Perseverance su Marte, come siamo arrivati fino a qui?

Ripercorriamo le tappe delle esplorazioni spaziali che hanno portato allo sbarco del Rover sul Pianeta Rosso

Il 18 febbraio il Rover Perseverance della NASA è atterrato con successo sul suolo marziano. Tra i vari obiettivi della missione vi è quello di analizzare frammenti di roccia e terreno alla ricerca di indizi riguardo ad una possibile vita microbica nel passato del pianeta rosso. Quanto sappiamo fino ad oggi riguardo a Marte? Quante missioni sono state lanciate? Quali progetti per il prossimo futuro? Scopriamolo in questo articolo.

Perché Marte?

Pochi pianeti all’interno del nostro sistema solare posso aver ospitato la vita oltre al nostro: i migliori candidati sono di sicuro Marte e Venere. Entrambi infatti cadono nella cosiddetta zona abitabile, ovvero alla giusta distanza dal sole che permette la presenza di acqua liquida in superficie. Chiaramente la distanza dalla propria stella non è l’unico fattore che determina la presenza di acqua allo stato liquido infatti, come vedremo, anche la densità atmosferica è di fondamentale importanza. Una differenza fondamentale tra Marte e Venere è che quest’ultimo possiede un’atmosfera ricca di gas serra che, facendo aumentare le temperature medie sulla sua superficie fino ai 460°C, lo rende particolarmente inadatto – oltre che ad ospitare vita – alle esplorazioni da parte di lander o rover.

Marte, al contrario, presenta un’atmosfera molto rarefatta che, per via di un effetto serra inesistente, fa crollare le temperature medie a livello del suolo fino a -63°C. Questo, insieme ad altri fattori, rende molto improbabile l’attuale presenza di organismi viventi sul pianeta, ma consente, a differenza di Venere, alle agenzie spaziali di programmare missioni sulla sua superficie che lavorino per lunghi periodi di tempo, anche diversi anni. Le basse temperature infatti non rappresentano quanto le alte grossi problemi per robot e apparecchiature. Oltre a questa, non banale, considerazione vi sono aspetti morfologici e strutturali di Marte che ne suggeriscono un passato alquanto simile alle condizioni che hanno portato alla comparsa della Vita sul nostro pianeta. Ad esempio, la presenza di formazioni vulcaniche, valli, calotte polari e deserti sabbiosi e formazioni geologiche suggeriscono la presenza di un’idrosfera in un suo lontano passato.

Ma partiamo dall’inizio. Marte viene soprannominato il Pianeta Rosso proprio per il suo caratteristico colore dato da minerali ricchi di sostanze ferrose presenti nella sua regolite (rocce e polvere che ricoprono la superficie). I minerali ferrosi ossidandosi, o arrugginendosi, causano il tipico colore rossiccio. L’atmosfera fredda e sottile suggerisce l’impossibilità della presenza di acqua liquida sulla superficie, anche se negli ultimi anni alcune osservazioni hanno scoperto misteriose linee scure e strette che appaiono regolarmente sui pendii dei crateri marziani rivolti al Sole. Queste linee di pendenza ricorrenti, in accordo ad alcune ipotesi, costituirebbero in realtà la prova che l’acqua salata – che ha un punto di congelamento notevolmente più basso della normale acqua – scorre regolarmente sul pianeta durante le sue stagioni più calde.

Le ultime missioni su Marte, in effetti, hanno rilevato che sul pianeta esistono enormi sacche sotterranee di ghiaccio. Precedenti ricerche infatti spiegavano come temperature più calde, durante la primavera e l’estate marziane, potessero aiutare la fuoriuscita di salamoie (acque con alte concentrazioni di sale che ne abbassano considerevolmente il punto di congelamento) in grado di rimanere liquide nell’aria fredda del Pianeta Rosso. Alcuni studi però, come quello di Janice Bishop, scienziata del SETI “Search for Extraterrestrial Intelligence” Institute, escludono la presenza di un flusso liquido e sono più propensi a spiegare il fenomeno delle linee scure come delle piccole frane.

