Festival dello Sviluppo Sostenibile: Effetti farfalla, 5 scelte di felicità per salvare il pianeta

Grammenos Mastrojeni parla dei cambiamenti climatici, delle implicazioni geopolitiche e di come trovare la strada della felicità

L’ultimo incontro del Festival dello Sviluppo Sostenibile di Parma, dal titolo “Effetti farfalla: 5 scelte di felicità per salvare il pianeta“, ha avuto come ospiti Giulio Gambino, direttore del giornale TPI, che ha intervistato Grammenos Mastrojeni, coordinatore per l’ambiente della cooperazione e dal 2019 vicesegretario aggiunto dell’Unione per il Mediterraneo, per parlare di cambiamenti climatici, implicazioni geopolitiche e come trovare la strada della felicità.

L’evento si è svolto presso il teatro Crystal di Collecchio ed ha affrontato un’ultima tematica, inserita al primo posto nella categoria ABC, dove A sta per “attenzione all’ambiente”.

L’Effetto Farfalla

“Effetti Farfalla: le 5 scelte di felicità per salvare il pianeta” è il titolo dell’ultimo libro scritto da Grammenos Mastrojeni che si sofferma sulla questione clima affermando che non devono essere le Nazioni Unite a fare il cambiamento, ma tocca a noi: “I governi, sempre nei loro limiti, hanno messo in moto questo meccanismo. Le imprese lo hanno seguito ma non tanto per il cambiamento, piuttosto perché conviene. Manca però il protagonista principale, ciascuno di noi. Si arriva così all’effetto farfalla”.

Perché noi non ci muoviamo? Mastrojeni elenca due motivi principali: il primo è che ci sentiamo una goccia nell’oceano: ovvero il mio piccolo cambiamento personale, la mia concezione, non ha nessuna rilevanza. Il secondo è l’abitudine, cambiare stile di vita è una scocciatura, una rinuncia. Se già non cambia niente per il mondo chi me lo fa fare?

“Se è vero che il battito della farfalla a Tokyo può essere il primo evento per una serie di eventi che può provocare un uragano in Florida, è anche vero che qualcosa che possiamo fare noi può fare anche di più di un uragano” continua l’autore.

L’effetto farfalla di solito ha una connotazione negativa, usata per indicare come gli eventi – anche piccoli – possano far accadere qualcosa di veramente catastrofico. L’effetto è nato dalla teoria del caos della fisica, nella quale si sottolinea il fatto che le azioni del presente siano importanti perché possono influenzare il futuro nel momento cui tutto è connesso.

Il titolo nasce dalla volontà di dimostrare che qualcosa dalla nostra prospettiva può sembrare infima, ma in realtà cambia tutto. Cinque scelte di felicità, secondo Mastrojeni,  sono legate ai vari settori della vita quotidiana: come mangio, come mi vesto, come mi muovo, cosa butto e come spendo; per dimostare come le piccole cose possono cambiare un sistema.

La prima di queste scelte è l’alimentazione, dove Mastrojeni cita la piramide alimentare connessa a quella ambientale in una relazione sottovalutata: “Il cibo da me ingerito in eccesso fa male all’ambiente”. Tale relazione viene definita “quello che fa bene veramente a me, fa bene al pianeta”, che è niente meno che il frutto della nostra coalizione con il sistema.

”Se mangio meno carne rossa do una mano in primis al benessere animale, alla qualità dell’aria intorno a me e di conseguenza alla mia salute. Un esempio rilevante è anche ciò che è successo in Amazzonia. Se io mi sottraggo al mercato che si vanta di vendere un milione di hamburger al minuto, faccio in modo che l’Amazzonia non bruci.
L’amazzonia che brucia è il risultato disastroso della volontà di mangiare una quantità nociva di carne rossa. Quest’ultima può essere solo prodotta con un sistema di allevamento che a sua volta richiede enormi quantità di mangimi fatti crescere con tecniche inquinanti.”

Mastrojeni si sofferma poi sull’importanza della valorizzazione del proprio territorio: se decido di valorizzare una produzione agricola che sia espressione di ciò che c’è qua, ridò un reddito dignitoso alle campagne e si crea una filiera di valore che non c’è se fai solo produzione uniforme per la grande distribuzione.

Riequilibriamo inoltre la popolazione tra campagne e città: il fatto che aree rurali poco produttive spingano la gente verso le città, sta facendo in modo che il 60% della popolazione mondiale si ammassi nelle città, focolai di criminalità inquinamento ed emissioni.

Giulio Gambino, direttore del giornale TPI

“Siamo troppi in questo mondo?”

Nel mondo siamo più di 7 miliardi di persone, e tale sovrabbondanza della popolazione arriva a vedere due estremi: da una parte 2 miliardi di obesi, dall’altra 870 milioni di persone che soffrono la fame.

