Internet haters: l’odio che oltrepassa la barriera social

Gli haters sfruttano l'anonimato e l'invisibilità del web per screditare gratuitamente gli altri, in un fenomeno sociale che si diffonde a macchia d'olio

I social network nascono con una precisa intenzione, quella di far interagire le persone, permettendo la condivisione e lo scambio di contenuti ogni giorno. Con questo scopo, Facebook, Twitter, Instagram e Tik Tok, hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione dal punto di vista sociale.

Negli ultimi anni, però, in questa fitta rete online capita sempre più spesso di imbatterci nei cosiddetti “internet haters”, conosciuti anche come “leoni da tastiera“, costantemente alla ricerca di nuove vittime.
Il confronto con gli odiatori del web degenera quasi sempre in una discussione senza fine, dal momento che tendono a far prevalere a tutti i costi le loro idee e opinioni. La libertà di espressione diventa così la giustificazione ad un fenomeno sociale che si diffonde a macchia d’olio. Nel loro mirino non ci sono soltanto i personaggi famosi, ma anche le persone comuni.

Insomma, siamo tutti potenziali vittime di odio sui social, ma esiste un modo per arginare il problema e comprenderne i motivi? Lo psicologo e psicoterapeuta Davide Munaro, laureato in Psicologia presso l’Università degli Studi di Parma, in indirizzo Cognitivo Comportamentale, ha provato a delinearne il profilo, sottolineando quali possano essere le strategie per contrastare questo attuale fenomeno sociale.

La Mappa dell’Intolleranza ideata da VOX

Il termine Hater deriva dall’inglese e significa genericamente persona che odia. La diffusione italiana della parola è piuttosto recente e delinea il profilo di coloro che utilizzano espressioni di odio sui siti di relazione sociale, approfittando spesso dell’anonimato.
Rispetto agli anni passati, i linguaggi d’odio sono più diffusi su tutto il territorio nazionale e la pandemia da Covid-19 ha sicuramente avuto un ruolo centrale: paure, ansie e distanziamento hanno fatto sì che i social media diventassero un veicolo d’incitamento alla violenza, specie verso gruppi minoritari, tanto da non rendere nessuno immune da questa malattia digitale.

Secondo la quinta edizione della Mappa dell’Intolleranza ideata da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti – su 1.304.537 Tweet estratti ed analizzati tra marzo e settembre 2020, 565.526 erano negativi. Sebbene tra i social network non sia quello maggiormente utilizzato, Twitter è una comunità virtuale continuamente in relazione, non solo per la possibilità di re-twittare, ma anche perché l’hashtag utilizzato offre una buona sintesi dei sentimenti provati dall’utente.
La mappatura consente infatti l’estrazione e la geolocalizzazione dei tweet che contengono parole sensibili e mira ad identificare le aree dove l’intolleranza risulta maggiormente diffusa, nonché le categorie prese maggiormente di mira, come donne, islamici, migranti, persone omosessuali e con disabilità.

Il profilo degli Internet Haters

“Il modo di comunicare è cambiato, è più veloce e concede la possibilità di esporsi senza doversi esporre”. Così, Davide Munaro, psicologo e psicoterapeuta, parla di un un’epoca d’alta interconnessione social, in cui le opinioni condivise si diffondono ad una velocità senza precedenti.

Internet è uno spazio aperto e delle volte anche un luogo a responsabilità limitata, dove gli haters si sentono liberi di esprimere giudizi, insultare gratuitamente gli altri, senza pensare alle reazioni che potrebbero generare dall’altra parte dello schermo. “Dietro una tastiera puoi permetterti di manifestare emozioni e stati d’animo che difficilmente manifesteresti nella vita di tutti i giorni – prosegue il Dottor Munaro – l’elemento fondamentale è perché lo fanno? Non c’è una causa ben precisa. Sicuramente dietro c’è un malessere esistenziale”. Sarebbe utopico pensare ai social network come uno spazio virtuale in cui chiunque ha la possibilità di dire la propria opinione e confrontarsi nel pieno rispetto reciproco. Le discussioni spesso degenerano e gli utenti sembrano tirare il peggio di loro stessi.

