La superba vanità del primo film in era Covid: “Malcolm & Marie”

Recensione della prima pellicola creata e diffusa durante la pandemia da Covid-19, simbolo di un periodo problematico anche per la Settima arte.

Solamente 22 persone coinvolte e 14 giorni a disposizione: queste sono le premesse imprescindibili su cui basare le riflessioni inerenti Malcolm & Marie, una pellicola indipendente distribuita da Netflix, nonché la prima interamente sviluppata in “era Covid”. Indubbiamente un esperimento interessante ed è inevitabile riconoscere il giusto merito a una piccola squadra che ha collaborato alla sua realizzazione in un tempo così limitato e in condizioni a dir poco particolari, ma il risultato finale non colpisce pienamente nel segno. Forse perché la fatica maggiore sta proprio nell’intuire quale sia questo ‘segno da colpire’?

Amore e cinema: due lame a doppio taglio 

Una coppia rientra a casa dopo una serata speciale. Lui, Malcolm, è un regista afroamericano emergente, in ascesa. Lei, Marie, è una modella e attrice che non riesce ad affermarsi. Sono di ritorno dalla prima dell’ultimo film di lui, che è stato un grande successo.

Malcolm è euforico, entusiasta, fastidiosamente pieno di sé. Mentre lui si versa da bere e improvvisa un balletto casalingo – sulle note di Down and Out in New York City di James Brown, prima delle varie canzoni che accompagneranno (fortunatamente) lo spettatore nell’arco della visione – lei, silenziosamente, prepara qualcosa da mangiare e si percepisce chiaramente che qualcosa la infastidisce. Si scopre presto che, nel corso della serata, Malcolm ha tenuto un discorso dove ha ringraziato molte persone, ma non Marie. Da qui la rabbia e la delusione della giovane donna e un’escalation di litigi in una nottata che parrà infinita.

Fiumi di parole, urla e lacrime si accavallano in discussioni che coinvolgono tanti, forse troppi, argomenti e soprattutto emozioni. Si parla molto di cinema e della critica odierna. Ed è evidente che lo stesso regista del film, Sam Levinson, abbia voluto togliersi qualche ‘sassolino dalla scarpa’ e scagliare invettive contro alcuni recensori. Ma il film verte anche sul passato dei due protagonisti: le loro relazioni precedenti e la tossicodipendenza di Marie, del loro rapporto attuale, che scade nella tormentata e malsana storia d’amore (se così poi effettivamente si può chiamare) tra l’artista e la sua musa.

Tutto questo viene condensato in 1 ora e 45 minuti che, nel loro corso, diventano a tratti snervanti, per poi risollevarsi in alcune scene più coinvolgenti e condurre verso l’agognato – a prescindere da come esso effettivamente sia – finale. La grande vittoria personale, in ogni caso, è essere giunti al termine della visione.

Foto di Dominic Miller (Netflix)

Tra bravura e arroganza: troppe cose non funzionano

Il già citato regista Sam Levinson è anche il creatore della serie tv Euphoria con protagonista Zendaya (Spider-man: Homecoming; The Greatest Showman; Spider-man: Far from Home). È stata proprio la giovane attrice a chiedergli – dato il momentaneo stop nella produzione della seconda stagione a causa della pandemia – se fosse possibile realizzare, nel frattempo, un film. Ed ecco che ha preso vita “Malcolm & Marie”, con la stessa Zendaya e David Washington (Tenet; BlacKkKlansman), che figurano anche tra i produttori della pellicola. I due interpreti non deludono: entrambi risultano convincenti e, in particolare, Zendaya con i suoi 24 anni – non ancora compiuti nel periodo della realizzazione del film – afferma nuovamente il suo grande talento e una bravura costantemente in crescita.

È, tuttavia, risaputo che non siano sufficienti gli attori a salvare un’opera, per quanto bravi possano essere. Ed ecco che forse le maggiori colpe ricadono ora su un regista poco più che esordiente (qui al suo terzo film), che firma anche la sceneggiatura e che pecca forse troppo di arroganza e presunzione. La macchina da presa segue attentamente i protagonisti all’interno della loro abitazione – un ambiente minimalista e perfettamente geometrico – guidando al contempo lo spettatore in maniera maniacale, non lasciando minimamente spazio a dubbi o fraintendimenti. Il che può essere un bene, ma alla lunga può anche infastidire: tutto viene dichiarato apertamente e per questo non rimane nulla da scoprire autonomamente.

Vi è poi l’idea di realizzare Malcolm & Marie in bianco e nero, che in realtà non ha alcuna effettiva funzione, limitandosi a essere una pura (e inconsistente) scelta stilistica. Infine, l’aspetto che più di tutti penalizza il film è la sua sceneggiatura: l’idea di partenza era buona, ma le fondamenta di un’opera come questa – costruita su due personaggi, con un impianto prettamente teatrale – non sono solide quanto dovrebbero. Non è facile gestire tanti dialoghi e poca azione (che sono caratteristiche tipiche di questo genere) e bisogna saperlo fare. Il rischio è di perdersi in troppe congetture, in forzature estenuanti e ragionamenti che perdono di intensità se non accuratamente ideati. Tutto ciò necessita di tempo: parola chiave che, in questo caso, è proprio l’elemento mancante. Pochi giorni e un budget limitato, in un periodo unico e, ci si augura, irripetibile.

In conclusione, si può affermare che il film, nato in condizioni a dir poco particolari, meriti attenzione proprio più per queste ultime, più che per la sua effettiva riuscita.

di Federica Mastromonaco

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