Linee di pendenza ricorrenti sui bordi di un cratere marziano

Il Pianeta Rosso ospita sia la montagna più alta che la valle più profonda e lunga del sistema solare. Il Monte Olimpo è alto circa 27 chilometri, ovvero tre volte più alto del Monte Everest, ed è un massiccio vulcano con un diametro di circa 600 km. Marte ha anche molti altri tipi di morfologie vulcaniche, da piccoli coni dai lati scoscesi a enormi pianure ricoperte di lava indurita. Alcune eruzioni minori potrebbero ancora verificarsi sul pianeta. Il calore e l’energia prodotta dalle formazioni vulcaniche, specialmente se sottomarine, sono spesso associati alla comparsa dei primi composti organici che avrebbero potuto originare le prime forme di vita del pianeta. Il sistema di valli Valles Marineris – dal nome della sonda Mariner 9 che lo scoprì nel 1971 – raggiunge la profondità di 10 km e corre da est a ovest per circa 4.000 km, ovvero un quinto della distanza intorno a Marte. Grandi canali che emergono dalle estremità di alcuni canyon e sedimenti stratificati all’interno suggeriscono che i canyon potrebbero essere stati riempiti con acqua liquida nel passato del pianeta.

Valles Marineris

Altri indizi della passata presenza di acqua sul pianeta sono enormi distese basse e pianeggianti. Le pianure settentrionali sono tra i luoghi più piatti e levigati del sistema solare, potenzialmente creati dall’acqua che un tempo scorreva sulla superficie marziana. La superficie del pianeta è caratterizzata anche dalla presenza di numerosi crateri da impatto, dovuti soprattutto alla sottile atmosfera che, a differenza di quella terrestre, non riesce a proteggere il pianeta dai violenti impatti. Alcuni di essi hanno depositi di detriti dall’aspetto insolito che assomigliano a flussi di fango solidificati, indicando un potenziale impatto che abbia colpito l’acqua o il ghiaccio sotterraneo.

Un’ulteriore somiglianza con la Terra sono i vasti depositi di quelle che sembrano essere pile finemente stratificate di acqua, ghiaccio e polvere che si estendono dai poli a latitudini di circa 80 gradi in entrambi gli emisferi. Questi sono stati probabilmente depositati dall’atmosfera per lunghi periodi di tempo. In cima a gran parte di questi depositi stratificati in entrambi gli emisferi ci sono cappucci di ghiaccio d’acqua che rimangono congelati tutto l’anno. Dei veri e propri circoli polari.

Marte è molto più freddo della Terra, in gran parte a causa della sua maggiore distanza dal sole. L’atmosfera ricca di anidride carbonica è oltretutto cento volte meno densa in media di quella del nostro pianeta, ma è comunque abbastanza densa da sopportare condizioni meteorologiche, nuvole e venti. Nel suo passato, il pianeta rosso, godeva di un’atmosfera probabilmente più densa e in grado di sostenere l’acqua liquida sulla sua superficie. Nel tempo, molecole più leggere nell’atmosfera marziana sono sfuggite sotto la pressione del vento solare che, dopo la scomparsa del campo magnetico, ne ha influenzato l’atmosfera. Questo processo è attualmente allo studio dalla missione MAVEN (Mars Atmosphere and Volatile Evolution) della NASA.

Ricerca ed esplorazione

La prima persona a guardare Marte con un telescopio fu Galileo Galilei intorno al 1600: da lì in poi il pianeta rosso diverrà il più esplorato del sistema solare, oltre la Terra ovviamente. A partire dal 1960 infatti, ben 49 missioni spaziali hanno avuto come obiettivo l’esplorazione marziana, anche se purtroppo solo il 40%  hanno avuto effettivamente successo.

I primi veicoli spaziali robotici iniziarono a osservare Marte negli anni ’60 del Novecento: gli Stati Uniti lanciarono Mariner 4 nel 1964, sonda che effettuò il primo sorvolo del pianeta e riuscì a scattare le prime immagini ravvicinate della sua superficie. Poi seguirono le missioni Mariner 6 e 7 nel 1969 che, come Mariner 4, non entrarono mai effettivamente in orbita intorno a Marte, ma effettuarono un semplice sorvolo al fine di scattarne le prime immagini. Le missioni rivelarono che Marte era un mondo sterile, senza alcun segno di vita o di civiltà. Nel 1971, Mariner 9 fu la prima ad orbitare intorno al pianeta, mappandone circa l’80% del suolo e scoprendone vulcani e canyon.

