Gli effetti del Covid-19 sui giornali italiani: tra allarmismo e incertezza scientifica

Il giornalista Paolo Ferranti e lo psicologo Luca Caricati, professori dell'Università di Parma, fanno chiarezza su come è stata gestita la comunicazione sulla pandemia

Il rispetto delle norme e delle regole soprattutto in questo periodo ha assunto un ruolo chiave. Lavarsi le mani, mettere la mascherina, rispettare il coprifuoco, sono dettami volti a limitare al minimo la diffusione del contagio, affinché si possa avvicinare al più presto la fine di questo incubo. E in questo ultimo anno la comunicazione svolta da media e quotidiani, hanno rivestito il ruolo da protagonista per una gestione ottimale della pandemia.

Ma quali toni sono stati principarlmente usati per descrivere e informare sull’emergenza snaitaria? Tra stampa italiana e quella estera chi ha svolto il  miglior servizio?  I social network in che modo hanno influito?

Toni allarmistici e sensazionalismo: dove sta la verità?

Questo protagonismo si è però da subito rivelato una lama a doppio taglio, l’informazione sul Covid-19 da parte dei giornali nazionali si è ritrovata al centro di molte critiche, le quali hanno portato a pensare che essa non rispecchi in modo veritiero la realtà dei fatti e che, la maggior parte delle volte, sia solo allarmismo mediatico.

Come spiega Paolo Ferrandi, giornalista e professore di Giornalismo e Nuovi Media all’Università degli Studi di Parma, il carattere allarmistico è insito nel giornalismo, non solo in quello italiano: “La nuova base giornalistica è quella di cercare di dare la notizia, e molte volte è il momento più nuovo e spettacolare del discorso. Quando siamo poi di fronte a temi di tipo scientifico particolarmente complessi, molte volte si tende a dare la versione più allarmistica e sensazionale”.

In questo contesto, il  giornalista, si trova svolgere un lavoro estremamente difficile,  in quanto, continua il professore, si trova “di fronte a una malattia che non è del tutto conosciuta, in cui gli sviluppi non sono noti, e su cui si è costruito un enorme quantità di opinioni scientifiche, alcune comunicate e altre no, e c’è una divergenza di opinione notevole tra gli esperti. Quindi il giornalista si trova a dover ripetere la diversità di opinioni che si trovano nel campo degli esperti,  svolgendo un  lavoro complesso“.  Le cause di questo allarmismo, come ritiene il prof Ferrandi, stanno dunque alla base del tema, risiedono nella complessità della situazione che questa pandemia ha creato, “nel senso che ci troviamo di fronte a una malattia incredibilmente complessa in cui stiamo utilizzando strumenti medici, come i vaccini, che sono nuovi ed hanno conseguenze che si scoprono man mano che la campagna prosegue”.

L’allarmismo mediatico creato dalla stampa italiana, non si discosta molto da quello della stampa estera, francese o inglese. Chi ha svolto il miglior servizio secondo Ferrandi sono stati i cosiddetti giornali di qualità, per esempio Le Monde o il New York Times che vengono consultati però, solo da una parte ristretta della popolazione, i giornali più letti sono infatti i quotidiani regionali, i quali sono ugualmente allarmistici a quelli italiani.

A riconoscere un eccessivo allarmismo nelle notizie diffuse sulla pandemia è Luca Caricati, psicologo e  professore di Psicologia della comunicazione all’ Università degli Studi di Parma. Caricati sostiene che, sopratutto al principio della diffusione del Covid-19, la situazione ancora sconosciuta alla quale il popolo italiano stava andando incontro ha favorito la proliferazione di notizie che descrivevano una realtà diversa da quella reale.  Inizialmente è stato adottato “quello che viene definito l’appello alla paura – questo è avvenuto per due motivi –  perché  gli stessi giornalisti e chi doveva decidere aveva paura, e perché bisogna fare in modo che le persone cambiassero drasticamente il loro modo di vivere.”

