Le inaspettate proteste a Cuba

Quando #cubalibre non è un hashtag da aperitivo ma un grido d'aiuto per Cuba

 

Domenica mattina a Cuba sono scoppiate delle proteste da parte del popolo cubano. Inizialmente sotto forma di cortei spontanei nate a  San Antonio de los Baños, le manifestazioni si sono poi spostate  sia nella capitale, L’Avana, sia fuori dall’isola – in Florida – stato che ospita un’ampia comunità di profughi cubani. Le manifestazioni hanno coinvolto circa 11.000 persone.

Ciò che fa più scalpore è il fatto che non è per nulla comune che a Cuba si organizzino proteste antigovernative di questo tipo. Invece, non è certo sorprendente che la ragione sia la profonda crisi economica a cui è sottoposta l’isola in questo momento. I manifestanti denunciano la mancanza e i costi esorbitanti di beni di prima necessità (cibo, medicine, vaccini contro il Covid-19, detergenti) e il taglio della corrente elettrica.

Ovviamente dietro a queste proteste politiche si celano sempre una moltitudine di ragioni: i manifestanti sono principalmente giovani e di orientamento antigovernativo, che chiedono la fine del governo monopartitico, considerato repressivo e incapace di alleviare le difficoltà economiche del popolo. Non c’è bisogno di aggiungere che la situazione è stata aggravata dal Covid-19, e proprio in questi giorni si sono registrati record di casi quotidiani: da fine giugno Cuba riporta un picco di contagi attualmente in crescita, così come le morti.

Si tratta della più grande protesta da trent’anni a Cuba. L’ultima, la Maleconazo, si svolse nel 1994 per la crisi economica dovuta al crollo dell’Unione Sovietica, stretto alleato di Cuba.

Come ha reagito il governo a queste manifestazioni? Inizialmente, il governo ha solo sorvegliato la situazione, ma in alcuni occasioni si è usata la violenza, con lanci di oggetti, gas lacrimogeni e diversi arresti. Il presidente cubano Miguel Díaz Canel è intervenuto poi in una trasmissione straordinaria su un canale della televisione pubblica, in cui ha esplicitamente incitato quelli che lui chiama ‘rivoluzionari’, riferendosi ai cittadini che difendono il governo, a scendere nelle strade per dare una ‘risposta rivoluzionaria’ alle proteste.

Inoltre, Díaz Canel non ha mancato di citare gli Stati Uniti, imputati come causa delle consistenti difficoltà economiche del Paese, tanto che il presidente accusa i cittadini scontenti di essere ‘venduti al soldo di Washington’, con chiaro riferimento ai tempi della guerra fredda, durante i quali si susseguirono una serie di avvenimenti in cui Cuba si configurò come un Paese di stampo comunista, alleato all’Unione Sovietica, schierandosi di fatto contro gli Stati Uniti, che prima del 1959 (anno della fine della rivoluzione cubana) controllavano la maggior parte delle importazioni ed esportazioni dell’isola. Da allora i rapporti tra Stati Uniti e Cuba non sono dei migliori, ma anzi sono andati peggiorando.

A seguito di tutto questo gli Stati Uniti imposero il famoso ‘bloqueo, l’embargo commerciale, economico e finanziario su Cuba, che ne ha molto limitato lo sviluppo. Esempi dell’espressione di questo embargo sono il divieto di importazione ed esportazione, con pochissime eccezioni, il congelamento dei patrimoni cubani in territorio statunitense, il divieto per gli eventuali lavoratori cubani negli Stati Uniti di mandare denaro nell’isola, cosa che sostanzialmente ogni lavoratore emigrato tende a fare (mandare i soldi a casa). L’embargo è stato un modo per provare ad obbligare Cuba a prendere una piega più democratica, istituendo libere elezioni, il ripristino dei partiti di opposizione e l’instaurazione di un regime economico di libero scambio. Ma questi sono stati tentativi vani me da lì la situazione cubana è entrata in una fase di stallo, se non di retrocessione.

Dal 2009, l’ex presidente americano Obama aveva allentato alcune misure restrittive, impossibilitato a rimuovere in toto l’embargo per la contraria maggioranza al Congresso. Questi primi passi erano poi stati ripercorsi a ritroso da Trump, che oltre a ripristinare le misure precedenti, le ha persino rincarate, scatenando nuovamente la contrarietà delle Nazioni Unite. E proprio il mese scorso, l’ONU ha approvato una risoluzione che richiede agli Stati Uniti, per il 29esimo anno consecutivo, di rimuovere completamente il blocco che soffoca l’economia cubana. Tale risoluzione è stata approvata con 184 voti favorevoli, 3 astenuti e 2 contrari (Stati Uniti e Israele). Starà all’amministrazione Biden fare qualcosa in merito, ma le ultime dichiarazioni ci lasciano sperare bene.

Lunedì il consigliere della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha rilasciato con un tweet una dichiarazione a sostegno delle proteste cubane: “Gli Stati Uniti sostengono la libertà di espressione e di riunione a Cuba, e condannano fermamente qualsiasi violenza o attacchi contro manifestanti pacifici che esercitano i loro diritti universali”.

Di rimando, il cancelliere cubano Bruno Rodríguez ha criticato Sullivan, sostenendo che “non ha autorità politica e morale per parlare di Cuba. Il suo governo ha stanziato centinaia di milioni di dollari per la sovversione nel nostro Paese e impone un blocco genocida, principale responsabile di carenze economiche”.

 

 

Anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha dato lunedì il suo sostegno al popolo di Cuba, chiedendo al regime di Díaz Canel di “ascoltare la sua gente e rispondere alle loro esigenze”.

 

“Sosteniamo il popolo cubano e il suo grido per la libertà e il sollievo del tragico controllo della pandemia e dei decenni di repressione e sofferenza economica a cui è stato sottoposto dal regime autoritario di Cuba”, ha detto Biden in un comunicato.

La cooperazione da parte degli Stati Uniti è fondamentale per far sì che l’economia cubana possa rialzarsi, ma ciò che è certo è che Cuba ha bisogno di un cambiamento. Il popolo cubano se lo merita.

Vi lascio con una dura testimonianza:

 

 

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di Susanna Coppola e Simone Mazzella

 

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