Votare a 16 anni: e se il problema non fosse la giovane età?

La recente proposta del Segretario del PD Enrico Letta di abbassare l'età del voto ha risollevato antiche polemiche. Sarebbe possibile? Sì certo, ma con le giuste premesse

ragazza

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” 

Così recita il primo articolo della Costituzione italiana, fondamento legislativo dello Stato italiano in auge dal 1948. Ci sono due parole interessanti in questo primo articolo: la prima è ‘Repubblica’, accompagnata dall’aggettivo ‘democratica’; la seconda è ‘popolo’. Svolgendo un’analisi neanche troppo approfondita risulta subito chiaro che in Italia è il popolo a detenere il potere di decidere chi lo rappresenta, ne porta avanti le cause, ne ascolta e risolve le necessità. Si svela dunque il senso di parlare di ‘Repubblica democratica’. Abbiamo detto che la seconda parola interessante è ‘popolo’. Secondo il dizionario Treccani, questa parola, tra i suoi significati, vede quello di “insieme di tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E allora perchè ci interessa?

In questo significato del termine, che è quello che interessa l’aspetto giuridico, non si parla di età, questione interessante poiché più volte dibattuta nella storia del Governo italiano dal punto di vista dell’età necessaria per poter votare. Lo scorso marzo Enrico Letta è stato nominato segretario del PD, e tra le sue proposte emerge proprio quella di abbassare l’età che permette di votare da 18 a 16 anni. Come riporta Il Post, Letta aveva già formulato la proposta nel 2019, e ancora prima Walter Veltroni nel 2007. Nulla di nuovo perciò. Tuttavia attualmente la proposta non è ancora stata approvata e la questione risulta dibattuta tra i fautori dei pro e quelli dei contro.

Sostenitori del ‘sì’ vs sostenitori del ‘no’

Chi sostiene che l’età per votare debba rimanere a 18 anni sostiene la propria posizione con tesi diffuse: a 16 anni i ragazzi sono ancora troppo immaturi e istintivi per avere una responsabilità importante come quella del voto. Inoltre sostengono che ad una età così giovane non è scontato che tutti abbiano una propria idea politica e quindi una preferenza, quindi si lascerebbero influenzare dal voto dei genitori e questo si tradurrebbe nel dare più potere di voto a chi già ce l’ha. Non solo. Abbassare l’età per votare può chiamare in causa la necessità di rivedere anche l’età in cui si diventa maggiorenni, e quindi prendere una decisione: o abbassare la maggiore età alla soglia dei 16 anni o dare ai 16enni la possibilità di votare, ma obbligarli ad aspettare comunque i 18 per poter conseguire la patente di guida. E questo potrebbe suscitare non poche polemiche. Infine molti sostengono che se la politica volesse davvero intervenire per sostenere i giovani dovrebbe occuparsi direttamente di loro, introducendo tutele e incentivi e non il “contentino” di poter votare prima. Dall’altro lato si schierano coloro che sostengono l’abbassamento dell’età per conseguire il diritto di voto e lo fanno anch’essi in nome di svariate motivazione. Innanzitutto, chi ha meno di 18 anni non può attualmente votare, mentre il resto della popolazione può votare senza limiti di età, finchè il fisico lo permette. Questo crea un forte divario sul peso elettorale, e la bilancia pende comunque dalla parte dei ‘maturi’, facendo perdere terreno di espressione ai più giovani. Abbassando l’età a 16 anni non si colmerebbe del tutto il divario, ma si potrebbe almeno parzialmente alleviare. A 16 anni molti ragazzi e ragazze già lavorano e pagano le tasse, quindi molti sostenitori del ‘sì’ reputano giusto che anche questi cittadini a tutti gli effetti possano esprimere la loro opinione politica. Inoltre, permettere a persone così giovani di votare per il proprio Paese, e quindi essere in un certo senso una tessera fondamentale del puzzle, rappresenta un’occasione per sensibilizzarli maggiormente alle tematiche socio-politiche del proprio tempo. Infine, emerge la complessa questione della formazione: molti sostengono che essere informati non è unicamente appannaggio della scuola, e che il mondo iper-connesso che viviamo ogni giorno fornisce innumerevoli mezzi per essere sempre al passo con l’attualità.

