrontare, in un momento in cui alla stanchezza psicologica si somma un’oggettiva debolezza fisica, ho dovuto gestire una fase di attesa con l’incertezza del percorso da seguire. E come se non bastasse, con la paura del virus, si sta fermi dentro casa. Sembra che il ritmo della vita normale si sospenda e che non ci sia spazio altro che per la malattia, che non si ferma” racconta E.F., uno dei tanti pazienti che ha vissuto sulla propria pelle i disagi nati a causa del Covid-19.

“E’ urgente rivedere l’organizzazione”

screening pazienti di oncologia

La pandemia in Italia sta mettendo a rischio la continuità delle terapie degli affetti da neoplasie e il decorso della crisi sanitaria può solo mettere a rischio la loro condizione. Lo European Journal of Cancer riporta una revisione sistematica di ben 52 studi, che ha rilevato 18.650 pazienti oncologici colpiti dal virus, con un tasso di mortalità pari al 25%, che equivale a 4.243 decessi. Tale percentuale è preoccupante per la comunità scientifica, visto che dal 2015 in Italia si stimava una diminuzione complessiva del 5% della mortalità per cancro. Per esempio, nelle donne, il tumore dello stomaco era diminuito del 20% e negli uomini meno il 28% di neoplasie della laringe.

In base a questi dati l’AIOM lancia un appello durante il XXII Congresso Nazionale della Società Scientifica dove il Presidente Nazionale AIOM e Responsabile di Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo, Giordano Beretta, afferma: “E’ urgente rivedere l’organizzazione. Sono troppe le persone costrette ai viaggi della speranza. Il Covid-19 ha dimostrato quanto sia necessario rendere subito operative le Reti Oncologiche Regionali in tutto il territorio. La continuità di cura è stata garantita ai livelli più alti proprio nelle Regioni dotate di Reti, perché l’accesso ai trattamenti è possibile anche nelle sedi periferiche sulla base di indicazioni condivise, limitando così gli spostamenti dei malati”.

In sintesi: accessibilità, ricerca e organizzazione sono il cardine su cui bisogna intervenire per garantire le cure migliori ai cittadini affetti da neoplasie, con lo scopo di evitare migrazioni inutili.

Le Reti Oncologiche

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Le Reti Oncologiche sono organizzazioni volte a permettere la gestione del paziente e affrontare le complessità cliniche e di appropriatezza. Hanno lo scopo di potenziare la qualità delle cure dei pazienti e garantire una maggiore uniformità in termini di accesso, di gestione clinica, di governance e di monitoraggio dei dati clinici e di ricerca.

Gli enti coinvolti ad oggi sono 11: Piemonte, Valle D’Aosta, Veneto, Toscana, Umbria, Liguria, Provincia Autonoma di Trento, Puglia, Campania, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Riguardo all’Emilia-Romagna la rete oncologica era stata prevista da molti anni, ma attuata solo parzialmente. Eppure la Regione è dotata di una rete clinica integrata basata sul modello Hub&Spoke che, come riporta l’AUSL Reggio Emilia: “parte dal presupposto che per determinate situazioni e complessità di malattia siano necessarie competenze rare e costose, che non possono essere assicurate in modo diffuso, ma devono invece essere concentrate in Centri regionali di alta specializzazione a cui vengono inviati gli ammalati dagli ospedali del territorio (servizi ospedalieri periferici).Il modello prevede, pertanto, la concentrazione dell’assistenza di maggiore complessità in ‘centri di eccellenza’ – hub – e l’organizzazione dell’invio a questi hub da parte dei centri periferici dei malati che superano la soglia di complessità degli interventi effettuabili a livello periferico”.

Alla base di questo modello troviamo i PDTA (percorsi diagnosto-terapeutici assistenziali) e più in generale i gruppi multidisciplinari di patologie che hanno il compito di prendere in carico e valutare il paziente, definendo il percorso più adeguato per la sua patologia. Questo metodo favorisce una gestione più efficiente di ogni caso, offrendo così il miglior trattamento nelle sedi più opportune e evitando così la migrazione sanitaria non giustificata.

Seppur la Regione Emilia-Romagna sia dotata di una Rete oncologica parziale, le sue aziende ospedaliere hanno continuato le terapie e l’adesione agli screening, anche se i reparti sono stati sottoposti a molti sacrifici. Come spiega il professor Antonio Frassoldati, direttore del Dipartimento Oncologico/medico specialistico e dell’Unità operativa di Oncologia clinica dell’Azienda ospedaliero universitaria di Ferrara, la gestione del dipartimento oncologico di Ferrara si sia adattato alle esigenze sanitarie.

“Nella prima ondata pandemica – spiega Frassoldati – il settore ambulatoriale e di Day Service è stato soprattutto impegnato in azioni di triage telefonico, triage in loco, allestimento di percorsi differenziati e riprogrammazione delle attività. Nella fase di ripresa è stato necessario riconsiderare i tempi di esecuzione delle singole attività, che sono stati allungati rispetto agli standard precedenti e che hanno ovviamente richiesto un maggior impegno orario del personale. Nella nuova ondata un maggior lavoro è stato anche richiesto dalla necessità di proseguire sostanzialmente tutta l’attività e, nel contempo, partecipare alla gestione dei reperti di ricovero dei pazienti positivi al Covid-19”.

Anche nel Policlinico di Modena la situazione è simile e come riporta il Responsabile SSD DH Oncologico Gabriele Luppi: “Oltre alla riduzione o sospensione delle attività ambulatoriali di follow-up degli screening oncologici e di alcune terapie ritenute differibili, come le terapie di ‘mantenimento’, sono state da subito messe in atto varie modalità di telemedicina con lo scopo di rassicurare i pazienti, effettuare un triage pre-accesso alla struttura, il monitoraggio delle terapie orali e visite di follow-up. Per molti pazienti l’oncologo di riferimento è stato forse il medico più vicino e accessibile per ogni tipo di problema. La partecipazione delle oncologie della Regione Emilia-Romagna, a sondaggi e protocolli osservazionali, è stata ampia e convinta per la comune necessità di aumentare le conoscenze sull’infezione da Covid nei pazienti oncologici. La letteratura scientifica al riguardo è stata ricca di contributi, con conclusioni non univoche, in particolare per quanto riguarda il rischio legato all’immunoterapia”.

Dello stesso parere è il dottor Fabio Falcini, Direttore della Prevenzione Oncologica di Forlì e Cesena, che analizza il contesto con una chiave più ottimistica: “Con l’arrivo della pandemia il sistema sanitario ha riscontrato vari difetti a livello logistico ed organizzativo, anche se la crisi sanitaria ha portato a nuove soluzioni, come il rafforzamento della telemedicina e il consolidamento delle reti oncologiche, mettendo in stretta relazione il paziente e il territorio con lo scopo di rendere le terapie più personalizzate possibili. La comunità scientifica ha inoltre sdoganato l’uso delle terapie chemio-orali a base di farmaci che permettono al paziente di proseguire la cura a domicilio, ovviamente sotto la supervisione del medico curante”.

Questa tragedia sanitaria ha quindi portato anche a un perfezionamento di alcuni aspetti della sanità oncologica, e si auspica che i nuovi metodi impiegati non siano abbandonati dopo l’emergenza ma che, anzi, possano accrescere la cura e il follow-up tra medico e paziente.

di Maria Golban

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