Prime foto di Marte scattate dalle sonde Mariner 6 & 7

Quest’ultima missione batté di qualche settimana quelle sovietiche Mars 2 e Mars 3; quest’ultima riuscì per prima a toccare intatta il terreno di Marte, anche se rimase operativa per appena 110 secondi. Sempre negli anni ’70 i Sovietici mandarono in orbita con successo intorno al pianeta rosso altre 3 sonde (Mars 5, 6 e 7).

Nel 1976 ci fu un’altra tappa molto importante: le sonde Viking 1 e 2 della NASA riuscirono infatti a scendere con successo sulla superficie marziana e a portare a termine la loro missione. Furono le prime sonde a scattare dal suolo immagini panoramiche a colori e ad analizzare campioni di terreno alla ricerca della possibile traccia di organismi viventi, anche se non riuscirono a trovare nessuna prova certa di questo fatto.

Dopo gli anni ’70 ci fu un periodo di stallo nell’esplorazione marziana, infatti negli anni ’80 ci furono appena 2 tentativi. Ma dagli anni ’90 fortunatamente l’esplorazione spaziale del pianeta ricominciò in grande stile: già nel 1996 arrivò la sonda Mars Global Surveyor che rimase operativa per ben 7 anni intorno al pianeta osservandone tutta la superficie. Nello stesso anno iniziò anche l’epoca dei Rover con la missione Pathfinder che scese su Marte e mise in funzione un piccolo Rover (Sojourner) che funzionò per alcuni giorni e che diventò il primo mezzo a muoversi autonomamente sulla superficie di un altro pianeta.

Approdando al nuovo secolo, nel 2001 venne lanciata una nuova sonda orbitale della Nasa, la Mars Odyssey – tutt’ora funzionante – che scoprì enormi quantità di ghiaccio d’acqua sotto la superficie marziana, principalmente nel primo metro di suolo. Venne poi raggiunta, un paio di anni dopo, dal primo orbiter europeo Mars Express, anch’esso ancora operativo. Sempre in quell’anno, il 2003, vennero lanciati altri due Rover della NASA molto importanti chiamati Spirit ed Opportunity. Entrambi funzionarono per diversi anni terminando le attività in tempi abbastanza recenti e raccogliendo molte informazioni riguardo alla superficie del pianeta, pur muovendosi entro pochi chilometri. Poi è stata la volta del Mars Reconnaissance Orbiter nel 2005 e, nel 2008, arrivò il Lander Phoenix che atterò nelle pianure settentrionali di Marte alla ricerca di acqua, cosa che riuscì a trovare.

Recenti foto del pianeta rosso

Nel 2012 infine arrivò il rover Curiosity, ancora attivo, che sfruttando apparecchiature di ultima generazione continua a dare risultati importantissimi non solo sulla natura della geologia marziana ma anche sul suo passato. Insieme alle altre sonde continua a raccogliere evidenze sul fatto che Marte possa aver avuto acqua liquida sulla sua superficie e, forse, anche condizioni adatte alla presenza di organismi.

Nel frattempo, sono arrivati su Marte altri tre orbiter: la missione Mars Orbiter – che permise all’India di diventare la quarta nazione ad entrare con successo nell’orbita attorno a Marte  -, l’orbiter MAVEN della NASA e quello europeo ExoMars, la stessa missione che avrebbe dovuto portare sulla superficie il lander Schiaparelli che però purtroppo andò distrutto. Per finire, nel novembre 2018, la NASA ha inviato un lander fisso chiamato Mars InSight che tutt’oggi esamina l’attività geologica del pianeta con una sonda di superficie; la missione prevedeva anche una sonda sotterranea, ma pochi mesi fa le operazioni di scavo si sono rivelate troppo complesse per il lander che ha così interrotto le operazioni.

Quest’anno sono arrivate due nuove missioni orbitali. Per la prima volta gli Emirati Arabi hanno lanciato una missione verso Marte, la sonda si chiama Hope. È arrivata in orbita anche la sonda cinese Tianwen-1 che nei prossimi mesi farà scendere un lander con a bordo un rover. Inoltre, il 18 Febbraio è atterrato con successo sulla superficie marziana il rover della NASA Perseverance il quale si pone obiettivi molto interessanti, del resto già solo la discesa sul pianeta è stata una manovra spettacolare nella sua complessità. Approfondiamone gli aspetti.