Formazione e informazione

Dunque, si può vedere che entrambi gli schieramenti presentano valide ragioni a sostegno della propria tesi. Eppure per il momento le circostanze sembrano mostrare che il ‘no’ sia in vantaggio. Forse, allora, bisognerebbe indagare più da vicino i punti in cui la tesi del ‘sì’ fa acqua. Tralasciando il discorso sull’immaturità pericolosa, fugace e bellissima dei 16 anni, si può riflettere sulla questione informazione e formazione. Seppur oggi tutti, fin dalla più giovane età, sono potenzialmente in grado di utilizzare uno smartphone, non è detto che ne venga contemplato l’uso come mezzo di informazione su fatti di attualità. In particolare restando nell’ottica di un sedicenne, lo smartphone (tablet o computer che si voglia) è il mezzo che serve principalmente per comunicare con i propri coetanei, per condividere i propri contenuti sui social e per ascoltare i propri cantanti preferiti. Questo non per mancanza di zelo da parte degli adolescenti, ma per il semplice fatto che l’età che stanno vivendo è quella più spensierata e disinibita della propria esistenza, quella in cui le ore a scuola si trascinano e quelle in libertà volano. È l’età in cui, per forza di cose, si è senza pensieri e non si palesa neanche la possibilità di farseli venire.

Indubbiamente si può obiettare che non tutti gli adolescenti sono come sopra descritti: molti a questa giovane età sono già interessati problemi di natura sociale e politica nonché ambientale, si informano sull’attualità e iniziano a combattere le proprie battaglie. Inoltre, se educati e indirizzati a questo tipo di atteggiamento, si potrebbero ottenere buoni risultati e avviarli a una prassi quotidiana di informazione alimentata da letture di quotidiani piuttosto che di post di influencer.

Tuttavia è proprio sul tema educazione che si verifica la principale falla che fa affondare l’intera nave: che educazione all’attualità si può pretendere da istituti superiori – licei e non-  che si fermano con il programma di storia alla seconda guerra mondiale? I più fortunati vedono di sfuggita il boom economico degli anni sessanta. E La guerra in Vietnam? La guerra fredda e il Muro di Berlino? Mani Pulite e Tangentopoli? Gli anni di piombo? Menzionati sì, ma a giugno quando c’è la maturità da preparare. Per non parlare dei primi dieci anni del nuovo millennio. Ancora più trascurato è lo studio di Cittadinanza e Costituzione, elargito con dispense preparate all’ultimo minuto da imparare quasi a memoria così se il commissario fa una domanda sulla Costituzione si può rispondere citando almeno il primo articolo.

In estrema sintesi, il problema non è dei 16enni, che con buona volontà, e sicuramente chi anche con sincero interesse, si possono dedicare all’attualità, informarsi e diventare cittadini modello che tutti vorremmo vedere ai seggi elettorali. Il problema è ancora una volta di chi vuole decidere per gli altri ma non sa con che strumenti muoversi, non vede dove c’è bisogno di agire. Forse il lockdown e la DAD, spingendo ad un maggiore utilizzo dei dispositivi elettronici, hanno avuto lo stesso effetto della gamba rotta che ha costretto a letto James Stewart in La finestra sul cortile: non potendo compiere la sua professione da fotografo perchè infortunato, ha iniziato ad utilizzare i suoi strumenti fotografici in modo del tutto alternativo. Così anche i ragazzi, in casa tutto il giorno con i loro device, hanno iniziato a sperimentarne nuovi usi quali quello di mezzi informativi.

Se vinceranno i sostenitori del ‘sì’, gli effetti li scopriremo alle prossime elezioni.

di Camilla Ardissone

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