Religioni tra stereotipi e realtà: parliamo di cristianesimo, islam ed ebraismo

 

Questo periodo pandemico ha costretto anche le comunità religiose ad adottare pratiche sino ad ora mai viste prima: come il distanziamento tra fedeli e prenotazioni della messa domenicale. I rappresentanti delle fedi si son ritrovati a dover ridurre il numero delle celebrazioni, cercando di coniugare gli impegni lavorativi della comunità e quelli della messa domenicale.

Un esempio di queste nuove abitudini lo porta prete Dimitri Doleanskii – rappresentante della Comunità Ortodossa di Parma, con sede presso la Chiesa di San Nectario – che, parlando dei cambi della messa domenicale, spiega come secondo le regole della Chiesa sia “possibile celebrare solo una messa nell’arco delle 24 ore”. Nonostante l’impegno, infatti, è difficile coniugare le necessità della fede con le direttive governative. Così i vari rappresentanti si son dovuti adattare, in modo da offrire il miglior ‘servizio’ possibile ai propri fedeli. 

Vi sono però ancora molti temi che, nonostante il periodo, rimangono al centro dell’opinione pubblica, come il ruolo dei giovani e delle donne, gli stereotipi e le controversie storiche ancora in auge.

Avvicinare i giovani alla religione

Tra i maggiori limiti riscontrati a causa del Covid troviamo sicuramente le difficoltà legate all’insegnamento e alla diffusione dei principi della dottrina religiosa. Tra i credenti è la fascia più giovane a pagarne le conseguenze, poiché meno esperta e spiritualmente ancora in crescita. Una tra le più importanti questioni a cui la Chiesa è legata è sicuramente quella della creazione dell’uomo. A dare una propria opinione al riguardo è Farid Mansouri, ex Presidente della comunità islamica di Parmaaffermando che: ”Se dico che un automobile è stata costruita per caso tutti mi prenderebbero in giro, infatti la macchina non si crea dal nulla, serve che qualcuno la costruisca. La stessa cosa vale per la bellezza della nostra Terra”.

La religione può essere, quindi, una chiave di svolta per risolvere finalmente il dubbio dei giovani? Don Umberto Cocconi, cappellano dell’Università degli studi di Parma, commenta: “Non sempre le religioni istituzionali sono in grado di rispondere alle domande dei giovani”. E se i giovani non trovano risposte si alimenta in loro il dubbio, portandoli a cercare nella società che li circonda nuovi appigli con cui costruire le proprie risposte. Non solo nella scienza, che spiega il lato concreto, ma andare oltre il sensibile. Creando così un ponte tra scienza e religione per poter avere una visione a tutto tondo del mondo e dell’uomo. Il possibile avvicinamento dei giovani alla visione della religione dovrebbe essere non soltanto sentita, ma anche non calpestata, altrimenti, come sostiene Prete Dimitri, si dovrebbe ”non dare cose di valore a chi non sa apprezzarle”.

Per i giovani serve quindi un avvicinamento consapevole, attraverso cui scaturisce la fede per comprendere la religione nella sua interezza. Ma cos’è la fede? Usando una frase di Kierkegaard, filosofo dell’800, è definita come: “Un salto nel vuoto, sapendo che c’è qualcuno che tende la mano e salva, anche se le circostanze dicono il contrario”. La fede sarebbe quindi un atto di fiducia da parte di chi crede in Dio.  Ma cosa vuol dire e che significato ha la parola Dio? Don Umberto Cocconi, che si rifà alla frase del filosofo, sottolinea che ”al giorno d’oggi la parola Dio ha assunto un significato sporco perché contaminato dalle strutture e sovrastrutture che abbiamo oggi. Invece dovremmo parlare di ricerca, intimità e spiritualità”. 

Una visione però che mette in guardia a causa delle ‘troppe regole’ che spesso i giovani vedono nella religione. Regole rigide da seguire e da imporre che però farebbe cadere in quello stereotipo mediatico che da sempre viene servito sulle tavole degli italiani. Prete Dimitri afferma che la religione non si può imporre e prima di definirsi ateo o meno sarebbe bene informarsi per poi capire bene il proprio pensiero e la propria appartenenza. Deve essere una libera scelta, perciò, quella di decidere se credere o meno. Come afferma Farid Mansouri, serve “mettere l’uomo nella condizione di scegliere che tipo di via seguire. Anche nella Religione Islamica nulla è imposto – continua – essendo la vita un passaggio. Nessuno è costretto a seguire un percorso piuttosto che un altro, non c’è costrizione nella religione. In questa scelta, sentita e intenzionale, si mettono le basi per una religione lontana dall’odio e da tutte quelle restrizioni distorte che probabilmente la società esalta”.

Il ruolo della donna nella società

Rimanendo nel campo della società troviamo un altro argomento che da sempre ha creato forti dibattiti, ovvero la ‘questione’ sul ruolo della donna. Padre Dimitri porta un esempio del culto ortodosso, con la figura della donna per eccellenza: la Vergine Maria. Venerata come una figura sacra, la più importante tra le figure dell’iconografia e aspetto fondamentale del culto ortodosso. La Vergine, infatti, viene venerata in un modo particolare ma non esagerato, sostenendo che ”non sia mai esagerato venerare una mamma”. Il culto ortodosso infatti ha dedicato alla Vergine Maria molte feste durante l’anno, celebrando anche il momento della sua nascita.

