World Press Freedom Day: tributo a coloro che hanno perso la vita per il giornalismo

In occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa, abbiamo ricordato alcuni dei moltissimi giornalisti che sono stati vittima della loro dedizione alla verità

La data del 3 maggio è stata scelta dall’Unesco come  Giornata mondiale della libertà di stampa, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della libertà di stampa e per ricordare ai governi mondiali l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione, e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e frontiera.”
Questo diritto però purtroppo viene ancora oggi messo in discussione: infatti sono ben 3000 i giornalisti che negli ultimi 25 anni hanno perso la vita per raccontare la verità. Vediamo insieme le storie di alcuni di loro.

Ilaria Alpi

Ilaria Alpi, giornalista e fotoreporter italiana del TG3, fu uccisa a Mogadiscio insieme all’operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994. Mentre erano a bordo di un pick-up Toyota di ritorno da un incontro fuori dalla città con il sultano del Bosaso, una Land Rover tagliò loro la strada. Ne discesero almeno sette persone armate che li freddarono.

Le inchieste della giornalista si sarebbero soffermate su un possibile traffico illegale che avrebbe visto, tra l’altro, la complicità dei servizi segreti italiani e di alte istituzioni italiane. Aveva probabilmente scoperto un traffico internazionale di rifiuti tossici, seppelliti in un’area desertica nel Nord della Somalia, prodotti nei Paesi industrializzati e dislocati in alcuni paesi africani in cambio di tangenti e di armi scambiate coi gruppi politici locali. Diversi documenti e testimonianze affermano che Ilaria Alpi stava arrivando al cuore dei malaffari che legavano la Somalia all’Italia e ai Paesi dell’Est, dai quali provenivano gli armamenti pagati col permesso di seppellire in loco le sostanze nocive.

Per l’uccisione di Ilaria e Miran fu condannato in via definitiva a ventisei anni di carcere uno dei presunti killer, Omar Hashi Hassan. Da tempo, però, numerose testimonianze e documenti mettono in discussione la sua colpevolezza. Ancora oggi restano da individuare i veri colpevoli, esecutori e soprattutto i mandanti. Ilaria Alpi scoprì il segreto più gelosamente custodito in Somalia, lo scarico di rifiuti pagato con soldi e armi; capitò su uno dei punti sensibili che la Somalia cercava affannosamente di proteggere e che l’Italia stessa aveva la necessità di coprire.

Jamal Khashoggi

Jamal Khashoggi era un giornalista turco, ucciso nel consolato saudita a Istanbul il 2 ottobre del 2018. Un anno prima della sua morte, Khashoggi era emigrato negli Stati Uniti, dove si era autoesiliato perché dissidente politico. In particolare, il giornalista saudita aveva aspramente criticato alcune decisioni del principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman.

Il giornalista si era recato quel giorno presso il consolato perchè aveva un appuntamento: doveva ritirare i documenti necessari al suo imminente matrimonio con Hatice Cengiz, la sua compagna turca. Da quel momento di lui si persero le tracce. Le autorità che hanno lavorato al caso ritengono che, dopo aver strangolato il giornalista, i suoi carnefici lo abbiano fatto a pezzi e disciolto nell’acido. Il suo corpo non è  mai stato ritrovato.

Le indagini condotte da Ankara portarono all’identificazione di 15 persone, giunte in Turchia prima dell’appuntamento del giornalista e ripartite immediatamente dopo la morte di Jamal Khashoggi. Cinque persone sono state condannate dal tribunale di Riyad in via definitiva a 20 anni di prigione, mentre le pene per altri tre imputati variano dai 7 ai 10 anni. Dalle Nazioni Unite, però , la sentenza non è stata accolta positivamente: “Questi verdetti non hanno alcuna legittimità legale o morale”, aveva commentato la responsabile per le esecuzioni extragiudiziali – sommarie o arbitrarie – Agnes Callamard, che su Twitter parla di “parodia di giustizia”.