Considerando che l’uso del mobile negli ultimi anni è cresciuto in modo vertiginoso e che il 90% della popolazione possiede un telefono mentre il 20% dei millennials lo apre 50 volte al giorno, è estremamente importante contrastare il fenomeno “internet haters”.
La frustrazione, la rabbia ed una vita fallimentare sono sicuramente le motivazioni che spingono gli haters ad aggredire gli altri, con un linguaggio violento, carico d’odio.
“Nella società di oggi, siamo abituati a comprare tutto e così diventa facile prendere le cose degli altri, pensando che ci possano rendere felici – continua lo psicoterapeuta – quando non ci riusciamo allora li screditiamo, facendogli credere che non valgano niente, anziché evolvere la nostra esistenza”.

Maggiore è l’attacco, maggiore è il senso di gratificazione

“L’hater ritiene che farti del male sia semplice e prova soddisfazione nel farlo, ma quanto dura questo piacere? È una gratificazione transitoria”, spiega il Dottor Davide Munaro.
Nel momento in cui gli internet haters attaccano il prossimo, provano infatti un grande senso di soddisfazione, per questo screditano gli altri utilizzando un linguaggio particolarmente offensivo e violento. Il loro scopo è quello di generare una reazione, disturbando la sensibilità degli utenti che prendono di mira.
Ad amplificare il senso di appagamento sono sicuramente le persone che approvano il loro comportamento, accodandosi con insulti e sentimenti negativi. Ma non solo: il costante bisogno di esporsi, di rapportarsi agli altri con esasperata necessità di accettazione ed approvazione, rende maggiormente vulnerabili.

“Dato che non sono in grado di raggiungere un equilibrio interiore, gli haters ritengono non sia giusto che gli altri ce l’abbiano, per cui subentra l’invidia per il successo altrui”, afferma lo psicoterapeuta. Esiste dunque una forte correlazione tra frustrazione ed aggressività, fra vita fallimentare e senso di invidia. In una società in cui si è abituati a ragionare in bianco e nero, spiega Munaro, bisognerebbe “focalizzare la propria attenzione sulle riflessioni umane e le domande interiori, vero antidoto a lungo termine sui fallimenti sociali ed esistenziali”.
Inoltre, sui social network, l’anonimato e l’invisibilità garantiscono un minor senso di inibizione. In questo modo, gli utenti adottano comportamenti che mai avrebbero attuato nella vita di tutti i giorni, sentendosi liberi di scaricare la rabbia, senza timore di ripercussioni.
Da qui l’esigenza crescente di un quadro normativo volto a disincentivare questo fenomeno e ad uno strumento che possa filtrare messaggi offensivi destinati non solo ad un pubblico prettamente giovanile, ma anche agli adulti.

 Come fronteggiare l’odio online

I comportamenti sociali di tipo violento ed intenzionali, di natura verbale e non soltanto fisica, purtroppo esistono da sempre. La rete amplifica la violenza verbale, rendendola persistente. Dato che il pieno controllo dei social network risulta inefficiente, occorre comprendere quali meccanismi possano neutralizzare gli haters.
Se da un lato controllare il proprio cerchio di amicizie online e bloccare il profilo di chi ci prende di mira, possano rivelarsi strategie efficaci, dall’altro troveremo sempre qualcuno pronto a scaricare le proprie insicurezze e negatività. Per questi motivi, occorre lavorare sulla nostra personalità.

Nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un hater, abbiamo due possibilità: “Possiamo credere che quello che ci stia dicendo sia la realtà, per cui il contesto definisce l’oggetto, oppure – continua il dottor Munaro – comprendere che ciò che scrive non è reale, ma bisogna essere forti e concederci la libertà di accettarci”.
Inoltre, scopo degli odiatori del web, è quello di scatenare una reazione. Rispondendo agli insulti online, daremmo inizio ad una inutile discussione, aumentando il senso di gratificazione dell’hater, certo del fatto che la sua critica ci abbia colpito, suscitando un interesse.

L’interpretazione verso chi ci attacca gratuitamente dovrebbe procedere nella direzione della comprensione, seppur si tratti di comportamenti difficilmente giustificabili. Questo perché, soprattutto per quanto riguarda i profili con un enorme seguito, le risposte alle critiche ricevute dovrebbero essere d’esempio per i followers, al fine di disincentivare l’odio online.

 

di Ilaria Giuliani

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