Il problema è legato alla questione demografica, considerata erroneamente come una variabile indipendente: difatti questa fa parte di una variabile chiamata “giustizia”. In quei paesi, per esempio, dove si è raggiunto un buon livello di struttura per la giustizia è in calo la necessità di fare figli, a differenza di quei paesi di assoluta povertà dove i bambini valgono come ad esempio assicurazione per la vecchiaia, lavoro nei campi. La popolazione infatti, esplode proprio in questi paesi più poveri.

“Dobbiamo ridistribuire l’accesso alle risorse, non solo in senso di produzione ma anche di ridistribuzione” spiega Mastrojeni. “Questo è ciò che vuole la natura stessa e tale distribuzione è abbastanza equa nel mondo. Una volta fatto ciò, il problema demografico può essere considerato risolto”.

Una volta che il problema demografico sembra risolto, si può pensare che si possa risolvere anche il problema dell’eccessivo afflusso nelle città. Quando si ha accesso alle risorse in modo distribuito ed equo si inizia a pensare a un ritorno alle campagne e montagne, perché le città non sono più gli unici luoghi che permettono l’accesso alle risorse digitali. Ciò si è visto durante il periodo di picco dell’emergenza Covid-19, in cui molte persone si sono rese conto che non hanno bisogno della presenza fisica sul lavoro e grazie a una connessione internet possono lavorare in qualsiasi parte del mondo loro vogliano.

Grammenos Mastrojeni

Grammenos Mastrojeni

La gente non capisce?

”Le persone più che non capire, rimuovono. Questo è dato soprattutto dal modo di divulgazione utilizzato dagli scienziati riguardo i temi trattati. Un professionista della comunicazione sa che l’informazione è processata prima a livello emotivo e poi a livello intellettuale. Se io da scienziato utilizzo la misura che è più armonica con il linguaggio della mia scienza e dico che dobbiamo evitare di oltrepassare i due gradi e che son preoccupato perché dall’inizio della rivoluzione industriale la temperatura media globale è aumentata di circa un grado, faccio appello a categorie che a livello emotivo non muovono assolutamente nulla”.

Gli scienziati, secondo Mastrojeni, potevano spiegare che questo grado non fosse tanto una misura del calore, quanto una misura del caos che si inserisce nel sistema naturale, rendendo tutto imprevedibile. L’equivalente dell’esplosione di quattrocentomila bombe atomiche al giorno che viene introitato dalla nostra atmosfera e si trasforma in imprevedibilità e violenza. Continuiamo dunque a dipendere da una natura che però è imprevedibile.
Perché due gradi? intorno ai due gradi si situa una soglia oltre la quale il pianeta terra inizia ad auto riscaldarsi sempre più velocemente, con il rischio di portare nel tempo ad un’estinzione dell’umanità.

La questione è sui giornali da tanto tempo, il primo allarme risale ad un giornale del 1912. Oltre al fatto di non essere stata esplorata al meglio, ha come problema principale il fatto che la gente rimuova, non ha interesse. 

Ad ogni generazione, poi, spetta una giustizia di cui occuparsi. Mastrojeni racconta: “Mio padre, che ha vissuto la fine della seconda guerra mondiale e il dopoguerra, avrà pensato Perchè proprio io?, ma nonostante ciò ha fatto parte di quelli che si son rimboccati le maniche e hanno fatto il cosiddetto miracolo economico, ad ogni generazione tocca quello che gli tocca”.

Il fenomeno “Globalizzazione” è conciliabile con la sostenibilità?

”In uno scenario ideale la globalizzazione è il contesto della sostenibilità, perché quella distribuzione delle potenzialità produttive della terra in maniera uniforme come quantitativo non è uniforme in termini qualitativi: ciascun territorio esprime una sua differenza”. 

Mestrojeni introduce come esempio una fava prodotta in Puglia e una fava prodotta a Parma. L’incontro della ricchezza di questa diversità viene da un’economia globalizzata dei mercati in cui si possono scambiare alimenti. ”Io posso offrire l’esperienza di mangiare una fava di Parma e approfittare io stesso di mangiare una fava di Lecce. La globalizzazione è dunque la massima espressione di un pianeta dove ognuno contribuisce verso gli altri portando la sua ricchezza.”

La globalizzazione è, tuttavia, è stato anche il contesto in cui è iniziato il vero problema. “La natura è andata in tilt: non perché ci siamo sviluppati, ma perché ci siamo sviluppati in modo ingiusto” conclude l’autore. E la giustizia è qundi il punto fondante da cui ripartire per un vero cambiamento.

”Se tu costruisci giustizia, io funziono alla perfezione e ti inondo di generosità”.

di Giulia Mastrocicco e Nicoletta Montesi

 

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