“Io so’ Carmela”: lo stupro e la giustizia all’italiana

Un romanzo a fumetti racconta, colpendo nel segno, una storia intima e tremendamente attuale.

"A chi si sente infranta. A chi non rinuncia a gridare."

Fandango Editore

Io so’ Carmela è una graphic novel scritta da Alessia di Giovanni ed illustrata da Monica Barengo. Edita da Becco Giallo nel 2013, è una storia vera basata sul diario di Carmela Cirella, ritrovato dopo la sua morte. 

Carmela ha 13 anni quando decide di suicidarsi, lanciandosi dal settimo piano di un palazzo nel quartiere Paolo VI di Taranto: è stata stuprata, non creduta e abbandonata dalla Giustizia.

Nell’introduzione del libro ci sono le parole del patrigno Alfonso Frassanito:  “Sono passati sei interminabili anni dall’assurda morte di Carmela. Una bambina come tante, che però resterà tale per sempre. In tutti questi anni ho sempre continuato a combattere: nei tribunali per ottenere la giustizia che merita, tra la gente per sensibilizzare e dare un senso al suo sacrificio, e soprattutto tra le vittime di simili orrori e tra le loro famiglie. Ho indirizzato varie inascoltate “lettere aperte” ai nostri rappresentanti al governo e alle istituzioni, che inviavo sempre e solo in occasione di udienze imminenti o comunque quando aveva più senso puntare i riflettori su un’ingiustizia così colossale, tutta italiana, come quella che ha colpito la piccola Carmela e tutti noi della famiglia. Puntualmente, queste mie esternazioni hanno suscitato reazioni di indignazione nell’opinione pubblica, nei media e sui nuovi mezzi di comunicazione di cui oggi disponiamo. Purtroppo però gli anni continuano a passare e nulla accade. Carmela continua a non avere pace, noi con lei, mentre tutti i responsabili della sua morte continuano a vivere normalmente la propria vita come se mai nulla di male avessero fatto.

 

Cronologia degli avvenimenti

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Nel novembre del 2005, anche se lo aveva già incontrato qualche mese prima, Carmela viene importunata ripetutamente e infastidita sul tragitto per andare a scuola da Alfredo, un ufficiale della marina, detto ‘il pedofilo di San Vito’. Carmela gli diceva che aveva 12 anni e lui rispondeva che non importava: ‘voleva solo fare l’amore con lei’.

Alfredo confessa il fatto di fronte a Frassanito e all’insegnante di lettere di Carmela, Gabriella Iarussi. Scatta la denuncia per molestie sessuali, ma la polizia non ha colto il pedofilo in flagrante e non può arrestarlo. Più tardi la famiglia apprende che la deposizione di Carmela viene definita ‘confusionaria‘. La denuncia viene archiviata e l’ufficiale viene semplicemente diffidato dal passare nei pressi della scuola Frascolla e dell’abitazione di Carmela (la diffida non viene rispettata). Dopo la denuncia, poiché Carmela ha dodici anni, parte una segnalazione d’ufficio al Tribunale dei Minori. Carmela comincia, quindi, una serie di colloqui con uno psicologo dell’Asl. 

Da quest’episodio per Carmela nulla sarebbe tornato come prima, a differenza di Alfredo che continua imperterrito nelle molestie. 

Dopo un anno di psicoterapia e chiusure forzate in casa, nel novembre 2006, in seguito a un litigio con i genitori, che le negano per l’ennesima volta un’uscita con gli amici, Carmela scappa di casa in preda alla rabbia: si chiede perché debba essere lei a dover pagare e non chi l’ha molestata. Carmela si ritrova a casa di uno sconosciuto, Emanuele C., 17 anni, che la droga e la stupra: “All’inizio non capisco… Sento solo un peso addosso. E qualcosa muoversi dentro. Ho perso il controllo.” E quando è ancora parzialmente incosciente, entra un altro uomo, Massimo Carnevale, 47 anni, tossicodipendente e pregiudicato, che la violenta anche lui. “Non so se dura un minuto o un’eternità. Lo guardo. Mi sento galleggiare. E lui… è come se ballasse”. Si risveglia che è, sola e confusa, sulla spiaggia. 

I genitori denunciano la scomparsa di Carmela, ma la polizia non avvia le ricerche. Così si organizzano da soli, con telefonate e la collaborazione di amici e conoscenti. Nel frattempo Carmela si reca a casa di Cristian M., un suo amico, sperando che le dica: “Ti porto a casa dai tuoi”. Tuttavia, egli non le chiede cosa sia successo, come stia. Abusa anche lui di lei. La sera, avvicinata con una scusa, viene violentata da Filippo Landro, 27 anni, e Salvatore Costanzo, 26 anni. 

Carmela, in due giorni, viene quindi violentata cinque volte, da cinque persone diverse.

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Il terzo giorno, Carmela viene ritrovata da un conoscente, che avverte i genitori. La ragazzina è traumatizzata e ammutolita, i suoi abiti sono sporchi. Viene accompagnata in ospedale per gli esami del caso e la perizia medica disposta dalla magistratura riconosce la sussistenza delle violenze sessuali. Carmela denuncia le violenze subite alla polizia, fa nomi e descrive luoghi. Nessuno però si attiva per i riscontri del caso. A raccogliere la denuncia l’ispettore Gianfranco Trimboli e l’agente Carmen Cafaro della Squadra Mobile. Per aiutare la figlia a superare i traumi delle violenze subite, i genitori di Carmela, attraverso il Tribunale dei Minori, si affidano al Servizio Sanitario e agli Assistenti Sociali. Carmela ha un lungo colloquio con uno psicologo, che la ritiene ‘disturbata e con capacità compromessa’. Viene disposto il suo ricovero in un istituto specializzato in casi di violenza familiare. 