Mars 2020: Perseverance e Ingenuity

“I 7 minuti di terrore”, così vengono chiamati gli ultimi istanti di un viaggio spaziale durato più di 6 mesi. Alla distanza in cui si trova Marte nel momento dell’atterraggio (471 milioni di chilometri) la luce, e quindi i segnali elettromagnetici per le comunicazioni, impiegano ben 14 minuti per raggiungerci e viceversa. Per cui non si può di certo pensare di poter guidare dal centro di controllo l’atterraggio in modo manuale: per questo motivo ogni manovra che compie la sonda per atterrare viene gestita in maniera automatica dai software di bordo per un tempo totale di 7 minuti.

Tutto inizia a una distanza di oltre 100 chilometri dal suolo, quando la capsula protettiva che contiene Perseverance si separa dalla sonda madre e si tuffa nell’atmosfera di Marte a una velocità di circa 20mila km/h. A questo punto l’attrito dell’atmosfera marziana scalda la capsula fino a 1350 °C.  Sono già passati circa 4 minuti e a questo punto avviene l’apertura del paracadute principale che, insieme all’atmosfera marziana, contribuisce a rallentare la sonda fino a 1500 km/h.

È il momento della separazione dello scudo termico di protezione, che dovrebbe staccarsi 20 secondi dopo il paracadute. A 2 chilometri dalla superficie di Marte le camere di bordo scansionano il terreno e calcolano in tempo reale e in completa autonomia il punto migliore, all’interno della zona prestabilita, dove atterrare in sicurezza. Avviene poi la separazione dal guscio posteriore e dal paracadute. A questo punto entrano in azione gli 8 propulsori a razzo della gru mobile Sky Crane, che porta il rover in una posizione sospesa a pochi metri sopra la superficie di Marte per poi calarlo attraverso corde di nylon. Ed ecco, finalmente, l’atteso touchdown di Perseverance festeggiato con grande entusiasmo al Centro Spaziale JPL di Pasadena.

Il rover, che appare come una versione più moderna del fratello Curiosity, ha un obiettivo molto preciso ed ambizioso, cioè quello di esplorare ancora meglio la superficie marziana per trovare eventuali tracce di vita passata. Proprio per questo la zona di atterraggio è stata scelta con particolare attenzione. Il cratere Jezero, infatti, pare sia stato in passato un lago dove scorreva acqua liquida e dove, ammesso che si siano originati organismi viventi, si trovava un’ambiente favorevole alla comparsa della vita.

Perseverance è atterrato in prossimità del delta del fiume immissario dell’antico lago e tra i vari compiti ha quello di analizzare campioni di terreno e capire se sono presenti tracce di attività biologica. Per ottemperare a questa missione il rover è stato fornito di un braccio robotico articolato lungo 2 metri che gli consente di lavorare come farebbe un geologo umano: utilizzando strumenti scientifici con la sua ‘mano’ o torretta. Gli strumenti manuali del rover estraggono i nuclei dalle rocce, acquisiscono immagini microscopiche e analizzano la composizione elementare e la composizione minerale delle rocce e del suolo marziani.

Render del rover Perseverance sulla superficie marziana

Una seconda missione, ancora in fase di progettazione, prevede inoltre di raccogliere i campioni immagazzinati da Pereverance dalla superficie di Marte e portarli sulla Terra, così da poterli analizzare con strumenti ancori più sofisticati che sarebbero impossibili da trasportare su Marte. Un’altra parte della missione, novità assoluta e del tutto sperimentale, prevede anche il tentativo di far volare un elicottero su Marte, tenendo presente che l’atmosfera del pianeta è molto più rarefatta di quella terrestre e che volare rappresenta una sfida ancora più difficile. Ingenuity è un elicottero molto leggero (poco meno di 2 Kg) che cercherà di volare circa 300 metri per volta, alzandosi fino a 3 metri di quota, in modo completamente automatizzato.

