Verde e blu: come progettare un futuro sostenibile e digitale? A lezione con Luciano Floridi

La rivoluzione digitale ci ha obbligato a ripensare a molte delle strategie con cui siamo soliti risolvere i problemi. Un nuovo progetto umano dovrà necessariamente coniugare ecologia e tecnologia

Luciano Floridi

Quando ci si approccia al tema del digitale, si rischia di vedere la discussione polarizzata.  Da un lato i sostenitori che auspicano ciecamente il progresso e dall’altro detrattori preoccupati per le sorti dell’umanità e spesso fautori del recupero dei ‘buoni valori tradizionali’.

La realtà però può essere diversa e l’argomento che andremo a presentare mostra chiaramente come non solo un connubio tra politiche ambientaliste, verdi, e politiche digitali, blu, sia possibile, ma del tutto necessario se vogliamo far fronte alle sfide future. La tecnologia ha avuto un impatto fortissimo sulle nostre vite e ha ridisegnato concetti non più affrontabili soltanto con gli strumenti dell’era dell’analogico: la transnazionalità del digitale impone una disamina accurata che tenga conto delle differenze in atto, differenze che non sono più ignorabili. Al contempo, bisognerà prediligere governance attente ai temi ambientali e sociali, nonché economie circolari che sappiano mantenere il grado di benessere raggiunto e però abbiano abbandonato il vecchio paradigma del consumo.

È questo il tema della lectio magistralis tenuta in videoconferenza da Luciano Floridi, ordinario di Filosofia e Etica dell’Informazione presso l’Università di Oxford, e organizzata da Lions Club Parma Host con la collaborazione dell’Università di Parma.

Presenti all’incontro sono stati il Rettore Paolo Andrei, il governatore del Distretto Lions 108 Tb Gianni Tessari, il Presidente del Lions Club Parma Host Sergio Bandieri, l’assessore alla cultura Michele Guerra, la presidente dell’Unione Parmense degli Industriali Annalisa Sassi, il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e il direttore della Gazzetta di Parma Claudio Rinaldi.

Il digitale come opportunità

La tecnologia ha la grande capacità di rideterminare la nostra visione delle cose, nonché la loro concettualizzazione. Per usare termini propri delle filosofia, favorisce una ri-ontologizzazione e una ri-epistemologizzazione del mondo. Oggi infatti ci muoviamo in uno spazio che non è più solo online o offline, ma onlife. Il digitale scolla e incolla modelli, strutture e concetti, e nell’applicarli ai più disparati luoghi offre possibilità nuove.

Ad esempio, siamo tenuti a separare ormai i concetti di presenza e localizzazione: se abbiamo sempre pensato che essere localizzati volesse dire essere presenti, internet ci ha dimostrato che è possibile spostarsi senza modificare le proprie coordinate geografiche. O ancora i concetti di territorialità e legge: la legislazione odierna deve per forza adeguarsi a mappe dai confini non più territoriali e che richiedono misure transnazionali e proprie del ciberspazio, nell’applicazione di tali norme. Ecco allora che al posto del criterio della territorialità, dovremmo preferire quello della relazionalità.

Dobbiamo inoltre auspicare un divorzio concettuale nel mondo dell’intelligenza artificiale tra la capacità di agire con successo in vista di un fine e la necessità di essere intelligenti nel farlo. Non tutto ciò che funziona può essere detto intelligente. Le nostre lavatrici e lavastoviglie non lo sono, ad esempio. E questo perché per funzionare il robottino in questione deve avere un ambiente, un envelope, uno spazio tridimensionale all’interno del quale ha successo. Quel che stiamo facendo è esattamente questo: non stiamo ideando agenti artificiali quali software, hardware e robot affinché possano gestire i problemi al posto nostro, ma affinché possano funzionare all’interno dell’ambiente-mondo. Ottimizzare questo spazio è possibile oggi grazie alla diminuzione dei costi, alla computazione più potente, al maggior numero di dati, a migliori algoritmi, agli avanzamenti del machine learning (ML), a più numerosi Internet of things (IoT) e al più diffuso Onlife.

 

 

Quando si ragiona di tecnologia, spesso la prima preoccupazione riguarda l’occupazione lavorativa. Insomma, davvero un giorno i robot prenderanno il nostro posto? Luciano Floridi sembra molto sicuro nel dichiararla un’ipotesi remota. E spiega anche perché. I grafici che registrano i dati dell’occupazione sul lungo periodo per determinati lavori sono fuorvianti in quanto è impossibile offrire previsioni precise. Il mondo del lavoro è dinamico e potenzialmente ce n’è quanto se ne vuole fare. Quel che è vero è che esiste una soglia sotto la quale non vale la pena fare un lavoro che c’è sempre e quella viene spostata dall’innovazione tecnologica. “Il vero guaio è che noi stiamo vivendo una drammatica fase di transizione e la società ha difficoltà a rincorrere la trasformazione. Per questo noi tutti dobbiamo impegnarci, tramite strategie di welfare e supporto sociale, ad aiutare chi rimane indietro. È altresì importante che i vantaggi che si prevede di accumulare si possano utilizzare nel presente” precisa il professor Floridi.

