SanPa: cosa ne pensa chi la conosce oggi?

In tanti hanno commentato la docu-serie originale Netflix, ma pochi di quelli che la conoscono oggi, ne hanno parlato. Octavia, mamma di Thomas - ospite della comunità - ci ha raccontato "Sanpa" e la sua San Patrignano

Sanpa, uno degli ultimi successi Netflix, è stata criticata quanto amata. Tante sono le voci che, dopo la sua uscita, hanno alimentato un dibattito in cui si scontrano sostenitori della mini-serie, considerata un piccolo capolavoro, contro coloro che sostengono che a farla da protagonista siano le ombre di San Patrignano, mentre le luci sono le prime a passare in secondo piano, se non a sparire completamente. A parlare, però, sono stati principalmente gli intervistati della docu-serie che hanno ribadito, in positivo o in negativo, quello che già era stato dichiarato durante le riprese.

Una delle maggiori critiche rivolte alla produzione è stato il mancato confronto con la San Patrignano di oggi. Ma oltre alla critica non si è andati. Per questo abbiamo intervistato Octavia: suo figlio Thomas nell’ottobre del 2019 ha fatto il suo ingresso a San Patrignano. Da Borgotaro, in provincia di Parma, ha risposto alle nostre domande sulla serie offrendoci il punto di vista di chi conosce da vicino la Sanpa di oggi.

In una sua recente intervista ha dichiarato che “se l’avessero trasmessa (la serie SanPa) due anni fa, Thomas non avrebbe mai accettato di entrarci, mentre se l’avessi vista io avrei avuto seri dubbi ad accompagnarcelo”.

Perché suo figlio avrebbe rifiutato di entrarci? Nella mini-serie diversi ragazzi riconoscono San Patrignano come l’unica possibilità per rimanere lontani dalle dipendenze e Vincenzo Muccioli come un salvatore. 

“Nella mini-serie le dichiarazioni dei ragazzi che riconoscono San Patrignano come unica possibilità per rimanere lontani dalle dipendenze sono riprese storiche fatte durante gli anni ’80, se non sbaglio, quando Muccioli era sotto processo – in tutta la serie non hanno mai chiesto un parere o fatto un’intervista ad una persona attualmente ospite presso la struttura, o  persone che hanno da poco compiuto il percorso, quindi le dichiarazioni fatte quasi 40 anni fa non sarebbero servite a convincere mio figlio, Thomas, ad andarci.

“Non c’è tossicodipendente che ‘vuole’ entrare a San Patrignano. La maggior parte delle persone con problemi legati all’uso delle sostanze si convincono che possono smettere quando vogliono (nella fase 1), conviverci (fase 2), “tanto non ce la potrò mai fare, è troppo difficile e doloroso”… (fase 3)”.

“Per entrare a San Patrignano devono accettare l’idea di rinunciare alla libertà per ben quattro anni mentre in altre comunità e cliniche promettono risultati nel giro di qualche settimana o pochi mesi: posso dire che gli altri percorsi provati da Thomas sono serviti come un cerotto su una gomma bucata. Ma non sono solo i quattro anni a far paura. Il primo anno non puoi né vedere, né parlare con nessuno al di fuori della comunità. Con parenti e amici ci si può sentire solo tramite lettere. Chi entra a San Patrignano si trova completamente isolato dalla sua vita precedente (giustamente e per ovvi motivi – ovvi se hai mai avuto a che fare con un tossico!). Non può fumare, non può tenersi i piercing, deve tagliarsi i capelli corti (per i maschi), non ci sono contatti tra uomini e donne per i primi tempi”.

Profilo Facebook di Comunità San Patrignano

“Queste regole possono sembrare estreme per chi non ha mai dovuto convivere direttamente o indirettamente con il problema di abuso di sostanze e, soprattutto, possono sembrare assurde e inaccettabili per chi deve affidare la propria vita a chi le impone. Già, perché per entrare in San Patrignano bisogna fidarsi ciecamente delle persone che sono là per aiutarti. La stessa cosa vale anche per una mamma che incoraggia o costringe – più la seconda nel mio caso – il proprio figlio ad andarci. E no, non è facile pensare che non ci sia un percorso più facile, più immediato, che non impone questa separazione forzata. Da mamma, bisogna avere piena fiducia, credere che il proprio figlio si trovi in buone mani perché dal momento in cui si esce dal cancello della comunità per tornare a casa,  non si avrà più modo di vedere o sentire come sta o di verificare il suo stato di salute fisico e mentale. Potrai fidarti solo di quello che ti scriverà e della comunità che lo ha in cura”.

