Myanmar, un paese che ancora combatte per la democrazia

La tortuosa via di un paese per la conquista delle libertà democratiche può insegnarci a non dare per scontato anche ciò che riteniamo più ovvio

All’alba del 1° febbraio scorso, nella Repubblica del Myanmar, si è compiuto un colpo di stato che ha visto l’esercito birmano (Tatmadaw), comandato dal generale Min Aung Hlaing, destituire e arrestare il presidente Win Myint e la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi (Premio Nobel per la pace 1991) dichiarando lo stato di emergenza per almeno un anno. Quali sono le cause che hanno portato al golpe? Come si svilupperà la vicenda? Perché ce ne interessiamo? Proviamo a chiarire qualche dubbio.

Dalle origini alla II guerra mondiale

Riassumere la lunga storia della Birmania può aiutarci a capire alcuni meccanismi chiave che regolano fortemente i recenti sviluppi. Tutto inizia con l’insediamento di diverse città-stato abitate dal popolo Pyu lungo il fiume Irrawaddy intorno all’anno 200 a.C. Durante l’XI secolo furono uniti sotto il Regno di Pagan, gettando le basi dello stato birmano. Nel XIII secolo Pagan divenne facile preda degli eserciti mongoli, che disgregarono il regno nel 1297.

Diversi stati più deboli seguirono nei secoli a venire, come Myinsaing, Pinya e Ava. La Birmania fu nuovamente repressa all’inizio del XVI secolo dai popoli Shan a nord, tutto culminò con la distruzione di Ava nel 1527. Dalle rovine emerse una nuova dinastia Toungoo che iniziò a dominare il sud-est asiatico per i due secoli successivi.

I disordini politici nel XVIII secolo portarono all’ascesa della dinastia Konbaung, che governò tutta la Birmania fino a quando fu conquistata dall’impero britannico attraverso tre guerre tra il 1824 e il 1885. Occupata dal Giappone durante la Seconda guerra mondiale, la Birmania ottenne l’indipendenza nel 1948.

Prima di proseguire col racconto è necessario sottolineare che le molteplici invasioni e dispersioni del popolo birmano hanno fortemente contribuito alla segregazione di molteplici etnie all’interno dello stato stesso, che tutt’ora vede al suo interno la presenza di 8 gruppi etnici principali, a loro volta suddivisi in 135 gruppi etnici indigeni. Riuscire a far convivere pacificamente un così variegato e consistente numero di culture e gruppi sociali è senza dubbio un’impresa ardua. Di fatto, dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, in Myanmar si registra quella che molti storici osano definire la più lunga guerra civile al mondo. A poco son serviti i vari tentativi di tregua o cessate il fuoco, è ormai da 70 anni infatti che i vari gruppi entici (quasi tutti armati) tentano di dichiarare la propria indipendenza.

 

Principali etnie del Myanmar

La Repubblica Indipendente

Il 4 gennaio 1948 la nazione si trasformò in una repubblica indipendente, conosciuta come Unione della Birmania. Finita la guerra, e conquistata l’indipendenza dal Regno Unito, venne istituito un governo democratico, ma la massiccia frammentazione etnica non tardò a mostrare le sue conseguenze. Le minoranze (chin, kachin, karen, mon e shan) cominciarono infatti ad avanzare la richiesta di formare uno stato federale, portata avanti con una guerriglia contro lo Stato.

In questo contesto di tumultuose lotte intestine si inserisce uno dei principali protagonisti delle più recenti vicende, ovvero l’Esercito della Birmania, che è tutt’oggi l’organizzazione responsabile della sicurezza nazionale e la difesa dello Stato. Dalla sua costituzione, avvenuta nel 1948, il Tatmadaw (nome ufficiale dell’esercito) è stato agente di repressione delle minoranze etniche indipendentiste. Nato con l’obiettivo di armonizzare le diverse etnie del paese si rivelò poi nei fatti come mera forza violenta e oppressiva nei confronti delle diverse minoranze.

Min Aung Hlaing, comandante in capo delle Forze armate della Birmania (bandiera) dal 2011

Il Golpe Socialista del ’62

Il governo democratico formatosi nel ‘48 fu destituito nel 1962 da un colpo di Stato militare condotto dal generale Ne Win. I vari pretesti furono le crisi economiche, religiose e politiche nel paese, in particolare quelle relative alla questione del federalismo e al diritto degli Stati birmani di separarsi dall’Unione. La “via birmana al socialismo” fu l’ideologia politica ed economica del Partito del Programma Socialista della Birmania (PPSB) presieduto da Ne Win. Benché di ispirazione marxista il PPSB non fu mai alleato della RPC o dell’Unione Sovietica, difatti il Partito Comunista di Birmania rimase il principale oppositore della dittatura militare organizzando una guerriglia che durò fino agli anni Novanta, quando la repressione militare costrinse i vertici del partito a scappare in Cina.