Questo allarmismo, che dapprima sembrava essere essenziale per mantenere alta l’attenzione tra la popolazione italiana, si è sempre di più  radicalizzato con le prime somministrazioni dei vaccini.  Riguardo questi ultimi, secondo il professor Caricati, più che di informazione bisognerebbe parlare di disinformazione, prevedibile viste le numerose incognite presenti. “Oggi c’è una disinformazione allarmistica. Questa era prevista dal momento in cui tutti i vaccini hanno degli effetti collaterali e nel momento in cui, in un brevissimo periodo il tempo, somministri un farmaco a tantissime persone: avrai qualche effetto collaterale perché è così statisticamente”. L’errore che è stato commesso, secondo il professore di Psicologia della comunicazione, è stato quello di “aver sempre dato molto risalto al caso singolo”,  nel momento in cui si verificava un effetto collaterale, non considerando quindi,  la base, cioè la totalità delle vaccinazioni somministrate.  

La pandemia nei social network

Le incertezze che gravitano attorno alla pandemia, hanno costituito un terreno fertile per la proliferazione di fake news. Un articolo del Sole 24 ore ha evidenziato come in un anno siano stati rimossi circa 22.400 twitter responsabili della diffusione di informazioni sbagliate riguardo la pandemia, questo perché, come spiega Ferrandi, “quando un argomento ha un grosso impatto emotivo, le fake news sono molto più facili da diffondere perché tendono ad essere distribuite da impulsi emotivi. Notizie come un’eventuale pandemia è un buon terreno per la loro diffusione.  L’incremento è avvenuto, quindi, per il fatto che l’argomento era intessente dal punto di vista distributivo”.

Le grandi piattaforme digitali, come Facebook, dall’altra parte, hanno cercato di arginare questo problema utilizzando, “una serie  di politiche coattive per cercare di scovare e di disalimentare la condivisone di fake news, in parte riuscendoci”. L’adozione di queste norme regolatrici è sintomo di una responsabilizzazione dei social media, i quali si accorgono di influenzare sempre di piu i loro utenti, poiché altrimenti “dovrebbero moderare i contenuti al loro interno” e questo sarebbe un lavoro enorme e dispendioso. La stampa può avere colpe, perché essa, come spiega Ferrandi,  “non è un meccanismo perfetto: per come funziona tende ad aumentare contenuti particolarmente allarmistici; ma mettendo in pratica regole deontologiche e di attenzione della pratica giornalistica,  si cerca di minimizzare questi inconvenienti che però sono insiti nel modello stesso di giornalismo”.

Com’è stato comunicato il Covid-19?

Nell’ultimo periodo la comunicazione legata alla pandemia è stata ritenuta contraddittoria, dettata, come precedentemente detto, dalle insicurezze che attanagliavano il Governo. Queste incognite si sono riversate sul popolo italiano e interpretate come ‘mancanza di conoscenze’ di chi doveva governare. Secondo il professor Caricati, invece, la vera contraddittorietà risiede nell’interpretazione che politici ed esperti ne hanno dato. In particolare, continua Caricati è “mancata una comunicazione sulle ragioni di alcune scelte ‘utili’, non per aumentarne la legittimità dell’azione, ma per renderla più efficace”.  Questa mancanza può essere  giustificata dalla complessità del contesto che queste personalità hanno dovuto gestire, e questo porta a “una comunicazione non sempre lineare”.

 Ciò che può avere portato a questa impressione è stata, secondo Caricati, una “bassa cultura scientifica” generale della popolazione italiana, poiché in realtà atmosfere di incertezza e dubbio sono da sempre caratteristica degli ambienti scientifici, in quanto “il modo di funzionare della scienza è quello della del contrasto”.

Purtroppo non esiste un unico modello comunicativo giusto da adottare  durante queste situazione impreviste, poiché estremamente contestuali e “dipendenti dal risultato. Ma una comunicazione giusta oggi sarebbe stata probabilmente sbagliata un anno fa”, e viceversa, poiché la società evolve.

Come spiega il professor Caricati, si può però provvedere ad adottare e alcuni comportamenti in modo da rendere la comunicazione più efficace possibile.  In generale, un approccio più pragmatico e chiaro, un linguaggio comprensibile, esperti che sappiano fare comunicazione e specificare quello che si può fare e non quello che non si può fare. Caricati riconce che vi  è sempre “questa tendenza a dire ciò che è vietato” e questo porta le persone a non saper e quello che possono, invece, fare.

di Anna Barbieri

 

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