Con l’attentato a nord di Goma, l’Occidente rispolvera la Guerra del Congo

L' uccisione dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio accende i riflettori sul conflitto nel Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo

Mappa del Nord Kivu

Dopo i fatti del 22 febbraio, data in cui sono rimasti uccisi in un attacco armato l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo Baguma a bordo di un convoglio dell’ONU diretto a Rushturu, nel Nord Kivu, si è tornato a parlare della guerra che continua a funestare l’est della Repubblica Democratica del Congo.

La delegazione avrebbe dovuto visitare alcuni centri del World Food Program, agenzia delle Nazioni Unite che fornisce assistenza alimentare nel mondo. Il percorso da Goma a Rushturu attraversa il Parco Nazionale dei Virunga e incursioni armate non sono una novità in quest’area del Paese. Non è infrequente, infatti, che gruppi di ribelli si appostino nella boscaglia con lo scopo di fare ostaggi e subito dopo chiedere il riscatto. Ma perché si parla di guerra e qual è la situazione in Congo? Cerchiamo di fare chiarezza, riepilogando le tappe principali della storia di questo Paese.

La Repubblica Democratica del Congo (Rdc), come molti stati africani, ha un passato travagliato alle spalle. Ad oggi il Paese conta una suddivisione in province più fitta di quella in vigore fino al 2015, sintomo questo della necessità di ripartire con maggior precisione un territorio vastissimo. Circa 1500, infatti, sono i chilometri a dividere la capitale, Kinshasa, nell’estremo ovest, da Goma, città invece al confine con il Rwanda, a est.

L’Rdc è anche uno Stato ricchissimo di materie prime. Utilizzando la vecchia partizione provinciale, il Katanga ha riserve di rame, cobalto e uranio, il Kasai di diamanti, il Kivu di stagno e coltan e la provincia orientale di oro. Ma nel Paese sono presenti anche riserve di carbone, petrolio, argento, manganese, cadmio, zinco, piombo, stagno e tungsteno. Razzia e contrabbando di questi, oltre a caffè, legname e bestiame, sono la principale ragione di guerra. Eppure quel che accade in Congo è il risultato di una stratificazione e di una mescolanza di fattori di natura economica, politica e sociale che affonda le sue origini in età pre-coloniale.

Un imperialismo che ha molte facce

I primi contatti con gli europei si devono alle spedizioni portoghesi sulla costa occidentale nel XV secolo. Esisteva già un regno del Congo – anche se con altri confini – che era una società feudale gerarchizzata con al vertice un sovrano. Gli interessi commerciali, tuttavia, finirono per ridisegnare inevitabilmente le strutture politiche pre-esistenti. In particolare, nacque una solida classe mercantile che coinvolse, oltre ai locali baKongo, anche gli arabi. Le maggiori entrate venivano dalla tratta schiavile per le Americhe che durò fino al 1850 (solo un terzo degli uomini schiavizzati della costa proveniva dalla foce del fiume Congo, il secondo più lungo del continente dopo il Nilo), unitamente alla vendita d’avorio.

Quando nel 1868 il New York Herald incaricò l’inglese Henry Morton Stanley di recuperare il missionario e medico scozzese David Livingstone di cui si erano ormai perse le tracce e che venne ritrovato a Ujiji, presso il lago Tanganica, nessun esploratore era mai riuscito ad attraversare l’Africa Centrale da est a ovest. Nel 1877 Stanley riconobbe il corso di un unico fiume, il Congo, e sbarcò sulla costa atlantica. La sua impresa attirò l’interesse di Leopoldo II, re del Belgio, il quale incaricò l’esploratore di dirigere la costruzione di alcune stazioni lungo le rive del fiume. Nel 1885 la Conferenza di Berlino concesse al re il Congo come colonia privata e nacque lo Stato Libero del Congo.

L’ indipendenza

Il progetto di Leopoldo era quello di investire sulle infrastrutture per poter ricavarne profitto in un secondo momento. Con la sua opera di abbellimento di Bruxelles, tuttavia, andò presto in bancarotta e dovette cedere lo Stato al parlamento del Belgio, nel 1908. L’imperialismo di Leopoldo II fece comunque in tempo a mostrare il suo peggiore volto: la violenza perpetrata ai danni degli abitanti del Congo, la cui manodopera sempre più ingentemente veniva utilizzata nelle colture di gomma, produsse un calo di circa metà dei suoi abitanti. Con la nuova amministrazione, il Congo belga vide una forte industrializzazione che inevitabilmente proletarizzò una buona fetta di popolazione.

