Le 3C della politica sino-statunitense

Nessuna anomalia dalla chiamata tra Biden e Xi-Jinping, ma una agenda ricca di appuntamenti che aprirà una nuova stagione nei rapporti internazionali, con al centro l'ambiente e sanità

Fonte:Pixabay

L’entrata in campo della presidenza Biden ha dato l’avvio a una nuova fase dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Cina. In particolare la telefonata tra Biden e Xi-Jinping ha offerto parecchie informazioni in merito alle priorità di ciascuno nello scacchiere internazionale, decretando un definitivo mutamento dei rapporti tra le due superpotenze rispetto alla presidenza Obama. Le azioni cinesi degli ultimi anni parlano chiaro, dissolvendo qualsiasi illusione che vedeva a una liberalizzazione economica un incentivo a quella politica. 

Come spesso accade in politica estera, le strategie passate non possono essere semplicemente abbandonate in favore di una visione opposta, così gli ultimi provvedimenti dall’ex presidente Trump (ricordiamo l’accusa di genocidio nei confronti degli uiguri formulata da Mike Pompeo) vengono letti come un lascito coraggioso ma al contempo vincolate per Biden. Essi gettano i semi di una nuova guerra fredda che vede le relazioni tra le due superpotenze ai minimi storici. È del centro di ricerca Pew un sondaggio che mostra come negli ultimi 15 anni la percentuale di americani che ha una visione negativa della Cina è passata dal 35% al 73%. Oltre a ciò, il nuovo Presidente dovrà rivedere l’isolazionismo che ha caratterizzato l’era Trump, contribuendo a rafforzare l’influenza cinese all’estero e, conseguentemente, ideologie di carattere antidemocratico. 

La chiamata tra i due presidenti traccia una terza via nella strategia USA, mantenendo l’ostilità dimostrata dall’amministrazione precedente ma con metodologie e finalità diverse.

Conflittualità

Dal genocidio degli uiguri, la popolazione di fede islamica che vive nella provincia cinese dello Xinjiang, alle minacce di riunificazione armata del Taiwan, alle repressioni contro i manifestanti dei Hong Kong – passata attraverso la destituzione del potere della forze democratiche all’interno del parlamento della città – fino alle tensioni riguardanti operazioni militari in acque internazionali e addirittura in quelle giapponesi. Siamo ormai abituati alle dimostrazioni di forza da parte del governo di Pechino che non si è mai sottratto dal dimostrare la propria intolleranza verso le voci che chiedono forme di tutela democratica e più in generale di rispetto dei diritti umani.

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Biden risponderà a queste azioni con delle iniziative su più fronti.

Da una parte Carlo Jean, generale pluripremiato ed esperto in geopolitica, sostiene la superficialità di chi vede in questi un ingenuo che crede unicamente nel “soft power, nei grandi discorsi e nelle profetiche visioni sul futuro del mondo”. La volontà del Presidente è quella di creare una “Lega delle democrazie” al Global Summit for Democracy (un incontro tra i membri del G7, India, Corea del Sud e Australia) e coordinare il proprio impegno nel contrasto alla corruzione, nella difesa dagli autoritarismi, nell’avanzamento dei diritti dell’uomo su scala nazionale e internazionale. Mossa dalle preoccupazioni della propria opinione pubblica, l’America si proporrà quindi come alleato nella dimensione in cui verranno salvaguardati i propri interessi in funzione anti cinese. 

Dall’altra, il Centro di Studi Americani punta l’attenzione sull’azione del governo sui Quadrilateral Security Dialogue, un’alleanza unicamente asiatica (Australia, Giappone, India) per contrastare la politica espansionistica di Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Secondo Inside over, sito d’informazione votato alla politica estera, la maggiore interessata a voler proseguire questo percorso è l’India. Essa ha vissuto un 2020 particolarmente acceso con la Cina per rivendicazioni territoriali di vecchia data ma che non avevano mai visto lo scoppio di un vero e proprio scontro armato. Anche il Giappone non può ritenersi al sicuro. La rivalità sino-giapponese, afferma l’HuffPost, assume spesso toni nazionalistici e ad oggi riguarda le isole Senkaku, arcipelago di dominio giapponese e ricco di risorse naturali ma rivendicato dalla Cina per motivi storico-geografici.

A ogni modo, Biden vuole arrivare insieme ai suoi alleati a una condizione che vede la Cina accerchiata  così da poter dettare lui le regole del gioco e non viceversa. La Cina però non resterà a guardare e l’ago della bilancia potrebbe rivelarsi un importante accordo economico quale il Coprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (Cptpp) che ha visto l’uscita dell’America con la presidenza Trump e che ora è nelle mire di Pechino. 

