Povertà a Parma: la pandemia ha creato una nuova classe di indigenti

Per capire come il Covid-19 abbia influito sull'indice di povertà abbiamo intervistato Bruno Scaltriti, responsabile della Comunità di Sant'Egidio di Parma, e Arnaldo Conforti, direttore di CSV Emilia.

Da anni il numero dei poveri cresce inesorabilmente. Senzatetto, venditori ambulanti, stranieri soli e in rovina, ma non solo: la pandemia ha creato una nuova classe di poveri, formata da categorie insospettabili, che fino a pochi mesi fa vivevano vite umili, ma serene e ora si trovano costretti a chiedere aiuto. Per capire come il Covid abbia influito sulla condizione dei poveri di Parma, abbiamo intervistato Bruno Scaltriti, responsabile della Comunità di Sant’Egidio della città, e Arnaldo Conforti, direttore di CSV Emilia, il Centro Servizi per il Volontariato di Parma, Reggio Emilia e Piacenza, nato dalla fusione dei tre precedenti Centri provinciali per il volontariato: SVEP, Forum Solidarietà e DarVoce.

La situazione della povertà sul territorio

La povertà, nella nostra città, da anni continua a crescere, portando sempre più persone a vivere alla giornata e a chiedere aiuto. Come ci spiega Bruno Scaltriti, la povertà cresce di pari passo con la crisi economica, nonostante la Food Valley garantisca molti posti di lavoro.

Sul territorio c’è molto lavoro, ma negli ultimi anni, dal 2008 in poi, l’economia non è andata certo bene. Ovviamente, quando l’economia va bene la povertà diminuisce, quando l’economia va male la povertà aumenta. Fortunatamente qui ci sono molte aziende alimentari, le cosiddette aziende anticicliche, che restano sempre operative perché nessuno rinuncia al cibo. Questo fa sì che la povertà si senta meno rispetto ad altre parti”.

Dal profilo Facebook della Comunità di Sant’Egidio

Dello stesso avviso anche il direttore Arnaldo Conforti, che ha spiegato come nella zona parmense la povertà continui a crescere, ma a ritmi molto minori rispetto ad altre zone d’Italia e d’Europa. 

Il povero non è più (solo) lo straniero

La concezione che gran parte dei poveri sia di origine straniera perde presa e credibilità di anno in anno. La pandemia ha dato l’ennesima conferma che a vivere in condizioni di disagio sia economico che relazionale ormai siano anche moltissimi italiani, parmigiani da generazioni.

La povertà sta colpendo tutti, nell’ultimo periodo soprattutto italiani. Lo stereotipo che i poveri siano quasi tutti stranieri va assolutamente superato. Non è così. Il povero è quello che lavorava tranquillamente in azienda e l’azienda ha chiuso. Il povero è il libero professionista che ha dovuto chiudere. Il povero è quel commerciante che non ha più clienti”. Dalle parole di Arnaldo Conforti si evince come la povertà abbia ormai radici profonde in tutti gli strati sociali. L’idea di povero come senzatetto risulta oggi molto riduttiva, e spiega come i senza dimora siano solo la punta dell’iceberg. 

“La quantità di senza dimora è una minoranza dei poveri totali, una minoranza che c’è ancora ed è aumentata, ma è solo la punta dell’iceberg. Oggi il povero è colui che fino a poco tempo fa faceva una vita normalissima, lavorava a diversi livelli e oggi ha perso il lavoro, e moltissime famiglie italiane fanno parte di questa categoria. Riguarda anche categorie che fino a poco tempo fa erano insospettabili. Ci sono attività che non lavorano da Marzo. Chi ha familiari che li possono sostenere se la cava, ma non tutti hanno questa  fortuna”.

