Siamo ancora lontani dalla rieducazione del condannato

L'inefficienza del sistema carcerario italiano deve spingerci a formulare una riflessione critica sugli attuali metodi di detenzione. Abbattere gli stereotipi è un buon primo passo per poter trovare soluzioni che migliorino le condizioni del detenuto

Il 24 marzo si è tenuto il primo incontro del webinar “Tra diritto e società” a proposito della questione penitenziaria. Il tema di apertura del ciclo di seminari online, introdotto dai coordinatori scientifici Fabio Cassibba e Chiara Scivoletto, riguarda la tutela dei diritti fondamentali del detenuto oltre i luoghi comuni e gli stereotipi. Ospiti della riunione sono stati il Dott. Marcello Bortolato (Presidente Trib. Sorveglianza, Firenze) e l’Avv. Monica Moschioni (Osservatorio carcere della Camera penale, Foro di Parma) che grazie alla loro esperienza dell’ambito penitenziario hanno saputo aggiungere interessanti approfondimenti, ricchi di esempi specifici e appassionanti.

Volendo fare un quadro generale della situazione carceraria nazionale, oggi sono circa 53.000 i detenuti sul suolo italiano. Inoltre, parlando di carcere, non si possono certo escludere le decine di migliaia di lavoratori, tra cui operatori sanitari, agenti di polizia, psicologhi o addetti alle pulizie. Un grande ecosistema di persone, mezzi e strutture che ogni anno arriva a costare quasi 3 miliardi al contribuente.  Ma gli ingenti costi economici rabbrividiscono di fronte al grave problema dei costi sociali che derivano da un carcere che non assicura la pena rieducativa.

La mancata rieducazione del condannato, infatti, fa sì che i tassi di recidiva degli ex detenuti sfiorino il 68%, così come evidenziato da uno studio effettuato nel 2007 , dal Direttore dell’Osservatorio delle misure alternative del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP). Tale dato sottolinea la grave inefficienza del sistema penitenziario che, invece di recuperare il condannato, lo isola dalla società senza offrirgli una valida alternativa alla delinquenza, cosa che solo nel 30% dei casi riuscirà a metterlo nelle condizioni di ricostruirsi una vita dentro la legalità.

A cosa serve il carcere?

Il nostro stato, come molti del nostro continente, viene soprannominato “di diritto”, ossia una democrazia occidentale che, a fronte di una storia ricca di guerre, dittature e ingiustizie, si è impegnata formalmente a evitare che fatti orribili avvenuti in passato possano ripetersi. Esistono infatti documenti, come la Costituzione Italiana o la Dichiarazione Fondamentale dei Diritti dell’Uomo, che raccolgono nero su bianco una serie di articoli e postulati volti alla difesa della dignità umana, dei suoi diritti e delle sue libertà come cittadino e in quanto persona.

“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” (Dichiarazione Fondamentale dei Diritti dell’Uomo, art.1)

“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” (Costituzione Italiana, art.2)

“Chi va in carcere non è un  soggetto estraneo alla società, i detenuti non sono i diversi o i lontani, per questo bisogna fare attenzione alle tutele: chi entra in carcere non smette di essere una persona portatore di diritti. Infatti, le modalità di esecuzione delle pene devono sempre rispettare questi diritti e mirare al reingresso nella società”, afferma l’avvocata Monica Moschioni.

Manifestazione dei radicali contro il sovraffollamento e per l’amnistia

Se la permanenza è irrispettosa degli spazi, del movimento, dell’umanità, la rieducazione è più difficile. Se la pena viene eseguita con modalità intelligenti e con il superamento di deficit culturali, il reinserimento diventa più facile. Spesso i detenuti hanno la licenza elementare e non hanno mai avuto contatti con il mondo del lavoro perché cresciuti in ambienti degradanti, dove la legge dello stato viene oscurata da quella della strada e vivere nella legalità diventa una scelta sempre più difficile da intraprendere.