“Dopo aver visto una serie del genere avrei davvero potuto essere così serena nel non vedere Thomas per un anno? Thomas avrebbe avuto quella fiducia cieca che gli serviva per affidarsi a degli estranei, avrebbe accettato di vivere in una struttura simile per quattro anni?”.

Cosa non le è piaciuto della serie SanPa? 

“Diciamolo, la serie “SanPa: Luci e tenebre” ha concentrato quasi tutta la sua attenzione sulle tenebre e davvero poco sulla luce. Già nei primissimi minuti, ancora prima dei titoli di testa, la regia ha cercato di creare un’atmosfera inquietante: la scena della porta del carcere che si chiude, Muccioli che si aggrappa “ghignando” alle sbarre della comunità, gli urli del maiale nella macelleria di San Patrignano… I titoli di testa poi mostrano immagini di Muccioli, catene che scivolano sopra immagini di sfondo che comprendono carabinieri, arresti, mucchi di soldi e pistole che sparano – sembra l’introduzione di una serie sulla malavita, di luce non si vede nemmeno l’ombra! E siamo solo all’inizio!”.

“La regia ha optato per un tono tenebroso, scioccante, inquietante per l’intera serie. Non fa vedere mai veramente l’interno della struttura attuale (nonostante San Patrignano avesse dato il permesso di girare liberamente all’interno e di parlare con chiunque) se non l’interno del teatro quando parlano con Antonio Boschini (‘casualmente’ un ambiente dai toni rossi scuri in netto contrasto con le interviste condotte agli ex-ospiti di San Patrignano eseguite in locali luminosi). Per non parlare del primo incontro con il giornalista, Luciano Nigro, un incontro al buio, come se fosse un’indagine su un serial killer. Si parla del “metodo San Patrignano” – segregazione, catene, sequestro di persona senza bene contestualizzarlo… Si parla dei due suicidi. In più di 40 anni di storia, un record di solo due suicidi sarebbe da premiare ma questo non fa audience mi sa… Quando parlano dell’omicidio, è cronaca nera pura”.

Dal profilo Facebook di Cooperativa di Bessimo onlus

“Insomma tante ombre, poca luce. E io avrei dovuto dire a Thomas, non in grado di distinguere tra la storia e il presente di San Patrignano (visto che il confronto non viene mai nemmeno offerto) che quello era il posto giusto per lui? Ogni tossico cerca una buona scusa per non andarci; questa serie mi sarebbe stata un aiuto o un ostacolo? Poi il commento di Giuseppe Maranzano che dice qualcosa del tipo  “San Patrignano non è proprio quel gioiellino italiano che ti vogliono far credere” e l’insinuazione che i dati sull’efficacia della comunità erano/sono manipolati da San Patrignano stesso come ‘strumento di propaganda’ non sarebbe stata certo di aiuto”.

Suo figlio aveva un’idea ben precisa di cosa avesse bisogno?

“Direi di no… era consapevole che stesse rovinando la sua vita e quella delle persone intorno a lui, principalmente me e suoi fratelli. Credo che fosse arrivato così in fondo da dire “o muoio o provo San Patrignano”. Sapeva solo di aver bisogno di un aiuto vero e di doversi fidare”.

Cosa pensa del “metodo Muccioli”? A partire dalla scelta di non utilizzare psicofarmaci né metadone fino alle famose catene.

“Oggi San Patrignano non fa più la disintossicazione da sostanze, bisogna arrivare a zero metadone e zero psicofarmaci per entrare. Dalla serie una cosa mi ha davvero sconvolta è il fatto che, in più di 40 anni, l’aiuto offerto al di fuori di San Patrignano rimane inalterato, non aggiornato, uguale. La risposta del SerT rimane la stessa. Direi che lo “spacciatore” più grande e pericoloso dell’Italia è lo Stato stesso con una rete di pusher nazionale chiamata SerT. Con questo non voglio assolutamente condannare il personale che ci lavora; gli operatori fanno quello che possono con gli strumenti a loro disposizione: strumenti del tutto inadeguati. Posso assicurare, dopo un decennio di frequentazione, che il metodo del SerT di imbottire di psicofarmaci persiste”.