Dal profilo Facebook di Caritas

Anche Bruno Scaltriti della Comunità di Sant’Egidio ha sottolineato come molti italiani si siano fatti avanti, mettendosi in fila alla distribuzione di generi alimentari che ogni lunedì la Comunità offre in stazione, nonostante per una famiglia italiana risulti più umiliante chiedere aiuto in modo così diretto.

“Ogni lunedì andiamo in stazione a distribuire generi di conforto, come pane, acqua e salume, soprattutto per i  senzatetto. In precedenza venivano in stazione anche famiglie, ma loro le abbiamo dirottate su un servizio di consegna pacchi. Infatti, prima di venire in stazione, una famiglia italiana ci pensa molto. Noi attraverso i pacchi serviamo molte famiglie italiane con sugo, pasta, fette biscottate, tonno e altri generi di prima necessità, mentre diciamo che in stazione uno ci viene quando è proprio a terra. In totale sono circa un centinaio le persone che vengono in stazione ogni lunedì e circa quaranta le famiglie, di cui molte italiane, che ricevono il pacco settimanalmente”. 

L’impatto del Covid sulla condizione dei poveri

Se la pandemia ha creato nuovi poveri, che prima di Marzo non avevano nemmeno mai pensato alle associazioni di volontariato, per tutti quelli che poveri lo erano già il Covid ha indubbiamente complicato ulteriormente la vita.

Durante il primo lockdown tutti cercavano di stare a casa, ma qualcuno una casa non ce l’aveva. Fortunatamente – ha dichiarato il responsabile della Comunità di Sant’Egidio – i dormitori sono attrezzati per ospitare anche di giorno, e diciamo che durante il lockdown, a parte alcuni irriducibili, le persone hanno trovato un luogo dove stare”.

Trovare un luogo riparato in cui dormire era ovviamente una priorità per tutti, ma non era l’unica preoccupazione dei poveri, che hanno perso anche i piccolissimi guadagni con cui in precendenza cercavano di sostentarsi.

“Ovviamente tutta l’economia informale, chiamiamola così, ha cessato di esistere. Ad esempio le piccole offerte che le persone facevano in strada sono venute a mancare, così come piccoli lavoretti che molti poveri svolgevano abitualmente. Per quanto riguarda il post lockdown ci sono alcuni poveri che non si sono risollevati perché alcuni settori, come quello legato alla fieristica o alla ristorazione, non hanno ripreso. Ad esempio, qualcuno prima montava gli stand alla fiera oppure lavorava in una cucina, e sono tanti i lavapiatti o aiuto cuochi che non hanno ripreso. Questo fa capire come ci siano famiglie che hanno una casa però ricevono ugualmente il pacco o vengono in stazione, perché riescono a malapena a pagare l’affitto e non hanno i soldi per fare la spesa”.

Dal profilo Facebook della Comunità di Sant’Egidio

Scaltriti ha poi proseguito indicando una serie di difficoltà derivanti dalla pandemia che hanno impedito ai volontari di operare in aiuto ai più bisognosi.

Noi, oltre all’andare in stazione, abbiamo tre doposcuola per i bambini delle elementari, andiamo a visitare gli anziani alla casa di riposo e a casa e gestiamo una scuola di italiano per adulti stranieri. Chiaramente, quando le scuole erano chiuse abbiamo sospeso i dopo scuola e quando le scuole hanno riaperto abbiamo dovuto aprire a piccoli gruppi, per evitare assembramenti. Le visite agli anziani invece sono state del tutto sospese, e questo è ciò che ci ha feriti di più. Abbiamo cercato di sentire comunque gli anziani tramite telefono o fornendo dei tablet per fare videochiamate, ma nonostante questo gli ospiti delle case di riposo hanno sofferto veramente tanto. La scuola di italiano invece è dovuta continuare online, e questo ha portato altri problemi, perché non tutti avevano la possibilità di collegarsi alla rete o disponevano di una connessione sufficientemente forte per seguire le lezioni”. 

