Baby gang? È una questione di “definizione”

Il webinar dell'Unipr ospita Franco Prina, autore di "Gang giovanili. Perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire"

Le gang giovanili sono caratterizzate da gruppi di ragazzi minorenni o che hanno superato da poco la maggiore età, che si aggregano e stanno in un certo modo sul territorio, diventando visibili e venendo percepiti come fastidiosi o produttori di insicurezza a causa del loro comportamento aggressivo. Ma quali caratteristiche possono presentare?

A spiegarlo è Franco Prina, autore di Gang giovanili. Perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire e docente di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale all’Università di Torino, durante il primo appuntamento del ciclo di webinar Libri per il lavoro sociale. Questo evento, organizzato dal Consiglio dei corsi di Servizio sociale e di Programmazione e gestione dei servizi sociali dell’Università di Parma in collaborazione con il Centro interdipartimentale di ricerca sociale, ha visto la partecipazione dello psicologo Fabio Vanni, responsabile del Programma Adolescenza presso l’Ausl Parma e di Matteo Davide Allodi, docente di Metodologia della ricerca sociale dell’UniPr.

Ci sono gang e gang

Innanzitutto bisogna distinguere le gang da quelle che di base sono solamente aggregazioni di ragazzi, che vengono associati ad attività criminali solo perché rievocano o indossano simboli caratteristici di organizzazioni criminali o bande, come i latinos, che sono un fenomeno sociale di gran lunga più caratteristico e ‘lontano’ dalla nostra realtà. Bisogna dare un sguardo non solo esterno, ma anche interno su cosa fanno, con una forte preoccupazione sugli effetti sulla società. “Chi sono quelli che si aggregano in questo modo? – dichiara Prina – A quali bisogni risponde questo tipo di aggregarsi? Solo comprendendo questi aspetti dall’interno è possibile ragionare su come intervenire e come dialogare, su come orientare positivamente la crescita dei ragazzi che trovano in quelle aggregazioni le risposte e i loro bisogni.”

Franco Prina, nel suo libro sottolinea anche la difficoltà di fare ricerca sulle devianze, essendo comportamenti tendenzialmente tenuti nascosti o, se visibili, con protagonisti poco disponibili ad essere oggetto di ricerca.

Franco Prina, autore di “Gang giovanili. Perché nascono, chi ne fa parte, come intervenire”

Uno degli esempi su cui si sofferma Prina è quello dei saccheggi tra la notte del 26 e del 27 ottobre a Torino, dove gang di giovani hanno devastato vetrine e interi negozi di marche lussuose, svuotandoli. “I ragazzi protagonisti di questo episodio pensavano di fare una bravata, adesso si trovano con un’accusa di devastazione e saccheggio, rischiando otto anni di carcere” commenta Prina. Questo avvenimento è stato paragonato erroneamente a quanto succede nelle banlieue francesi, quartieri periferici in cui sono stati ‘confinati’ i migranti degli ultimi anni, dove hanno preso vita pericolose organizzazioni criminali. Solo una cosa accomuna invece entrambi i gruppi: il fatto di non avere le stesse opportunità rispetto ad altri. Perché se tutti hanno gli stessi diritti, a loro non è concesso di poter accedere alle stesse occasioni che la vita può offrire, perché cresciuti in un contesto socio-culturale ed economico che non li sostiene.

I fattori che sono all’origine di questo fenomeno sono vari, ma possono essere suddivisi principalmente su tre piani: macro, meso e micro. Franco Prina continua: “Quando noi pensiamo alla violenza come modo di reagire alle provocazioni, o per prendere ciò che non si può avere diversamente – tratti caratteristici di questi gruppi – si parla di piano macro. “Il piano meso riguarda per lo più la provenienza da un ‘mondo diverso’, vivendo una situazione di difficoltà di integrazione, di deprivazione materiale, di fatica ad accettare o essere accettati quando si è in relazione con altri; e che in molti casi esprimono atteggiamenti di ostilità. Poi c’è il piano micro, che riguarda le relazioni che hanno i membri all’interno di questi gruppi, guardando come si reagisce agli stimoli causati dai rapporti interpersonali”.

