Come si previene il maschilismo?

Teorie e tecniche sull’educazione alla diversità per evitare che i bambini di oggi siano i maschilisti di domani

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Crescere un figlio implica molto di più della preoccupazione per i pannolini sporchi, per le visite pediatriche e per tutto ciò che serve alla crescita fisica di un infante. Infatti, sono tanti gli aspetti dello sviluppo che devono essere presi in considerazione: l’educazione, le buone maniere, la pazienza, il rispetto, e molto altro. Crescere un maschio o una femmina implica rispettive problematiche e preoccupazioni. Nel crescere una bambina è importante insegnarle a farsi valere, farsi sentire e rispettare; cose che è certamente importante insegnare anche a un maschio. Ma cosa si può fare per evitare che i bambini di oggi siano i  maschilisti di domani?

Elena Luciano, Professoressa Associata in Pedaogia generale e sociale all’Università  di Parma, spiega: “i bambini fino ai 6  anni vivono in una fase della vita molto sensibile e ricca, una fase in cui si fondano le basi di quella che sarà l’identità dell’individuo”. Il cervello infatti è molto plastico e il bambino ha una ‘mente assorbente’parola chiave per educatori come Maria Montessori, che usava questo termine per spiegare la tendenza del bambino nei primi anni di vita all’assorbimento inconsapevole dei dati del suo ambiente.

L’educazione si forma dentro al mondo, all’interno dell’ambiente, con i genitori ma anche con educatori ed insegnanti. Nidi e scuole d’infanzia possono avere dunque un ruolo essenziale nell’educazione alla diversità. Ma come si può fare?

La professoressa Luciano sostiene che alcuni strumenti concreti potrebbero essere l’uso di un linguaggio comune, con termini che indichino la presenza di bambini e bambine, oppure l’uso di giochi senza distinzioni o giudizi, lasciando al bambino la libertà di scelta e togliendo le aspettative che inconsciamente si formano pensando ad un gioco per bimbi o bimbe. Un altro strumento molto prezioso sono i libri, in quanto l’educazione alla lettura è fondamentale: compito dell’educatore è per esempio la scelta del libro stesso, cercando di evitare testi in cui le stereotipizzazioni di genere (come “la mamma lava e stira, il papà va a lavoro”) sono ancora molto presenti.

Approcciando invece la questione della virilità maschile ossia il fatto che culturalmente parlando l’uomo deve essere virile, non può piangere e non deve mostrare emozioni, ci si ritrova con diversi effetti collaterali. In primo luogo, si corre il rischio di arrivare ad una società in cui chi mostra eccitazione, turbamento o altre emozioni viene etichettato unicamente come ‘femminuccia’. Come però afferma Iria Marañón nel suo saggio Educare al femminismo, “Piangere è l’espressione di un sentimento come un altro. Anche i bambini piangono, possono e devono farlo se qualcosa li fa star male. Esprimere i propri sentimenti non è una cosa negativa, è ciò che ci caratterizza come esseri umani, ed è giusto farlo”.

Inoltre, se rendessimo ‘normale’ insegnare ai bambini ad essere sensibili e rispettosi nei confronti di chiunque, si potrebbe arrivare ad un punto in cui allontanarsi dagli standard classici non sarà più visto come anticonvenzionaleMarañón a questo riguardo dice che “la costruzione sociale del maschio va rivista perché anche i maschi hanno il diritto di decidere come vogliono essere e di non aderire ai cliché che li presuppongono in un modo o in un altro”. Questo, oltre a dare una maggiore libertà di espressione, può anche aiutare a ridurre l’omofobia e in generale aumentare il rispetto e l’accettazione per tutto ciò che non è considerato ‘standard’.

Gli stereotipi di genere sono nell’aria, e vengono facilmente colti dai bambini che sono creature competenti e in grado di imparare velocemente. Quello che deve cambiare è allora il valore che le persone hanno dell’essere donna e dell’essere uomo. Gli adulti infatti hanno fin dalla nascita dei figli delle aspettative e delle idee che gli sono state trasmesse inconsciamente su cosa deve fare ed essere un bambino. Infatti, un bambino che a 3 anni dice “non voglio la maglietta rosa”, non è nato così, ma la “colpa” è da attribuire al contesto, anche implicito, in cui è cresciuto. Per evitare che queste ideologie vengano trasmesse anche ai figli, è importante prendere coscienza e cercare di superare interiormente le aspettative sul genere.

Infine, per l’educazione di un bambino o di una bambina, è indubbio il fatto che sia importante sia l’impronta della mamma che quella del papà. Alla base di tutto vi è infatti l’educazione impartita dai genitori e da ciò che i figli sentono da genitori e nonni. Per combattere lo stereotipo, bisogna partire dal principio, ossia dall’idea – sbagliata – che sia la madre a definire l’educazione dei figli. Simona Argentieri nel suo libro “Il padre materno”, mette in evidenza quanto anche il padre sia fondamentale nella crescita del figlio, fin dalla più tenera età. Questo significa che, prima di tutto, un figlio maschio che ha ricevuto fin da piccolo una buona parte di educazione impartita anche dal padre, crescerà meglio perché saprà sviluppare con lui un rapporto reale.

Tuttavia, sebbene il rapporto figlio-padre sia molto importante e quasi essenziale nella crescita di un bambino, oggi le neo-mamme hanno un sistema di supporto molto ampio e in generale hanno molte più fonti da cui prendere spunto sulla crescita del bambino. Lo stesso non si può dire degli uomini, che spesso non sanno a chi rivolgersi o dove chiede re aiuto in caso di necessità.

Il blog ThriveGlobal riporta uno studio Pew del 2015  su genitori e social media che rilevava come il 66% delle mamme avesse trovato utili informazioni genitoriali sui social media, negli ultimi 30 giorni, rispetto a solo il 48% dei papà. E mentre il 50% delle mamme ha trovato supporto sociale o emotivo in tema di genitorialità, sui social media, questo è vero solo per il 28% dei papà. Questi dati evidenziano come quello appena esposto rappresenta un problema radicato negli stereotipi di genere, che tutt’ora impediscono alla nostra società di riconoscere, culturalmente parlando, la parità genitoriale.

Esclusi i pochi strumenti adottabili, citati sopra, la prevenzione del maschilismo nell’educazione infantile resta un ambito molto teorico. Ciò non toglie che è la sua trattazione è di fondamentale importanza.

“Pink is the new black” di Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi

 

Un approfondimento del tema lo offre il libro “Pink is the new black”, dove Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi si chiedono quando e perché è divenuto così di moda associare, per esempio, un colore ad un gender. Le due autrici, attraverso una ricerca sugli stereotipi di genere nelle scuole di infanzia genovesi, lavoro empirico durato due anni, hanno provato a rispondere a queste e altre domande, parlando con le insegnanti, facendo osservazione nelle classi e provando a catturare il punto di vista creativo dei bambini. Un saggio breve e stimolante, ricco di spunti di riflessione e estremamente importante per capire i meccanismi che si nascondono dietro la costruzione di genere.

 

di Xhesara Hasrami

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