Nel mese di dicembre, gli indumenti, con evidenti tracce di sangue e materiale biologico, che Carmela indossava vengono restituiti alla famiglia senza essere stati sottoposti a perizia, che arriva solo dopo le insistenze dei familiari della giovane. Non viene però effettuato alcun esame del DNA. La polizia ascolta i minorenni Cristian M. ed Emanuele C., che ammettono di aver compiuto il fatto, giustificandolo, però, con la consensualità di Carmela. A fine dicembre Carmela entra nel Centro Aurora di Lecce, istituto specializzato in minori che hanno subito violenze. Gli assistenti la prelevano da casa per evitare “traumi da distacco”. Promettono ai genitori una visita l’indomani, e che saranno contattati il prima possibile. Passa però un mese. Nel centro, Carmela viene sottoposta a una cura a base di psicofarmaci (tre diversi tipi: En, Haldol, Tolep) senza il consenso né comunicazione alcuna ai genitori. Le indagini della polizia restano ferme. 

A gennaio, nel 2007, Carmela viene espulsa dalla scuola che frequenta durante il suo internamento a Lecce, e il fatto si ripete dopo qualche settimana. La giovane tenta inoltre per due volte di fuggire dal centro Aurora. I genitori insistono con gli operatori per incontrare la figlia e, quando ottengono il permesso, restano colpiti di fronte alle sue precarie condizioni. Apprendono che con ogni probabilità a Carmela vengono somministrati dei farmaci e le consigliano di rifiutarli. Un medico specialista consiglia loro di ordinare al più presto la fine della cura. 

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A febbraio, preoccupato delle condizioni della figlia, Alfonso Frassanito si rivolge all’avvocato Flaviano Boccassini per richiedere alle autorità competenti l’immediato ritorno a casa di Carmela. Senza alcuna comunicazione ai genitori, il Tribunale dei Minori trasferisce Carmela in un secondo centro, il Sipario di GravinaQui, nella nuova comunità, Carmela ricomincia il percorso per affrontare i traumi delle violenze subite. Gli operatori si dimostrano collaborativi, e insieme ai genitori della giovane decidono di sospendere gradualmente la somministrazione di psicofarmaci e di fissare una visita al Centro di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Matera, il più vicino a Gravina. I neuropsichiatri confermano la totale inadeguatezza della terapia. 

A marzo le indagini della polizia sono ancora ferme. I genitori di Carmela si concentrano sul recupero della figlia, che comincia a tornare a casa nei weekend e a manifestare la volontà di riprendersi la sua libertà. Pur soddisfatti della professionalità degli operatori del centro di Gravina, Alfonso e Luisa propongono ai Servizi Sociali di tenere Carmela a casa e di poterla accompagnare ogni giorno al centro per continuare le sedute. 

Ad aprile Carmela è sempre più insofferente. I genitori chiedono al Tribunale dei Minori di poter riportare la figlia a casa. Il 18 Aprile Carmela dovrà presentarsi dal pubblico ministero per una deposizione, e i genitori intendono approfittare dell’occasione per tenerla a casa e accompagnarla al centro di Gravina solo quando necessario. Il 14 aprile, Carmela torna a casa per trascorrere come di consueto il weekend, accusa problemi respiratori e palpitazioni. È sera e viene portata immediatamente al Pronto Soccorso, dove è sottoposta agli esami del sangue e agli accertamenti di routine. Viene dimessa dopo qualche ora. Infine, il 15 Aprile, Carmela si suicida, gettandosi dal settimo piano della casa di una sua amica nel quartiere Paolo VI di Taranto. 

Nel 2014, dopo 7 anni dalla sua morte, il tribunale ionico condanna Salvatore Costanzo a 10 anni di reclusione e Filippo Landro a 9 anni e 6 mesi di carcere. Vengono invece assolti Massimo Carnevale, Emanuele C. e Cristian M. 

 

Perché la storia di Carmela è tragicamente attuale?

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Questa storia è lo specchio di due grandi problematiche della nostra società: la violenza fisica/psicologica verso le donne e la continua indifferenza e inadeguatezza delle istituzioni. Carmela ha denunciato, eppure è stata lei a essere rinchiusa e sedata in centri di recupero, è la sua vita che non è più tornata in uno stato di normalità dopo essere stata molestata e violentata e non la vita di chi ha compiuto i fatti. Com’è possibile che chi subisce tali violenze non venga tutelato, ascoltato e creduto? 

Durante una delle tante udienze, l’avvocato Gaetano Vitale, sulla base delle dichiarazioni dello stupratore Emanuele C., definisce Carmela una prostituta, accusandola di avere sempre con sé dei profilattici e sostenendo che faccia sesso a pagamento. Oltre alla falsità di queste accuse, è assurdo che il pregiudizio che ricade sulle donne vittime di violenza è che siano corresponsabili di quello che hanno subito. Partendo da questo stigma, l’uomo che violenta può sempre giustificarsi rifacendosi sulla condotta della donna: le sue abitudini, gusti, dettagli della sfera sessuale. Così facendo, colei che doveva essere tutelata, si ritrova nel banco dell’imputato. 

Frassanito conclude dicendo che sua figlia non deve essere ricordata come una martire, una vittima, ma al contrario che possa essere un simbolo della ribellione contro questi fenomeni, indegni di un’umanità che si definisce civile e rispettosa dei diritti della persona. 

di Elisa Carlino

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