 

Design e complessità C

Quando il digitale scorpora e incorpora, ci offre la possibilità di fare design, che è una delle componenti fondamentali dell’innovazione, insieme all’invenzione e alla scoperta. Il design rimodella eredità del passato e modelli del presente, ed è reso possibile da tante più opportunità, le cosiddette affordances, quanto minori sono i vincoli alla pratica.

 

Il design ecco che può e deve essere sfruttato all’interno di una società complessa come la nostra. Complessità che riguarda anche i problemi che abbiamo da risolvere. Per far fronte a questi, Luciano Floridi parla di fattore C, inteso come l’insieme di tre parole chiave: coordinamento, collaborazione e cooperazione. Se il primo prevede che non vi siano interferenze tra due o più soggetti, il secondo implica divisione dei compiti, mentre il terzo un vero e proprio svolgimento delle mansioni in gruppo. Alle sfide odierne non si possono più opporre strategie di solo coordinamento, sebbene tutti giorni sembrino palesarsi sulla scena politica misure di questo tipo.

Un esempio? La crisi climatica è un problema che necessita l’impiego del fattore C. Ebbene, i criteri e meccanismi adottati dagli stati sembrano inadeguati a comprendere la reale complessità, dalla legislazione alla teoria dei giochi e al market. È invece necessario che quelle tre C siano realizzate attraverso l’ordinamento giuridico-politico nonché attraverso regole di mercato.

I macroproblemi su cui siamo chiamati a intervenire oggi toccano il capitalismo, la democrazia, la demografia, l’ambiente, il digitale, il lavoro e la giustizia: tutti di elevatissima complessità. La questione preoccupante è quella che Floridi chiama paradosso della complessità C, che vede le società più avanzate accorgersi meno facilmente della necessità dell’impiego di tutte e tre i fattori sopra elencati nelle sfide che le riguardano.

 

Un nuovo progetto umano

Abbiamo detto che il design è ciò che ci permette di utilizzare al meglio la novità che il digitale rappresenta. Eppure, da quanto emerso finora, sembra che un buon design da solo non possa bastare al superamento delle crisi in atto. Serve infatti una buona governance della complessità C, e per fare ciò dobbiamo ideare un nuovo progetto umano, una visione che ribalti il classico paradigma novecentesco del progetto inteso come metaprogetto, che basi cioè la propria azione politica sul soddisfacimento dell’interesse individuale. Il progetto deve essere inteso come comune e condiviso.

 

 

Questo – rimarca il professore – è importante perché non si può valutare l’efficienza di un dato intervento unicamente a partire dal grado di benessere o soddisfazione condivisi. E soprattutto non si tratta di un risultato che si può ottenere senza prendere alcun tipo di decisione in questa direzione, lasciando che i singoli stati e autorità lavorino a ciascuno dei problemi senza cooperare. Pensare in questi termini, invece, ottimizza sforzi e risorse nel perseguimento di un grande obiettivo comune.

 

 

“Dobbiamo riacquistare il concetto di comunità, altrimenti ci sarà soltanto una frammentazione di individualità che però da sole non potranno andare da nessuna parte”.  Come si realizza un nuovo progetto umano? Ebbene, la comunità dovrà superare il capitalismo consumistico odierno per prediligere un capitalismo della cura (fosterism), dovrà scegliere agenti e intermediari che siano anche buoni cittadini, dovrà lavorare al raggiungimento di un benessere di cui tutti possano godere. “Le nuove generazioni – spiega il relatore – pensano erroneamente che molte di queste battaglie siano state già combattute, ma la più grande sfida è ora. C’è tutto un mondo da costruire e lasciare alle generazioni che verranno.”

Oggi assistiamo ad una nuova transizione ad un’economia circolare dopo decenni di economia lineare. Eppure non è un’acquisizione nuova per noi: il mondo ne ha conosciuto per necessità i vantaggi. Si tratta di recuperare stili di vita sostenibili, senza per questo abbandonare il grado di benessere raggiunto.

La tecnologia può facilitare questo cambiamento con sistemi più efficienti e meno costosi. Insomma, l’unione di ‘verde e blu’ non è poi tanto una chimera. E forse rappresenta l’unica opzione possibile per preservare il pianeta e il futuro dell’umanità.

 

di Maria Grazia Gentili

 

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*