L’aggregarsi in gruppi prevede sentimenti di amicizia e di solidarietà, di lealtà e di rispetto reciproco, spesso ci sono anche dei ruoli in base all’importanza dei membri e vengono condivisi simboli o elementi distintivi. Sono importanti i luoghi d’incontro, ritenuti di loro proprietà. Il riconoscere una piazza, una strada o un locale come il luogo che li definisce e in cui gli altri non possono entrare, o possono farlo alle loro condizioni, aumenta ancor di più il senso di appartenenza al gruppo, rafforzando la loro percezioni di invulnerabilità. “L’assenza di futuro e di prospettive, in quella logica dove siamo sempre sotto stimoli consumistici, e quando non si hanno possibilità di lavoro e altre opportunità, fanno sì che si creino queste manifestazioni di disagio” spiega il docente.

Come si può intervenire?

Secondo Fabio Vanni il fenomeno delle gang giovanili va compreso alla luce del più complesso quadro sociale che ha come protagonisti gli adolescenti, questi “personaggi invisibili, che sempre più troviamo in luoghi diversi da quelli che immaginiamo”. Si creano infatti relazionalità parallele a quelle instauratesi nei contesti pubblici in cui normalmente si muovono, in primis la scuola. D’altra parte questi spazi negano loro sempre di più una partecipazione politica e l’occupazione delle strade è una reazione a questa esclusione: all’etica normativa pubblica oppongono un’etica del gruppo.

Bisogna dunque chiedersi come si possa intervenire al meglio, tenendo presente che gli adolescenti non vanno considerati meri destinatari di provvedimenti, ma devono poter compartecipare alle scelte degli adulti. Il fenomeno delle gang giovanili si spiega solo tenendo conto di queste problematiche – dinamiche estremamente mutevoli –  già presenti quando ci si interfaccia con il mondo degli adolescenti. Gli interventi delle istituzioni spesso trovano difficoltà perché non si comprende che non abbiamo a che fare con soggetti con disturbi internalizzanti, che cioè tendono a non manifestare i problemi all’esterno, ma con soggetti esternalizzanti, che invece tendono ad agire con violenza e aggressività. I piani assistenziali previsti per i primi risultano totalmente inadeguati per i secondi.

Vanni sottolinea anche un altro elemento per analizzare il problema: la componente maschile all’interno delle gang. Esiste una partecipazione femminile, ma il fatto che in larga maggioranza il fenomeno veda per lo più ragazzi, suggerisce che esista una aggressività maschile a cui non viene dato sfogo. Anche l’attività del videogaming – prosegue lo psicologo – elimina o attenua la possibilità di manifestarla. “Aggressività non è necessariamente distruttività ma nell’identità storica degli uomini ha una sua centralità. Ridotta dunque ad un luogo molto innocuo, si può comprendere come la rioccupazione delle piazze rifletta anche questo loro stare al mondo.”

Per Matteo Allodi la questione delle bande va analizzata sia dalla prospettiva del cittadino che si sente minacciato, sia da quella dei gruppi implicati, che sono formati da ragazzi che conoscono bene il territorio e gravitano attorno a determinate aree urbane. “A Parma abbiamo vissuto già da prima della pubblicazione del libro un allarme sociale. Se da una parte questo malcontento non può essere ignorato, dobbiamo capire anche quanto la rappresentazione mediatica contribuisca a categorizzare queste forme di aggregazione.”

Del resto non sempre si ha una percezione adeguata dei fatti e quanto riportato dai media potrebbe contribuire a un’amplificazione ingenerosa di quanto accade realmente. Anche le stime possono fuorviare, spiega Matteo Allodi: “I numeri del fenomeno non sono chiari al livello nazionale perché il numero oscuro e tutta quella dimensione delle denunce e delle segnalazioni non sono probabilmente esaustivi nel darci conto di ciò che sta succedendo.”

Per quanto riguarda le aree di Parma, le gang si sono ormai tutte spostate  nel centro cittadino, tanto che si può parlare di un triangolo urbano che va dalla zona dell’Oltretorrente a piazzale della Pace e alla Stazione. A ciascuna zona corrispondono specifici target, motivo per il quale si può interpretare le reale portata del problema solo andando a contestualizzare di volta in volta.

“L’intervento migliore – continua Matteo Allodi –  può essere solo quello che prevede che si torni nelle strade, ci si confronti con i ragazzi e ci si sforzi di comprendere il loro linguaggio.”

di Maria Grazia Gentili e Lorenzo Barizza

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