Jamal Khashoggi è stato nominato “persona dell’anno 2018” dal Time Magazine, insieme ai giornalisti della Capital Gazette di Annapolis, la filippina Maria Ressa e i reporter della Reuters arrestati a Myanmar, Wa Lone e Kyaw Soe Oo, definiti “i guardiani” dal settimanale statunitense. È stata la prima volta che dei giornalisti vengono scelti come “persona dell’anno” dal magazine ed è stata la prima volta che una persona deceduta venga indicata come personalità più significativa dell’anno in corso.

Zam Rouhollah

Zam Rouhollah era un attivista e giornalista iraniano. Inizialmente si rivoltò contro l’establishment dopo le proteste per le elezioni presidenziali iraniane del 2009. Imprigionato nel carcere di Evin, riuscì dopo alcune settimane, a fuggire dall’Iran per risiedere in Francia. Divenne celebre a livello internazionale per aver gestito un canale Telegram chiamato Amadnews (o Sedaiemardom, Voice of the People), fondato nel 2015.

Zam ha svolto un ruolo di alto profilo nelle proteste iraniane del 2017-18 , cui all’epoca dedicò una copertura speciale. Stabilì i tempi e i dettagli organizzativi delle proteste, nonché raccolse informazioni sui funzionari che sfidarono il governo iraniano. Dopo che il governo del paese si lamentò del fatto che il canale avesse fornito informazioni su come fabbricare bombe a benzina, Telegram fu costretto a chiudere il canale nel 2018.

Il 14 ottobre 2019 le Guardie rivoluzionarie iraniane annunciarono di aver attirato in Iran e arrestato Zam, sebbene secondo altre fonti il giornalista sarebbe stato arrestato in Iraq da funzionari dell’intelligence e consegnato all’Iran sulla base dell’accordo di estradizione tra i due paesi – firmato nel 2011. L’udienza si tenne presso la 15° sezione della Corte rivoluzionaria islamica di Teheran, presieduta dal giudice Abolqasem Salavati: Zam fu condannato a morte secondo il portavoce della magistratura, Gholamhossein Esmaili, il 30 giugno 2020. E’ stato giustiziato per impiccagione il 12 dicembre 2020.

Daphne Caruana Galizia

Daphne Anne Vella era una giornalista e blogger maltese. Fu uccisa il 16 ottobre del 2017 a Bidnija, nel nord dell’isola, dall’esplosione di una bomba nella sua auto. Era una delle giornaliste più famose a Malta, per via delle sue inchieste sulla corruzione e soprattutto sull’evasione fiscale internazionale sull’isola legata ai Panama Papers, i documenti riservati che rivelarono una rete internazionaledi società off shore e loro beneficiari. Fu anche la prima a rivelare il coinvolgimento di alcuni importanti membri del governo di Muscat, premier maltese.

Nell’aprile del 2017 Caruana Galizia pubblicò una serie di articoli che accusavano la moglie di Muscat di possedere una società off shore, attraverso la quale avrebbe ricevuto un milione di dollari dalla figlia del presidente dell’Azerbaijan. Lo scandalo portò Muscat a chiedere le elezioni anticipate, che poi vinse. Nel luglio del 2018 Muscat fu assolto da ogni accusa relativa ai presunti reati finanziari contenuti nei  Papers, ma le inchieste di Caruana Galizia, all’epoca incomplete, sono state approfondite  dopo la sua morte da altre testate internazionali e hanno portato a importanti scoperte.

Nei giorni successivi all’esplosione dell’auto di Caruana Galizia, la polizia di Malta, aiutata nell’indagine dall’FBI, dall’Europol e da uno speciale dipartimento investigativo della Finlandia, arrestò una decina di persone in relazione all’omicidio, incriminate nel luglio del 2019 per sei diversi reati, tra cui omicidio volontario e possesso e detonazione di esplosivo. Nessun mandante è stato però identificato.

Un lungo elenco di nomi, quello dei caduti in nome della libertà di opinione e di espressione. Un lungo elenco di persone, ognuno con la propria vita e i propri affetti. Un lungo elenco di vite spezzate solo perché volevano sapere, informare e raccontare. Un elenco di uomini e donne che credevano che ogni individuo ha diritto alla libertà di parola, ha il diritto di non essere perseguitato per questo, ha il diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e frontiera, ma prima ancora perché credevano nel diritto alla vita e nella consapevolezza che chi scrive vive per sempre.

 

di Matteo Guerra

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