Paolo “Pablito” Rossi: omaggio ad un Campione dentro e fuori il campo

Paolo "Pablito" Rossi: omaggio ad un Campione dentro e fuori il campo

Dopo il 10 viene il 20. Appena due settimane dopo la scomparsa di Diego Maradona, il calcio perde un altro suo campione: Paolo ‘Pablito’ Rossi, spentosi la notte del 10 dicembre presso l’Ospedale Le Scotte di Siena a causa di un male incurabile. A dare la notizia è stata la moglie. Il calcio piange un calciatore umile e gentile, che mai si è definito un campione, ma un semplice giocatore che: “ha messo le sua qualità al servizio della buona volontà”.

Il sogno di un ragazzo di Prato

“Non importa da dove veniamo, o da quale condizione politica, sociale o famigliare. L’importante è dove vogliamo arrivare. Quello che vogliamo fare. Dovete credere nei vostri sogni, nel sogno della vostra vita e fatelo con passione, coraggio e rispetto”. Così diceva Paolo Rossi, nato nella piccola Prato e che, nel corso della sua carriera ha avuto l’onore, e il merito, di vestire le casacche di grandi squadre come Juventus, Milan e della Nazionale Italiana, con la quale fu protagonista nella vittoria del Mondiale di Spagna’82. Si tratta di una carriera segnata da successi, cadute ed epiche rimonte: “La mia è stata una carriera di alti e bassi, una vera corsa ad ostacoli. Ho avuto sempre la forza di superare questi ostacoli. Fin da bambino mi piaceva vincere e questo mio spirito di competizione l’ho sempre portato con me e mi ha fatto vincere tutto”. Cresciuto in una famiglia di sportivi, da bambino più volte era scappato di casa per andare a Santa Lucia, una frazione di Prato, per andare a giocare a pallone e, come lui stesso ha dichiarato, consumava un paio di scarpe a settimana.

Paolo Rossi è stato un ottimo ‘predatore dell’area di rigore’, la sua abilità stava in un incredibile senso della posizione e nella capacità di illudere il marcatore, qualità molto difficili da insegnare e che pochi attaccanti come lui sono stati capaci di sfruttarle nel migliore dei modi. Se ne accorse per primo l’allora presidente del Lanerossi Vicenza Giuseppe Farina che, nella stagione di Serie B 1976/77, chiama in panchina Giovan Battista Fabbri e un vent’enne Paolo Rossi da poco scartato dalla Juventus. Le 21 marcature di Rossi, con le quali si laurea capocannoniere della serie cadetta, portano i vicentini in Serie A. La stagione successiva vince nuovamente il titolo di capocannoniere (24 reti) consentendo al neo-promosso Vicenza di chiudere il campionato al secondo posto dietro la Juventus. Grazie alle sue ottime prestazione il ct dell’Italia, Enzo Bearzot, lo convoca per il Mondiale in Argentina del 1978.

La Juventus si accorse di aver commesso un grave errore ad aver ceduto Rossi al Vicenza e subito lo rivolle indietro. I due club furono protagoniste di un clamoroso affare di mercato, al termine del quale non venne trovato un accordo per la risoluzione della comproprietà e così si andò alle buste. L’offerta più alta fu quella di Farina che, forte la sua volontà di tenere il suo pupillo, per metà cartellino offrì al presidente juventino Giampiero Boniperti 2 miliardi e 612 milioni. Una cifra che, all’epoca, non si era mai vista e questo suscitò grande scalpore sia tra i club che nella FIGC: il Presidente Franco Carraro si dimiseFarina dichiarò: “Mi vergogno, ma non potevo farne a meno: per vent’anni il Vicenza ha vissuto degli avanzi. E poi lo sport è come l’arte, e Paolo è la Gioconda del nostro calcio”