Il carcere, secondo la società, consta di quattro funzioni principali: quella punitiva tramite il sistema retributivo del dolore; la difesa della collettività che impedisce alle persone che rappresentano un pericolo per l’ordine pubblico di circolare libere; la funzione di avvertire la popolazione che i reati vengono puniti, così da disincentivare i potenziali criminali che verranno intimoriti dalle punizioni esemplari. Infine, l’aspetto più innovativo introdotto in Italia dalla Costituzione del ’48, è senza dubbio la funzione rieducativa della pena (art. 27) che deve mirare al recupero dei condannati che, grazie all’apprendimento di nuove mansioni e alla consapevolezza dei propri sbagli, potranno così rientrare nella società senza aver bisogno di tornare a delinquere per sopravvivere.

Come sottolinea, infatti, il magistrato Bortolato “I nostri Costituenti erano quasi tutti avanzi di galera delle carceri fasciste, per questo hanno avuto lungimiranza nello scrivere la costituzione. Essi affermano che la pena deve prevedere, in ogni caso, la rieducazione, perché è interesse della collettività stessa che la persona sia cambiata, non in senso morale o religioso, ma espiando la pena utilmente. Attraverso la privazione di alcune libertà e l’utilizzo di alcuni strumenti di rieducazione posso modificare gli atteggiamenti e i comportamenti esteriori del detenuto affinché non ricada nel reato. Questo è l’interesse collettivo.

Inoltre, il carcere permette corsi di formazione nell’ambito elettrico, della meccanica, del giardinaggio, ecc.; i detenuti possono acquisire competenze da sfruttare una volta finita la pena. Allo stesso tempo, alcuni detenuti possono anche accedere a dei percorsi di formazione scolastica, portando avanti un percorso di studio dal carcere.

Così il tempo speso in carcere diventa utile per il reinserimento nel contesto sociale. In tal senso il carcere è un interesse di tutti, perché se non si rieducano i carcerati ci sono probabilità maggiori che tornino a delinquere, se riescono a reinserirsi nel contesto sociale avranno un costo inferiore per la società stessa, anche per questo non ci si può disinteressare a loro.

Il reinserimento del detenuto

Alcune istituzioni carcerarie permettono a determinati detenuti di potersi reinserire nel contesto sociale, offrendo la possibilità di studiare. Di questo lavoro è stato fatto presente anche da una tutor accademica, Caterina, che lavora presso il carcere di Opera. In quanto tutor, Caterina affianca studenti detenuti presso il carcere di Opera, iscritti all’Università, aiutandoli nello studio delle materie. Non conosceva nulla dell’istituzione carceraria, se non quei preconcetti e stereotipi costruitasi per via di ciò che ci viene propinato dalla televisione. Una volta iniziato il suo percorso come tutor, ha iniziato a vedere realmente l’istituzione carceraria per quello che è, ossia un’istituzione che tiene, sì, rinchiuse delle persone, ma le quali vengono trattate come esseri umani e sono civili.

“Sicuramente sentivo la necessità di mettermi alla prova e fare qualcosa che potesse, nel mio piccolo, fare la differenza, ma la scelta di per sé devo dire che è stata molto istintiva e per certi versi anche poco ragionata. Ho pensato: ma si, buttiamoci, e così ho fatto”, afferma la tutor Caterina.

A causa della pandemia ha portato a dover rivalutare i propri mezzi a disposizione per poter consentire agli studenti di Opera di proseguire gli studi. Cosa si sono “inventati” i tutor? Principalmente, finché la situazione non è ritornata alla normalità (cioè far tornare i tutor fisicamente), mandavano il materiale didattico ai propri studenti lasciandoli al portinaio del carcere, in modo tale che non rimanessero indietro con il programma. Successivamente, nel luglio del 2020, i tutor sono tornati ad insegnare e seguire i propri allievi all’interno del carcere, sottoponendosi ad un tampone mensile.

Poi, per evitare che la situazione emergenziale si ripresentasse e causasse gli stessi problemi, sono riusciti a prendere possesso di aule fisiche della propria università, in modo tale da proiettare in collegamento con il teatro del carcere le lezioni, così gli studenti sono stati più agevolati. 

Il rapporto che si instaura tra il tutor e il detenuto, in realtà, è molto spontaneo, in quanto sono già persone propense a imparare. “L’attività di tutorato procede sempre su un doppio binario: da una parte il mondo esterno che tu porti in carcere e dall’altra il mondo del carcere che entra a far parte di te; quando un qualcosa di così potente entra a far parte del tuo bagaglio di esperienza non può che cambiarti per sempre”.

 

Di Michael Nova e Giulia Specchio.

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