“Sono ormai 17 mesi che Thomas non prende alcun tipo di psicofarmaci, per la prima volta in circa 12 anni. Non posso dire come stia senza questo supporto farmacologico perché, causa Covid, non ho avuto l’opportunità di andarlo a trovare. Ma dalle sue lettere percepisco che è più presente, più coerente e meno confuso a livello mentale. E, cosa più importante, ci sta riuscendo, è ancora là a ricostruirsi la vita”.

“Il fatto che San Patrignano non si occupi più della disintossicazione vera e propria, significa che Thomas l’ha dovuto fare al di fuori della comunità, solo per poterci entrare. E devo dire che il periodo in cui doveva smettere di prendere tutto ciò che il SerT prescriveva è stato il periodo più brutto in assoluto della mia vita. Due tentativi di disintossicarsi in clinica falliti, si dimetteva quando andava in astinenza (e lo poteva fare con conseguenze ovvie). Ho chiesto cosa dovessi fare per avere un TSO, lui stesso ha chiesto un TSO: non ci è mai stato concesso”.

Dal profilo Facebook E-motiva

“Ci sono stati dei momenti in cui ho voluto chiudere a chiave, incatenare Thomas per far sì che non andasse ad ammazzarsi di droga, specialmente in quel periodo. Mi ricordo che ho chiesto ad un mio amico, un maresciallo dei carabinieri in pensione, se potessi fare una stanza blindata a casa, con sbarre alla finestra. Sì, ero davvero disperata. Mi ha detto “Octavia, non fare la pazza, se fai una cosa del genere finisci in carcere per sequestro di persona”. Avessi avuto i soldi, forse l’avrei fatto comunque… Per i figli si è disposti a rischiare anche la galera pur di salvargli la vita. Un tossico in astinenza non è in grado di intendere e volere, il richiamo della droga è più forte della buona volontà di uscirne (basta pensare a quante persone non riescono nemmeno a smettere di fumare le sigarette per avere – forse – qualche idea)”.

“Ciò che ha fatto nascere in me dei seri dubbi è la ragazza che si è buttata dalla finestra. Il gemello (nella serie) dice “più che comunità era un lager”,  si dice ripetutamente che Natalia “non poteva andare via” e che veniva picchiata. Si parla del fatto che le lettere vengono aperte e controllate, che se qualcuno avesse scritto “vienimi a prendere” sarebbe finita nel cestino e non al destinatario. Credo che tutt’ora sia così, lo accetto e lo capisco. Ma da mamma, sentire quella storia in un momento in cui non vedevo Thomas da più di un anno, mi ha creato un senso di angoscia non indifferente e ho dovuto concentrami sul scacciare via i brutti pensieri e le preoccupazioni, ricordandomi che di San Patrignano io mi fido, nonostante quello che Netflix stava cercando di insinuare. Magari Thomas non sta bene come scrive nelle sue lettere, ma diciamolo Netflix ha il compito di vendere abbonamenti, deve fare audience e sappiamo benissimo che le cose tenebrose, scandalose, misteriose, inquietanti vendono – sono come le bollicine nelle bevande zuccherate – ne siamo attratti”.

E’ d’accordo con il pensiero di Fabio Cantelli, ex ospite di San Patrignano: “Ci sono delle regioni della vita dove vita e morte sono così strettamente a contatto e quasi intrecciate l’una con l’altra che concetti come libertà, volontà, male, bene, vanno rivisti. Cioè bisogna avere il coraggio di non usarli come assoluti”?

