Parlare da soli è davvero così strano?

Quante volte ci siamo chiesti perchè parliamo da soli? Lo psicologo Luca Caricati ha fatto un po' di chiarezza

Vi è mai capitato di parlare da soli o di osservare qualcuno farlo? Magari un amico, un parente o qualche estraneo che gesticola e pronuncia frasi che, per noi, sono senza senso. In base al contesto, questo comportamento può mettere in imbarazzo e far anche preoccupare a volte, fino a chiedersi: perché parliamo da soli?

Qualche spiegazione…

La nostra mente è spesso impegnata in processi di pensiero che riguardano i pensieri stessi: questa modalità viene chiamata meta-cognizione, e implica delle autoriflessioni sul fenomeno cognitivo. Queste riflessioni generalmente non sono verbalizzate, ma molti soggetti elaborano delle vere e proprie frasi, ripetute ad alta e a bassa voce, ritenendo che questo li aiuti a rimanere concentrati sull’obiettivo. Alcuni spesso parlano da soli quando si rendono conto di non avere nessuno intorno, per non infastidire gli altri o per non sembrare strani.

Ma parlare da soli è davvero così strano? “E’ una cosa assolutamente comune” – dice il professor Luca Caricati, psicologo – “Il dialogo con noi stessi c’è sempre, per autoregolarci. La comunicazione ha una funzione anche di regolazione con gli altri, oltre che con noi stessi”. Gli psicologi Daniel Swigley e Gary Lupya hanno pubblicato uno studio nell’aprile del 2012 su Taylor & Francis Online in cui affermano che parlare a se stessi rende il lavoro del cervello più efficiente. Ad esempio, per quanto riguarda l’elaborazione visiva, le etichette verbali possono cambiare l’elaborazione percettiva in corso: sentire esplicitamente la parola ‘sedia’ anzi che pensarla, può rendere temporaneamente il sistema visivo un miglior ‘rilevatore di sedia’.

I due psicologi hanno fatto un esperimento dove veniva chiesto ai partecipanti di cercare gli stessi viveri al supermercato: “I partecipanti hanno cercato oggetti comuni, mentre a volte veniva chiesto di pronunciare ad alta voce il nome del bersaglio. – scrive Lupya – Parlare facilitava la ricerca, in particolare quando c’era una forte associazione tra il nome e l’obiettivo visivo. Con l’aumentare della discrepanza tra il nome e l’obiettivo, parlare ha iniziato a compromettere le prestazioni”.

Tutto normale, anzi perfino utile

Parlare da soli può essere un modo positivo per incoraggiare e motivare se stessi. In che modo? Come auto-rinforzo, quando abbiamo bisogno di un complimento per un lavoro ben fatto o un traguardo raggiunto, o semplicemente per aumentare l’autostima. Nella gestione degli obiettivi, parlare a se stessi può aiutare a raggiungere uno scopo, un obiettivo personale, accademico, sportivo o di qualsiasi tipo: infatti pronunciare a voce alta le frasi che riguardano i passi da percorrere aiuta e mette a fuoco determinate soluzioni, schematizzando così la nostra organizzazione.

Oppure come dialogo interiore, che spesso è causato da una situazione di stress o da un’importante decisione imminente. Il dialogo interiore può essere motivazionale o istruttivo ed è importante distinguerli per il modo in cui vengono utilizzati in circostanze competitive: è stato dimostrato infatti che influiscono nelle prestazione sportive.

Il dialogo motivazionale è caratterizzato da frasi come Puoi farcela! ed è utile per gli sport che richiedono resistenza; l’altro invece è particolarmente efficace negli sport che richiedono tecnica e precisione e comprende frasi come Non dimenticare la respirazione oppure Ricordati di piegare le ginocchia. Luca Caricati spiega: “La comunicazione con se stessi serve innanzitutto per avere un controllo, un autoregolazione e per motivarci. Il dialogo interiore ha una funzione di regolazione cognitiva e di gestione delle emozioni: infatti tra queste, emozioni come rabbia e tristezza ci portano a chiudere la visione cognitiva. Il parlare da soli può essere un modo per regolare la reazione emotiva, liberare energie cognitive e per fare pratica, se uno deve preparare un discorso parla con se stesso per organizzarlo”.

Molto importante, inoltre, è tenersi lontani dal dialogo interiore negativo: anche se può sembrare utile in certe situazioni rimproverarsi dopo un errore che potevamo non fare, in soggetti tendenti alla depressione e all’ansia questo dialogo può diventare automatico in situazioni stressanti e cronicizzarsi nel tempo, come afferma Jason Moser, professore associato di Psicologia alla Michigan State University.

Per capire se questa forma di dialogo è qualcosa di psicopatologico bisogna notare la frequenza con la quale viene utilizzata ed essere consapevoli di quale sia la motivazione del suo utilizzo. “La consapevolezza è importante – dice Luca Caricati – Se una persona è consapevole di parlare con se stessa per una motivazione che può essere quella di regolazione, di preparazione o di focalizzazione dell’attenzione è normale. Se crede davvero che esista un interlocutore immaginario, no. Attenzione però, ci sono persone per esempio che sono sole, che aumentano i dialoghi con se stessi per far fronte al loro isolamento, questo è un aspetto problematico, ma non psicopatologico”.

Secondo Live Science, inoltre,  può essere molto utile soprattutto nell’infanzia: parlare a se stessi infatti può aiutare i bambini a diventare più sicuri e a prendere confidenza con le loro capacità. I bambini imparano così a conoscere e a capire il mondo parlando delle loro azioni. In questo modo ricorderanno più facilmente come hanno ‘risolto’ determinate situazioni.

Insomma, parlare da soli è una cosa perfettamente normale, succede ad ogni età e ha diverse funzioni e caratteristiche. Quindi, a meno che non sentiate voci nella testa che rispondono alle domande che vi siete posti, potete stare tranquilli.

 

di Lorenzo Barizza

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*