Un altro aspetto che viene spesso discusso è la figura della donna nella cultura musulmana. Farid Mansouri fa luce su questo aspetto focalizzandosi sul tema della poligamia e specificando che è una scelta poco usata. ”E’ una soluzione a un problema sociale, non è obbligatorio; se sposi una donna la devi mantenere, sposandola le garantisci i diritti e fai fronte alle sue esigenze come meglio puoi. Con la poligamia vogliamo tutelare la dignità della donna stessa, sposando più donne non si commette adulterio e così facendo non si creano problemi con le altre mogli perché sono tutte trattate allo stesso modo. Agli occhi del marito devono essere sullo stesso piano e tutelate nello stesso modo”.

La donna ha un ruolo particolarmente interessante nell’Ebraismo, come sostenuto da Riccardo Moretti, presidente della comunità ebraica di Parma: “Sia l’uomo che la donna sono entrambi esseri umani, ruoli fondamentali e precisi.  Nell’Ebraismo non c’è discriminazione. L’aspetto sessuale è un dono di Dio, spesso ci si sente sporchi perché bisogna valorizzare la purezza – e aggiunge – “Dio conta le lacrime delle donne”. Nell’Ebraismo la donna ha in sé l’atto di continuare la creazione. ”Ha dentro di sé il senso di Dio, anche chi non ha o avrà figli è potenzialmente una madre. Sapendo quali sono i grandi principi della vita, qualunque sia il percorso che si deciderà di percorrere nella propria vita, l’essere donna non glielo toglierà nessuno”.

Gli stereotipi nelle varie religioni

Politica e religione sono due macro aree che creano una grande divisione dal punto di vista etico: ciò che viene deciso per la società e il benessere materiale dell’uomo e ciò che si interessa del benessere spirituale. Spesso però può accadere che i confini tra i due si perdano a causa di decisioni e prevalenze su determinati territori. Così da creare un divario tra i popoli e conseguenze che si ripercuotono anche nelle comunità religiose.

Terrorismo e Islam

Dopo l’avvento dell’Isis, e in particolare dopo l’attentato alla sede di Charlie Hebdò del 2015, l’Islam si è trovato a dover fronteggiare gli stereotipi nati a causa dell’atteggiamento integralista di alcuni dei suoi rappresentanti. Questo porta ad associare alla religione Islamica il fenomeno del terrorismo. Farid Mansouri, che non giustifica queste azioni, attribuisce alla stampa la colpa di alimentare questo stereotipo: ”I media raccontano quello che hanno voglia di raccontare, non per fare notizia, ma per attirare più persone e per vendere di più. Vogliono creare un’audience che in realtà non esiste. Quelle persone di cui parla la stampa, sono esseri umani e sbagliano anche loro. Quando un musulmano o un arabo sbaglia viene giudicata l’intera religione, ma la religione non c’entra niente con questo comportamento. – aggiunge Farid – ”siamo noi i primi a condannare il comportamento di certi individui musulmani che sbagliano “.

Questo stereotipo, che sembra essersi innescato recentemente alla luce degli attentanti terroristici, risale in realtà al periodo delle colonizzazioni: ”Il comportamento che vediamo oggigiorno deriva dal fatto che per anni intere popolazioni non hanno potuto istruirsi e quindi crescendo nell’ignoranza arrivavano anche a compiere gesti sconsiderati”. Il buon musulmano dovrebbe invece “amare gli altri e rispettarli“, seguendo gli insegnamenti che il Profeta ha mandato  loro.

Davanti alle notizie che riguardano gli attentati ricorrono principalmente due domande: la prima è quella che si chiede il perché i musulmani siano scappati dalla loro terra rifugiandosi in Occidente, la seconda è perché non usino gli attentanti per rovesciare i regimi dittatoriali. Alla prima domanda Farid Mansouri risponde: “I musulmani sono andati in Occidente perché c’è più libertà, perché hanno una vita dignitosa. La maggior parte sono scappati dalle oppressioni e dalle ingiustizie”. Mentre riguardo alla seconda ci rivela che in realtà il musulmano non ha alcun interesse ad uccidere perché “se qualcuno uccide un musulmano la sua ricompensa è l’inferno eterno” e dunque, “l’unico che può togliere la vita a qualcuno è Dio”. Questa importanza e valorizzazione della vita umana viene messa in pratica anche durante i conflitti: “Ci sono delle regole molto severe rispetto alla guerra per l’Islam perché siamo molto attenti alle vite umane. Non devono essere uccisi bambini, donne, sacerdoti, ma neanche gente che prega altre religioni”.