“Credo che arrivino momenti nella vita di tutti noi in cui il fine giustifica i mezzi. Ma ognuno di questi momenti è una storia a sé che va raccontata. Per esempio, secondo me sarebbe stato più che giusto togliere con la forza la libertà di Thomas quando era in astinenza terapeutica invece di lasciarlo firmare per dimettersi dalla clinica, ci saremmo risparmiati un ricovero per overdose e il tango continuo con la morte. Una situazione che ha avuto anche serie ripercussioni sulla mia salute e stabilità finanziaria: ho passato mesi e mesi senza poter lavorare per potergli stare accanto e ‘costringerlo’ a stare a casa in attesa di superare i vari colloqui con San Patrignano e di arrivare a 0-metadone e 0-psicofarmaci. Essendo libera professionista l’ho potuto fare, ma non ho potuto mettermi in aspettativa né prendermi ferie pagate…ho solo smesso di lavorare rinunciando allo stipendio.

Suo figlio, a un certo punto, non si sentiva ancora pronto per entrare a San Patrignano perché “lì ti concedono solo una possibilità, se esci o scappi non ti prendono più”. Nella serie non sembra essere così, come sono cambiate le cose da questo punto di vista?

 Mi fa piacere questa domanda, Thomas non avrebbe potuto valutare la comunità di San Patrignano di oggi e quello che offre né distinguerla da quella di una volta, perché appunto, non si parla mai di come sono le cose adesso, di come sono cambiate veramente le cose. San Patrignano è gratuito, non ti chiedono un centesimo per l’aiuto che offrono, ma non per questo l’assistenza che forniscono non ha dei costi.

Dal profilo Facebook della Comunità di San Patrignano

Fanno – giustamente – capire fin da subito che non è una struttura alberghiera dove puoi andare e farti qualche settimana per vedere se ti piace o meno, o dove puoi andare e venire a tuo piacimento. Non è un posto dove puoi mollare dopo qualche mese o alle prime difficoltà, cioè puoi, ma non puoi pretendere di tornare subito indietro sui tuoi passi. Chiedono il massimo impegno. Ti aiutano a non sciupare questa opportunità.  Per fare un esempio, Thomas si era dimesso più volte da varie strutture (cliniche e comunità): questo era un sintomo di non essere all’altezza di prendere un impegno di quattro anni quindi, prima di entrare a San Patrignano, è stato ospite per sei settimane presso un’altra loro struttura in modo da poter valutare bene le sue vere intenzioni e capire se fosse veramente pronto a fare quel passo”.

Riterrebbe opportuno mostrare agli spettatori cos’è SanPa oggi? Magari ascoltando le voci di chi, come Lei o Suo figlio, la conosce da vicino. 

“Prima del suo ingresso, nel periodo in cui stavo cercando di incoraggiare la scelta di San Patrignano, avevo mandato Thomas e il suo gemello, insieme ad un paio di amici, a fare la visita guidata della comunità. Hanno visitato i vari settori, potevano rivolgere qualsiasi tipo di domanda e hanno pranzato nel salone insieme a tutti gli ospiti della comunità. E’ un posto bellissimo“.

“Nonostante la visita, Thomas non se la sentiva di andarci e ci sono voluti un’overdose e un periodo a vivere per le strade di Parma e Bologna per convincerlo. Se avesse visto la serie SanPa credo che non sarebbe mai andato, avrebbe avuto paura di quel luogo macabro dove nascondono la verità e manipolano i dati – perché così appare – e credo veramente che, se non fosse entrato, a quest’ora mi troverei ad andarlo a trovare al cimitero. E sì, vorrei che tutti sapessero cos’è San Patrignano: è un posto unico al mondo, è una cosa di cui l’Italia dovrebbe andare fiera, è una vera eccellenza della nostra penisola”.

“Quando ne parlo con amici e parenti fuori dall’Italia, e mi capita spesso, rimangano tutti sbalorditi e increduli, non solo perché un posto del genere esiste, ma perché questo stile di comunità non viene replicato in altre parti del mondo. Quindi sì, avrei voluto che Netflix si spendesse nel raccontare la San Patrignano di oggi per contrastare i fatti avvenuti nel passato, sarebbe stato sicuramente più corretto nei confronti della comunità stessa che combatte tutti i giorni per aiutare i suoi ospiti e le loro famiglie. Bastava una puntata in più e avrebbero potuto meravigliare il pubblico mostrando cosa si “nasconde” adesso all’interno di questa struttura”.

di Sofia Frati

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