Futuro dell’esplorazione

Un anno marziano dura circa il doppio di quello terrestre. Questo delimita le cosiddette finestre di lancio, ovvero quei momenti in cui la distanza Terra-Marte è sufficientemente breve da poter lanciare missioni in modo che impieghino il minor tempo per raggiungerlo (e anche il minor costo). Questo ci permette di fare previsioni abbastanza realistiche riguardo le future missioni che, per forza di cose, potranno essere lanciate solo ogni 2 anni e mezzo circa. Sicuramente, essendo Marte di forte interesse per gli scienziati, vedremo partire nel prossimo futuro molte missioni che avranno l’obiettivo di approfondire le conoscenze di base che abbiamo acquisito in tutti questi anni riguardo ad atmosfera, clima, superficie e sottosuolo, mutamenti geologici etc. Ma l’ambiziosa sfida è sicuramente lo sbarco del primo uomo sul pianeta rosso e molti si chiedono quando avverrà. Esistono stime realistiche? Quali problemi bisognerà affrontare?

Schema delle finestre di lancio Terra-Marte

Proprio per via delle finestre di lancio un ipotetico viaggio su Marte da parte di un equipaggio umano non durerebbe meno di 2 anni, secondo le stime più ottimistiche. I razzi a propellente chimico, utilizzati per le missioni Apollo e tutt’oggi impiegati per spedire sonde e satelliti nello spazio, non ci permettono di raggiungere velocità sufficienti ad accorciare i tempi di viaggio. Tempi lunghi sono sicuramente uno svantaggio sotto molti punti di vista: il più grosso è forse la prolungata esposizione alle radiazioni solari e cosmiche della navicella che viaggia nello spazio aperto e, quindi, dell’equipaggio che, non potendosi proteggere sotto l’atmosfera e il campo magnetico terrestre, incrementerebbe di molto i fattori di rischio.

Inoltre, gli astronauti dovrebbero fare i conti con l’assenza di gravità prolungata per tempi finora mai sperimentati. Un viaggio di andata e ritorno dalla Luna, come quelli dello scorso secolo, impiegarono al massimo una dozzina di giorni e anche le permanenze più lunghe a bordo della Stazione Spaziale Internazionale non sono paragonabili ai tempi che avrebbe un viaggio verso Marte. Per viaggi simili poi occorrerebbero tantissime provviste che, ovviamente, aumenterebbero la massa del carico che a sua volta diminuirebbe la velocità della navicella. Vi è inoltre da considerare che le comunicazioni con la terra subirebbero un ritardo notevole per via dell’enorme distanza tra i pianeti e anche, nel periodo di opposizione, ovvero col Sole in mezzo, giorni di totale silenzio radio.

Marte per giunta è un luogo altamente inospitale. Abbiamo già parlato delle temperature estremamente basse e anche dell’elevato livello di radiazioni al suolo causato dall’assenza di un campo magnetico e dalla sottile atmosfera. Poi c’è il problema delle tempeste di sabbia che sono abbastanza frequenti sulla superficie del pianeta e che possono causare problemi, non solo agli astronauti ma anche alle apparecchiature.

Gli astronauti su Marte si troverebbero ad affrontare una situazione che è molto più complessa di qualsiasi missione svoltasi fino a oggi, e soprattutto per un tempo molto lungo. L’ambiente marziano è incredibilmente più ostile di qualunque ambiente terrestre, ma anche degli ambienti spaziali a cui sono stati posti fino ad adesso gli astronauti, anche nelle loro missioni più lunghe. Ciò significa che non andremo mai su Marte? Ovviamente no. Significa semplicemente che dobbiamo tenere presente che è sicuramente molto difficile e che ci sarà bisogno di pianificare le cose con attenzione, con i tempi giusti e con la giusta preparazione.

Render di una colonia marziana pubblicato da SpaceX

Le improbabili previsioni che calcolano l’arrivo dell’uomo su Marte nel giro di qualche anno difficilmente soddisferanno la realtà, anche se sognare non è mai costato nulla. Di certo i grossi progetti delle agenzie spaziali e di emergenti aziende private come SpaceX di Elon Mask stanno preparando le basi del futuro dell’esplorazione. L’appuntamento più importante, che molti vedono come banco di prova per la spedizione verso Marte, ma che in realtà è molto di più, sono le vicine (2024) missioni Artemis: vi collaboreranno NASA ed ESA – e altre decine di aziende – per riportare dopo decenni l’uomo, e la prima donna, nuovamente sulla Luna. L’intenzione è quella di restarci, progettando vere e proprie basi lunari. Non ci resta che rimboccarci le maniche ed essere sempre più ambiziosi perché “Da qualche parte, qualcosa di incredibile attende di essere conosciuto”.

 

di Michael Nova

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