Con la spartizione delle colonie tedesche che seguì la fine della Prima Guerra Mondiale, i regni storici di Rwanda e Burundi passarono al Congo belga (fino al 1946). Nel periodo interbellico, si assistette prima ad una grave crisi economica, poi ad una lenta ripresa che favorì un progressivo inurbamento e subito dopo un incremento demografico. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Congo fu decisivo nell’approvvigionamento bellico degli Alleati contro Germania, Italia e Giappone, tanto da diventare il secondo Paese più industrializzato dopo il Sudafrica dell’Africa Sub-Sahariana. Il 30 giugno 1960 si dichiarò l’indipendenza e nacque la Repubblica del Congo, con Patrice Lumumba primo ministro.

La prima guerra del Congo

A pochi giorni dalla dichiarazione d’indipendenza, tuttavia, Moïse Tshombe, presidente della Confederazione delle Società tribali del Katanga annunciò, con l’appoggio della compagnia mineraria Union minière du Haut-Katanga, la secessione di questa regione. Lumumba, che in un primo tempo chiese all’ONU di intervenire, chiese poi sostegno all’URSS.

L’esercito congolese si macchiò, nella sua avanzata verso il Katanga, di ripetuti massacri ai danni del popolo luba: ciò segnò la fine di Lumumba, a cui venne tolto l’incarico dal presidente della Repubblica Joseph Kasavubu. Nel 1964, chiusa la parentesi secessionista dopo una repressione sostenuta da potenze straniere, sebbene questa regione negli anni ’70 abbia visto un altro conflitto, un’insurrezione nel Kwilu e una ribellione dei Simba nelle regioni orientali furono ugualmente arginate con l’aiuto di mercenari belgi e americani.

Con un colpo di Stato salì poi al potere il generale Mobutu Sese Seko, che ribattezzò la repubblica Zaire, sospendendo il parlamento e fondando il partito unico del  Mouvement Populaire de la Révolution (Mpr). Mobutu, con una svolta in senso autocratico, promosse la nazionalizzazione delle imprese straniere, ma i proventi andarono a esclusivo beneficio del suo entourage clientelare. Nel 1994 si compì il genocidio del Rwanda:  800.000 fra tutsi e hutu moderati vennero trucidati sul territorio rwandese dalle milizie filo-hutu dell’Interahamwe, un gruppo paramilitare oggi ancora attivo. 

Un padre cerca il figlio scomparso dopo gli eventi in Rwanda del 1994

Dopo aver conquistato ormai buona parte del Rwanda, per evitare ritorsioni da parte dei tutsi più di 2 milioni di hutu decisero di emigrare a ovest, stabilendosi principalmente nel Kivu. Qui, con l’arrivo degli aiuti umanitari, le milizie genocidarie si ricompattarono e ripresero a perseguitare non solo i tutsi rwandesi, ma anche quelli congolesi, i banyamulenge

Il presidente del Rwanda Paul Kagame, desideroso di salvaguardare la sicurezza e la propria influenza sui confini, aspettò che i malumori dei tutsi congolesi si accendessero per poter giustificare eventuali incursioni militari. Nel 1996 difatti 600.000 profughi fecero ritorno in Rwanda, in seguito all’accerchiamento di Uvira, Bukavu e Goma. Contemporaneamente si creò una coalizione di forze transnazionale, l’Alliance Des Forces Démocratiques Pour La Libération (Afdl) contro il regime di Mobutu e alla sua guida venne posto il congolese Laurent-Désiré Kabila. Questo conquistò lo Zaire con una manovra a tenaglia e la caccia agli hutu diretti verso ovest prese la forma di vere e proprie stragi di massa. L’Afdl poteva contare sull’appoggio di numerosi stati africani, ma decisivo fu l’apporto degli Stati Uniti, desideroso di allargare la propria sfera di influenza. Il 17 maggio 1997, dopo che i ribelli furono entrati a Kinshasa, Kabila si autoproclamò presidente della nuova Repubblica Democratica del Congo.