Rivolta 8888 degli studenti

L’8 agosto del 1988 lo sciopero nazionale (rivolta 8888) pianificato dagli studenti riempì le strade e le piazze della capitale con migliaia di manifestanti provenienti dalle più diverse classi sociali, tutti uniti sotto il simbolo del pavone, rivendicando a gran voce la necessità di un ritorno immediato ad uno stato democratico. Il 26 agosto, Aung San Suu Kyi (altra protagonista delle recenti vicende) tenne un famoso discorso davanti alla pagoda Shwedagon di fronte a mezzo milione di persone, dove chiese alla folla di cercare la pace con mezzi non violenti. La rivolta si concluderà un mese dopo, il 18 settembre, quando le truppe del Tatmadaw capitanate dal generale Saw Maung presero il potere con la forza, imposero la legge marziale e repressero brutalmente i manifestanti. Le Forze armate birmane respinsero la vecchia costituzione del ‘74 ed istituirono il Consiglio di Stato per la Restaurazione della Legge e dell’Ordine (SLORC).

Aung San Suu Kyi, Leader del partito birmano Lega Nazionale per la Democrazia (bandiera)

Golpe militare del ’90

Nel 1990 si tennero per la prima volta in 30 anni le elezioni libere. La Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi, portò alla neoeletta Assemblea costituente 392 membri su 485. Ma lo SLORC, spalleggiato dall’Esercito, si rifiutò di cedere il potere, rovesciando l’assemblea popolare e arrestando Aung San Suu Kyi e altri leader dell’NLD. Rimessa in libertà nel ’95 verrà nuovamente arrestata nel 2000, liberata nel 2002, nuovamente arrestata nel ’03 e liberata nel 2010.

Il vero fulcro della vicenda appare lampante. Le Forze armate (Tatmadaw) non rappresentano più solo un gruppo di uomini addestrati, ma una vera e propria forza di controllo politico che ha interessi diretti sul territorio, e in qualche caso il controllo di pezzi di economia e aziende. Solo 13 anni fa infatti, la giunta militare promulgò la nuova costituzione, la quale riserva alle forze armate il 25% dei seggi in parlamento. Pur essendo, la carta costituente, stata giudicata antidemocratica dalle varie opposizioni e dalla comunità internazionale, nel 2010 si tennero nuove elezioni che vennero però boicottate dall’NLD di Aung San Suu Kyi. Il Partito sostenuto dai militari (dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo – USDP) ottenne l’80% voti, probabilmente grazie ai massicci brogli elettorali che furono testimoniati dai pochi osservatori presenti.

La svolta liberale

Con l’acuirsi delle sanzioni internazionali che frenavano l’economia del Myanmar, il governo si vide costretto a concedere diverse riforme atte a ottenere una democrazia liberale, un’economia mista e la riconciliazione nazionale. Oltre al rilascio di Aung San Suu Kyi, fu istituita una Commissione Nazionale per i Diritti Civili, furono liberati 200 prigionieri politici, vennero promulgate leggi sul lavoro che garantivano la formazione del sindacato e il permesso di sciopero e venne allentata la censura sulla libertà di stampa.

L’8 novembre 2015 si sono svolte nuove elezioni parlamentari generali per rinnovare i seggi del parlamento eleggibili (il 25% dei seggi resta riservato a membri nominati dalle forze armate). Le elezioni, giudicate le più democratiche dal 1990, hanno visto la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi.

Golpe militare del 1° febbraio 2021

Cinque anni dopo, ovvero circa 3 mesi fa, si sono svolte le elezioni legislative per il rinnovo del parlamento birmano, in occasione delle quali ha vinto sempre l’NLD. Mentre l’USDP, vicino all’esercito, ha conquistato solo poche decine di seggi. Il 26 gennaio 2021, il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate, ha contestato i risultati del ballottaggio e ne ha chiesto la riverifica, altrimenti l’esercito sarebbe intervenuto per risolvere la crisi politica in corso.

Il consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente Win Myint e altri leader del partito al governo sono però stati arrestati e detenuti dal Tatmadaw, l’esercito del Myanmar. In seguito, le Forze armate hanno dichiarato lo stato di emergenza della durata di un anno e hanno affermato che il potere era stato consegnato al comandante in capo delle forze armate Min Aung Hlaing

In una dichiarazione televisiva, i militari hanno giustificato il golpe con la necessità di preservare la ‘stabilità’ dello Stato. Hanno accusato la commissione elettorale di non aver posto rimedio alle enormi irregolarità che sarebbero avvenute durante le ultime elezioni. L’esercito ha comunicato inoltre che verrà istituita una “vera democrazia multipartitica” e che il trasferimento dei poteri avverrà solo dopo “lo svolgimento di elezioni generali libere ed eque”.

Intanto però, le telecomunicazioni nel Paese hanno risentito gravemente degli eventi: le linee telefoniche nella capitale sono state tagliate, la televisione pubblica ha interrotto le trasmissioni per “problemi tecnici” e l’accesso a Internet è stato bloccato.

Blocco stradale organizzato dai militari birmani

La probabilità che eventi come questi vengano lasciati in sordina è piuttosto alta, pensiamo solamente alle tensioni di qualche settimana fa nel Tigrè (Etiopia), o al conflitto in Nagorno-Karabakh, le abbiamo già riposte nel dimenticatoio con non troppa difficoltà dopotutto. Eppure queste storie hanno molto in comune tra loro, e tutte possono insegnarci molto.

Luoghi divisi da regionalismi, bramosia del potere, l’uso spropositato della violenza sono tutte costanti in un mondo che alla fin fine viene abitato da una sola etnia, razza, cultura: quella umana.

 

di Micheal Nova 

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