Cari datori di lavoro, ognuno ha il suo mestiere

È giusto che ci sia richiesto di avere mille competenze quando il nostro lavoro è specializzato in tutt'altro?

Negli ultimi anni ormai sembra che per essere assunti sia necessario avere un curriculum stellare: giovani ma con dieci anni di esperienza, infinite competenze, certificazioni linguistiche e disposti ad accettare stage con al massimo il rimborso spese. Oltretutto, ci sentiamo fortunati solo per aver ottenuto il lavoro, che nella maggior parte dei casi è a tempo determinato.

Curricula del genere vengono specialmente richiesti a chi intraprende la strada delle nuove professioni, come quelle digitali e che ruotano attorno al mondo della comunicazione, considerate più dei tuttofare che degli specialisti. Tra queste spicca quella del Copywriter. Ma che cos’è un Copywriter? Una copertina? Un tasto del computer? No, è un mestiere.

Il copywriter, detto anche redattore pubblicitario, è la persona che scrive tutte le parole della pubblicità, dai testi per gli annunci stampa ai radiocomunicati e telecomunicati ecc. Lavora spesso a stretto contatto con il direttore artistico ed entrambi sono coordinati da un direttore creativo. Il copywriter e il direttore artistico lavorano integrando le parole e le immagini della comunicazione pubblicitaria, elaborando idee originali per una strategia creativa. Per questo, cari datori di lavoro, non si può – o non si dovrebbe – chiedere a uno dei due di svolgere il lavoro dell’altro.

Il lavoro può essere svolto come dipendente o libero professionista e, attraverso la parola scritta, interpreta le strategie, la volontà e le azioni della committenza. A volte è il copywriter stesso a creare una proposta strategica, a partire dalle necessità del cliente. Ma non per questo si dovrà affidare al lui la gestione clienti, i rapporti con il pubblico, il calcolo di bilancio e la spesa per la cena aziendale.

Un’occupazione simile, per quanto riguarda la confusione che scaturisce in chi ci chiede che lavoro facciamo, è quella del Social Media Manager. Questa figura si occupa di gestire il marketing e la pubblicità sui canali social, creando le pagine aziendali, decidendo quali canali attivare in base al seguito che potrebbero avere e declinando i contenuti in maniera differente in base alla piattaforma sulla quale sono stati pubblicati. In questo modo si crea – e successivamente si gestisce – una community.

Nelle aziende molto strutturate, che hanno un reparto interamente dedicato al Social Media Marketing, ogni risorsa ha un compito specifico: c’è il Social Media Strategist, che ci occupa di creare una strategia di marketing e comunicazione da seguire sui social, il Content Manager, figura chiave del digital marketing che si occupa della produzione e distribuzione dei contenuti, l’analista che si occupa della reportistica e c’è chi si occupa della grafica e del videomaking. Forse c’è un motivo se esistono figure professionali diverse per svolgere questi compiti.

Tuttavia nella maggior parte delle agenzie, tutti questi compiti vengono assolti dalla stessa persona. La prima responsabilità di un Social Media Manager è quella di sviluppare e attuare un piano di marketing sui social media. Inizialmente verrà fatta una value proposition, ossia una promessa di valore che l’azienda farà ai propri consumatori, successivamente bisogna identificare il target dei clienti: è infatti essenziale studiare una promozione che si adatti al target che si vuole raggiungere, ad esempio il social TikTok è quello più adatto ad entrare a contatto con i più giovani. Questa gestione include numerosi macro-task, tra cui la pianificazione, la strategia e la definizione degli obiettivi, la creazione di contenuti, la coltivazione di contatti, la gestione della community e delle pagine social. Forse però tutto questo non è abbastanza, forse dovremmo essere come Capitan America.

Queste sono solo alcune delle occupazioni che inizialmente si presentano come aperte a tutti, come se non necessitassero di alcuna competenza in particolare. Poi si scopre che invece bisogna essere esperti di marketing, programmazione di siti, videomaking ecc., permettendo così solo a pochi candidati di aspirare al posto di lavoro. Insomma, i candidati devono essere dei fac totumÈ giusto? Indubbiamente l’occupazione viene data al candidato più meritevole, ma in questo modo si rischia di non avere più compiti ‘specialistici’ ben definiti. Se, ad esempio, a un Social Media Manager vengono richieste competenze di videomaking, anche se riuscirà a portare a termine il suo compito, le sue competenze saranno probabilmente meno specializzate rispetto a quelle di un videomaker, che fa quello per lavoro. Di conseguenza, si avrà una qualità peggiore del lavoro. Sarà il caso di rifletterci.

 

di Lorenzo Barizza

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