La grande guerra africana

In seguito alle prime defezioni violente di tutsi dall’esercito congolese, nel 1998 Kabila intimò ai rwandesi di lasciare il Paese, ma già si andava formando nelle regioni orientali un nuovo corpo di ribelli, il Rassemblement Congolais pour la Démocratie (Rcd), sostenuto da Rwanda e Uganda. Nel frattempo, il nuovo presidente rwandese allestì un ponte aereo a sud di Kinshasa, ma il sostegno al governo di Kabila di Stati come Zimbabwe e Namibia evitò nei primi mesi la capitolazione. Tuttavia si venne a creare nella regione dell’Equateur un’altra coalizione di ribelli, il Mouvement de Libération du Congo (Mlc), sostenuto interamente dall’Uganda.

Le mobilitazioni per la pace si concretizzarono negli accordi di Lusaka del luglio 1999, accordi che non vennero tuttavia rispettati: l’Mlc assunse il controllo della parte settentrionale del Congo, mentre l’Rdc si scisse nel l’Rcd-Goma e l’Rcd-Kisangani, sostenuti rispettivamente da Rwanda e Uganda. I due gruppi entrarono in guerra, approfittando anche delle faide territoriali nella regione dell’Ituri per trovare supporto bellico. Nell’ovest del Paese, Kabila venne assassinato e il figlio avviò trattative di pace.

Soldati ribelli nella provincia settentrionale del Nord Ubangi del 2000

Nel 2002 si firmò l’Accord Global et Inclusiv: l’intesa prevedeva una fase di transizione con una temporanea istituzione di quattro vice-presidenti da affiancare al presidente e che avrebbe dovuto conciliare le differenze ideologiche e politiche. Tuttavia nell’est del paese la situazione si andò inasprendo e nel 2003 prima le truppe francesi, poi i caschi blu dell’ONU intervennero per porre fine al conflitto, seppure dopo mesi di incertezza.

Nessuna pace ancora per il Kivu

Abbiamo detto che nell’est del Congo la guerra nacque da interessi economici internazionali, oltreché locali. Dal 2000 nel Kivu si ebbe una vera e proprio corsa alla predazione del coltan, minerale nero composto da colombite e tantalio, elementi resistenti e indispensabili nelle industrie missilistica ed elettronica. In particolare, con il tantalio si creano i piccoli ma efficienti condensatori che troviamo nei dispositivi elettronici, dalle console dei videogiochi alle apparecchiature mediche.

Miniere di Coltan Congo

A trarre beneficio dalle ricchezze del Congo furono principalmente Rwanda e Uganda, ma ben presto la polveriera d’Africa attirò anche multinazionali, compagnie aeree e trafficanti d’armi. Nel 2006 dalle prime elezioni libere dopo un governo di transizione uscì vincitore Kabila junior, ma la situazione nel Kivu non migliorò.

Nuovi o vecchi signori della guerra?

Ad oggi, la situazione è la seguente: 122 sono i gruppi armati attivi nelle province del Nord Kivu, Sud Kivu, Ituri e Tanganyika. Le Forze Democratiche lleate (Afd), milizie ugandesi vicine all’ideologia jihadista, rappresentano la minaccia maggiore, insieme a quelle hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr), ma vi sono anche i locali ribelli bantu del movimento mayi-mayi, che perseguitano i banyarwanda, popolazione hutu-tutsi di origine rwandese, e i già citati banyamulenge. Questi ultimi a loro volta sostengono la coalizione armata rwandese di Kayumba Nyamwasa, ex generale e nemico di Paul Kagame. A sostenere i mayi-mayi, vi sarebbe anche il Mouvement pour la solidarité et la démocratie (Msd) che lotta contro il regime autoritario del Burundi.

Centro della città di Kitshanga, nel Nord Kivu, distrutto da gruppi di ribelli nel 2013

Questi conflitti, talora piegati agli interessi personali dei membri dei movimenti, hanno creato ad oggi 5 milioni di sfollati e centinaia di morti nella Repubblica Democratica del Congo, cui si aggiungono le 2000 vittime di ebola registrate tra 2018 e 2020.

Certamente controversa è la questione relativa agli aiuti umanitari amministrati dalla missione di pace Monusco. Secondo un’ipotesi investigativa, l’attentato del 22 febbraio – cui si si è poi aggiunta la misteriosa morte del procuratore che stava indagando sul caso – troverebbe una risposta nell’interesse dell’ambasciatore per la gestione dei fondi. Sembra che dietro alla sua morte si celi il Front Patriotique Rwandais (Fpr), facente capo a Paul Kagame.

Maria Grazia Gentili

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