Dietro all’immagine che disegna i musulmani come un popolo bellicoso, l’ex presidente della comunità musulmana rivela che vi è: “qualcuno che sta costruendo la scena a suo favore, che sta alimentando il conflitto, l’odio. E poi sta lì a guardare”. E l’arma più potente per rispondere a queste provocazioni è quindi l’indifferenza. Infatti, “quando uno fa una provocazione poi si aspetta il risultato. Ma se uno mi provoca e io lo ignoro, non succede nulla”. 

“Da quando sono avvenuti questi attentati terroristici tutto ciò che fa il musulmano compresa la preghiera diviene una cosa odiata, non ammessa in pubblico. I musulmani sono innocenti di tutto ciò che sta succedendo come attentati e anche la religione islamica lo è”. Tutto ciò che contribuisce a creare questo stereotipo viene descritto da Farid come una “prefabbricazione per convincere che i musulmani sono una presenza pericolosa a cui bisogna stare attenti e che bisogna combatterli”. I responsabili degli attentati terroristici “sono gruppi di cui non conosciamo le loro identità”. Sono delinquenti che “si prestano per fare attentati, perché sono musulmani ma così facendo ‘macchiano’ l’Islam”. L’ex presidente della comunità musulmana ritiene che le radici di questo problema risiedano nella cultura e nell’informazione: “Il problema è culturale, le cose sarebbero migliori dando alla gente le informazioni giuste.”

E se da una parte l’Islam combatte ancora con questi luoghi comuni, dall’altra troviamo chi storicamente combatte invece contro l’odio verso il proprio popolo e verso il proprio Stato. Il popolo ebraico è infatti da sempre oggetto di discriminazioni e polemiche, non solo come popolo ma anche per la terra in cui vivono, Israele: spesso definito Stato illegittimo o non di propria appartenenza.  

Ebraismo, tra terre ‘illegittime’ e ancora ferite dalla Shoah

Riccardo Moretti spiega la sua posizione affermando che: “Quando c’è qualcun altro che decide per voi, quando impongono una scelta, ci sarà una percentuale di cose positive e negative”. Con queste parole Moretti introduce la questione israeliana, un argomento che ha portato al conflitto perenne che va avanti da più di 70 anni. Il presidente della comunità ebraica di Parma attribuisce alla politica la colpa della lunga durata di questo conflitto, in quanto è proprio grazie ai dissidi che essa si sorregge: “Spesso la politica evita gli accordi perché il potere continua a sussistere, conviene dal punto di vista economico e politico”. 

Moretti, riguardo alla comunicazione tra i popoli, si mostra positivo affermando: “Se ci lasciassero lavorare tra di noi in una settimana risolveremo il problema. Nessuno è palestinese, ebreo o chicchessia. Siamo tutti esseri umani”.

Sebbene sia un tema trattato in tutte le sue sfaccettature, la Shoah resta una delle più grandi fratture della Storia, in cui la malvagità umana ha raggiunto i suoi limiti più estremi. Ma nella comunità ebraica se ne parla? E se sì, come? Moretti, afferma che la comunità ebraica è il posto in cui si parla meno della Shoah: “Proprio perché se si dovesse restare a pensare troppo si rischierebbe di fomentare la rabbia e l’impotenza di non poter avere delle risposte al perché è accaduto”. Dolore soprattutto per la morte di quelle piccole anime innocenti che Moretti – compositore e insegnante al Conservatorio Enrico Boito di Parma – ricorda nella sua personale composizione di ninna nanne, accennando al mausoleo di Gerusalemme chiamato ‘yad vashem’, nella sezione loro dedicata che porta il nome di “Il memoriale dei bambini’. 

Sono, inoltre, profonde le cicatrici che i sopravvissuti del popolo ebraico si portano dietro nel corso degli anni. Essere consapevoli di aver avuto la possibilità di esserci rispetto a chi non ce l’ha fatta è “una ferita da qui all’eternità”. Ma la società come risponde a tutto questo? Probabilmente, dice Moretti, “piangere per i morti e criticare i vivi è la risposta più semplice: conviene. Siamo entrati nella storia e continuiamo ad esseri lì come una roccia indistruttibile”.

Diverse religioni, un unico obiettivo

Arricchire la propria fede con i punti di vista provenienti da altre religioni potrebbe permettere di avere una visione ancora più ampia dell’immagine di Dio. Don Umberto Cocconi racconta che “la religione Cristiana ha una sua riflessione sull’evento Dio ma ci serve anche un punto di vista induista, buddhista e shintoista; scopriamo di essere tutti i figli di Dio perché Dio parla a tutti gli uomini ”.

Una visione, quella di Don Cocconi, che si lega perfettamente a quanto affermato da Farid Mansouri, il quale sostiene che: “Qui sulla terra viviamo insieme, abbiamo le stesse cose, abitiamo e lavoriamo fianco a fianco, quindi, dovremmo solo cercare di conoscerci meglio. Alla base della convivenza pacifica c’è la conoscenza, quindi sarebbe giusto che la gente si informasse per bene prima di giudicare una religione o un credo sulla base di dati imprecisi o per sentito dire”.

di Simona Gallo, Anna Barbieri, Elisa Ceruti

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