Competizione

Un secondo campo sul quale lo scontro tra i due titani non sembra volersi risolvere è quello economico. I famosi dazi inaugurati dall’era Trump verrano mantenuti per un totale, sostiene il Post, di 370 miliardi di dollari di beni cinesi all’anno. Sempre il Post fa notare che malgrado gli scarsi risultati prodotti dalla guerra commerciale, l’azione dell’ex presidente è stata decisamente uno scarto dalla politica passata e ha avuto il merito di evitare che molti paesi dell’Occidente installassero hardware di reti di comunicazioni cinesi quali quelli prodotti dall’azienda Huawei. Benché sul fronte della tecnologia vi sia ancora un ampio primato americano, esso rappresenta un fronte che negli ultimi anni ha visto l’ascesa delle aziende del colosso asiatico. Oltre alla già menzionata Huawei, ricordiamo Tencent, Xiamoni e Baidu. A sommarsi ai dazi sono state anche le restrizioni ai danni di alcune importanti app quali TikTok e WeChat. Secondo Agenda Digitale, attualmente la prima sarebbe in revisione da parte del Comitato per gli investimenti esteri negli USA. La richiesta di Biden segna un attenuamento dopo le dichiarazioni del suo predecessore che l’aveva vietata citando motivi di sicurezza nazionale. La seconda verrà parimenti graziata dal Presidente che chiede alla corte d’appello federale la sospendere del ban. 

Ciò detto, permangono le accuse mosse alla Cina durante il discorso di Biden presso il Dipartimento di Stato americano, relative al furto di proprietà intellettuale e agli attacchi informatici. Inoltre la sua diffidenza può essere riassunta con le parole da lui pronunciate “If we don’t get moving, they are going to eat our lunch”. La nuova amministrazione non si limiterà a guardare agli investimenti che i loro rivali stanno attuando in settori quali trasporti e ambiente, ma sono intenzionati a muoversi nella stessa linea con un piano di investimenti quadriennali pari a 2 mila miliardi di dollari per creare posti di lavoro nel campo delle energie rinnovabili.

Questo clima di maggiore equilibrio è ancora tutto da definire ma sembra propendere per un’intesa legata più a logiche di confronto che di scontro.

Cooperazione 

Infine, malgrado tutti gli attriti che questa lotta tra logiche umanitarie, politiche ed economiche ha prodotto, Cina e America sanno che la loro grande influenza negli equilibri globali richiede dei punti d’incontro su questioni quali la lotta al cambiamento climatico. A un rinnovato impegno degli USA in questo campo, la Cina risponde con l’intento di azzerare le emissioni nette con un decennio di ritardo rispetto al suo rivale, nel 2060. I dubbi nei suoi confronti sono molteplici ma possono essere esemplificati dal coinvolgimento dei carboni fossili nella Belt and Road Initiative, ovvero la famosa nuova Via della Seta. Come scritto da Wall Street China, sito d’informazione su economia e geopolitica, è prematuro parlare di una svolta green. “Nei paesi aderenti alla BRI gli investimenti effettuati equivalgono a circa 47 miliardi di dollari, il 54% in meno rispetto al 2019. Risulta quindi evidente che quella delineata dagli investimenti dell’ultimo anno non è certo una svolta ambientalista. (…) La Cina ha infatti investito il 27% dei fondi dedicati alle fonti energetiche nel coal. Sostanzialmente, quindi, la potenza asiatica lo scorso anno ha investito più nel carbone che nell’energia solare, interrompendo un trend che si era attestato a partire dal 2016”. L’amministrazione americana ha fatto sapere che Biden ha invitato i leader di Russia e Cina al summit virtuale sul clima che si svolgerà il 22 e il 23 aprile.

Altri temi sui quali volenti o nolenti sarà auspicabile collaborare riguardano le strategie di contrasto all’epidemia e l’emergere degli armamenti nucleari. Su quest’ultimo sarà necessario un continuo dialogo con Paesi quali la Russia e l’Iran. Le premesse in questo contesto sembrano incoraggianti e hanno visto a gennaio un primo accordo con Putin nell’evitare che si riaprisse una corsa agli armamenti grazie al rinnovo del trattato New Start. Per quanto riguarda le criticità diplomatiche del Medio-Oriente, il discorso è più delicato e per ora è stato caratterizzato dalle parole di Biden: “Offrirò a Teheran un percorso credibile per tornare alla diplomazia”. Sembrava essersi aperto uno spiraglio per il dialogo quando gli USA avevano accettato l’invito dell’Europa a incontrare i rappresentanti di Teheran con lo scopo di far riaprire il negoziato sul programma nucleare iraniano dopo l’annullamento di Trump nel 2015. Tuttavia, come riportato dall’ANSA, dopo che “varie fonti hanno parlato della possibilità di negoziati indiretti tra Teheran e Washington per il rientro degli Stati Uniti nell’accordo”, il vice ministro del Esteri iraniano Araghchi ha affermato “Non abbiamo fretta, non ci sarà nemmeno un piano graduale per rilanciare l’accordo nucleare e il passo finale dovrebbe essere la rimozione delle sanzioni da parte degli Stati Uniti”.

Il vice ministro del Esteri iraniano Abbas Araghchi

Insomma, il ritorno a una comunicazione politica più sobria e coerente da parte della nuova presidenza statunitense non sarà garanzia di un ritorno ai rapporti politici distesi di memoria obamiana. Il mondo in questi ultimi 4 anni è cambiato, staccandosi dall’influenza americana e non è ora così deciso a ritornare sotto la sua ala. Questo sentimento del resto è condiviso dagli stessi cittadini americani portando la neo eletta amministrazione a misure più bipartisan e nella pratica non sempre in controtendenza con quella precedente. A Biden allora il compito di ridefinire quale tragitto percorrerà la Storia nei prossimi decenni.

 

di Francesco Scomazzon 

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