Una bomba sociale all’orizzonte

Il direttore di CSV Emilia ha invece definito una “bomba sociale” il Covid abbattutosi sulla condizione dei poveri. “Credo che il Covid abbia influito molto sulla situazione dei più bisognosi. Non è un caso che si sia dovuti arrivare a misure estreme; se i governi hanno dovuto mettere in campo delle misure di erogazione diretta di denaro sui conti correnti di tante persone significa che ha cercato di arginare la situazione, ma arginare non significa risolvere. Ben venga che ci siano state queste misure, ma hanno solo arginato il problema. Si deve tenere conto che in tante situazioni si sta ricorrendo alla cassa integrazione straordinaria, quando questa finirà cosa succederà? C’è una bomba sociale all’orizzonte“. 

Dal profilo Facebook della Comunità di Sant’Egidio

Il direttore Conforti ha poi continuato descrivendo la situazione paradossale dei volontari durante la pandemia: “A un certo punto ci siamo trovati con troppe persone disponibili e non abbastanza possibilità di impiegarle. Tante associazioni non hanno potuto operare, quindi si è creata una situazione paradossale: aumento di disponibilità di volontari ma diminuzione delle possibilità di impiego“. 

Come è cambiata la visione che la società ha dei poveri

Spesso, tra le vie del centro, molti cittadini evitano i senza dimora, attraversano la strada, si voltano dall’altra parte, li ignorano. Si notano fenomeni di paura nei confronti di chi, umilmente, si reca alle mense dei poveri o si mette in fila per ricevere una piccola busta della spesa. Negli anni la consapevolezza dei cittadini riguardo i poveri è cambiata molto, anche grazie alla maggior consapevolezza del fatto che non esiste solo la povertà economica.

Io credo che oggi sia cambiato tutto – ha spiegato Arnaldo Conforti – una volta il povero era il senza fissa dimora, oggi il povero è anche la persona che lavora e ha uno stipendio o retribuzione che non è sufficiente per mantenersi. La povertà non è solo economica, ma esiste anche una povertà nata dall’insicurezza del non avere un lavoro sicuro che non ti permette di progettarti una vita, farti una famiglia e comprarti una casa. Il povero è chi è in una situazione lavorativa che sa essere precaria. Oggi ce l’hai e domani rischi di non averlo più; non puoi vivere una vita serena in queste condizioni. Esiste la povertà assoluta ma anche la povertà relativa, che non ti permette di immaginare il futuro. E chiarisco il concetto: non c’è solo la componente economica, c’è una povertà caratterizzata dalla precarietà, dal dover combattere ogni giorno per trovare l’equilibrio, e c’è poi una povertà relazionale, di mancanza di capitali sociali, di solitudini, e questa povertà non è inferiore a quella economica. Chi si trova sia in povertà economica che in povertà relazionale si trova in una morsa da cui è molto difficile uscire“. 

Scaltriti ha invece sottolineato come la nostra città abbia sempre avuto un rapporto altalenante con la povertà, specificando però che gli anni, e la pandemia, hanno aiutato i cittadini ad essere più empatici e consapevoli, dimostrandosi disponibili verso i più bisognosi.

Allora: da una parte c’è sempre la paura, e credo che l’idea che il povero ti possa “contagiare” un po’ ci sia, anche perché la nostra è una città dove l’”arrivare”, il successo, è una cosa molto presente. D’altro canto però il fatto che ci sentiamo tutti più fragili ci ha fatti scoprire più vicini e sulla stessa barca. Io vedo questi due sentimenti contrapposti, come sul Titanic: da una parte quelli che cercano di arrivare prima alla scialuppa di salvataggio, spingendo e scalciando tutti quelli che si trovano davanti; e dall’altra parte, secondo me, c’è qualcuno disposto a rimanere indietro, che poi cerca di remare insieme agli altri, sulla stessa scialuppa, per far arrivare tutti sani e salvi”. 

 

di Alex Iuliani

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