Dal calcioscommesse al Pallone d’Oro

In 15 anni di carriera, di cui solo 8 da professionista, Paolo Rossi fu impegnato in tutto in 341 partite ufficiali. Quella più difficile la giocò il 23 marzo 1980, ma non in campo, in tribunale. Pablito, insieme ad altri 12 giocatori, viene arrestato per calcioscommesse con l’accusa di aver truccato la partita Perugia-Avellino, finita 2-2 con doppietta dello stesso Rossi, nelle file dei perugini. Uno dei pochi risultati finiti come Trinca e Cruciani desideravano. Essendo il calciatore più famoso tra quelli indagati ne diventa in pratica il capro espiatorio, come se tutti gli occhi fossero puntati solo su di lui. Viene squalificato per due anni, non prendendo parte all’Europeo che si sarebbe svolto proprio in Italia: “Mi è crollato il mondo addosso. Sono scappato a casa a Prato, e ho visto mio padre disperato e mia madre che piangeva: lì ho realizzato davvero cosa mi era capitato. Mi avevano tolto due anni di lavoro, due anni di vita“. Se era tutto frutto di una combina, allora perché squalificare solo Rossi e non i suoi ‘complici’: “Ho pensato di lasciare l’Italia”.

La fiducia dell’allenatore della Nazionale Bearzot e del presidente Fontana furono come una medicina durante gli anni di squalifica, entrambi credono nel suo illimitato potenziale, per questo il tecnico friulano, contro ogni pronostico, lo convoca per la spedizione mondiale in Spagna al posto di Pruzzo (fresco vincitore della classifica marcatori della stagione appena conclusa). Le prime partite sono un disastro. Tre pari con Polonia, Perù e Camerun: qualificazione per differenza reti. Critiche, polemiche e Rossi che non segna. Anzi, è un fantasma. Tutti vogliono la sua testa.

“E’ proprio nei momenti difficili che devi stringere i denti per non mollare la presa che ti tiene in vita”, diceva Carlo Prevale. E Rossi, il 5 luglio 1982, ritrova quelle energie, quella voglia di vincere che negli ultimi anni non è riuscito a tirare fuori, o che non gli hanno consentito di farlo. Nello ‘scontro dello scontro’ con il Brasile Paolo ritorna Pablito: tripletta e Brasile a casa. Stampa, tifosi e giornalisti cambiano completamente rotta, dalle critiche agli elogi: “Ho pensato che quei tre goal mi avessero tolto il tempo perso. Il primo fu il più bello della mia vita, perché fu come una liberazione”. Rossi non si ferma più, torna a fare quello che sa fare meglio: segnare. E dopo il Brasile anche Polonia e Germania si fanno da parte: doppietta contro i polacchi e una rete nel 3-1 finale contro i tedeschi. Dopo 44 anni l’Italia torna ad essere Campione del Mondo e Rossi vince anche il premio come miglior marcatore con 6 reti, realizzate solo nelle ultime tre partite: “Feci solo mezzo giro di campo coi compagni: ero distrutto. Mi sedetti su un tabellone a guardare la folla entusiasta e mi emozionai”.

Rossi si è dimostrato in questo modo capace non solo di essere un campione come calciatore, ma anche come uomo: ha accettato una sentenza da lui ritenuta ingiusta e ha saputo reagire senza puntare il dito contro nessuno. Il 1982 si conclude in bellezza con la vittoria del Pallone d’Oro, che lo rende il terzo italiano a riuscirci dopo Omar Sivori e Gianni Rivera.

Oltre al Mondiale di Spagna ’82, la bacheca di Rossi conterà anche 2 scudetti, 1 Coppa Italia, 1 Coppa delle Coppa, 1 Coppa dei Campioni (giocata dopo la tragedia dell’Heysel) e 1 Supercoppa Europea.

Passione, intuito, divertimento, voglia di vincere e rispetto. Queste sono le doti che hanno caratterizzato Paolo Rossi, un semplice ragazzo che amava il gioco del calcio, dai commenti sempre garbati, gentile e intelligente, sempre nel posto giusto e al momento giusto: sia dentro il campo che fuori. Se ne sono accorti anche i paesi che Pablito a fatto piangere in quel Mondiale magico.

di Mattia Celio

 

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