La cucina molecolare: scienza, arte o fantascienza?

Con il professor Davide Cassi, padre italiano della cucina molecolare, ripercorriamo la storia di un linguaggio culinario affascinante e misterioso

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“Ho visto cose che voi umani non potreste immaginare…” diceva un replicante nel film cult di fantascienza, Blade Runner. Con la cucina molecolare possiamo parlare di fantascienza tra i fornelli? Sembrerebbe pensarla così Daniel Cohen, regista della divertentissima commedia francese, Chef, del 2012 con Michaël Youn, nei panni del talentuoso Jacky, e con Jean Reno che interpreta il ruolo del cuoco pluristellato di nouvelle cuisine, Alexandre Lagarde. Negli anni Ottanta Hervé This, Harold McGee, Pierre Gilles de Gennes e Nicholas Kurti compiono ricerche che hanno permesso di parlare in modo più consapevole di gastronomia molecolare.

 

A metà degli anni Ottanta, esce un libro che è considerato ancora oggi una pietra miliare, On food and cooking: The Science and Lore of the Kitchen di Harold

McGee. Il testo, rispetto alle precedenti pubblicazioni, presenta un carattere di sistematicità: le informazioni non sono più slegate e poste come semplici curiosità ma redatte come in un vero trattato, con propositi di compiutezza.

Gli albori della cucina molecolare

Arrivano gli anni Novanta e gli eventi si dispiegano a un ritmo frenetico: 1991, Pierre Gilles De Gennes vince il Premio Nobel per la Fisica; 1992, ad Erice, si tiene un workshop intitolato “Molecular and physical gastronomy”, che è all’origine del termine “gastronomia molecolare” e che vedrà altre cinque edizioni (1995, 1997, 1999, 2001 e 2004).

Nel 1994, Ferran Adrià, al El Bulli, un ristorantino sulla Costa Brava, inventa il primo piatto rivoluzionario, la spuma di barbabietola, con l’utilizzo del sifone per panna, servita con un sorbetto di mandorle, una mousse di mais, una mousse di cavolfiore, una purea di pomodoro, una granita di pesca, una gelatina di basilico e “semicirconferenze” di avocado: si tratta della famosa menestra de verduras en texturas, inventando così la cucina destrutturata; la cucina destrutturata, fondata sull’idea di cambiare le consistenze, conservando aromi e sapori, guadagna una popolarità fiorente e clamorosa, tanto che i giovani chef spagnoli vedono in Adrià il loro maestro.

Agli inizi degli anni 2000 nascono le prime collaborazioni strette cuoco-scienziato, cioè “poche coppie, sparse per l’Europa, che svolgono però un’attività di ricerca e sperimentazione molto intensa”; alla fine del 2002 Ettore Bocchia (chef) e Davide Cassi (fisico della materia) presentano un primo menù “Scienza e Cucina” e, nella presentazione parlano della “gastronomia molecolare” ma i quotidiani italiani il giorno successivo utilizzano il neologismo “cucina molecolare”, destinato anch’esso ad imprevedibile fama; nel 2004, ad un convegno in Spagna, il termine diventa noto in tutto il mondo; nel 2005, esce il libromanifesto, Il gelato estemporaneo ed altre invenzioni gastronomiche, di Bocchia e Cassi; dal 2003 al 2005, il progetto INICON (Introduction of Innovative Technologies in Modern Gastronomy for Modernisation of Cooking) rende popolare in cucina l’introduzione di molti additivi alimentari, affascinando i cuochi che così sono in grado di creare testure assolutamente innovative e compiacendo le industrie, felici di ingrandire il loro giro di affari; la vasta diffusione dei testurizzanti diventa un fenomeno incontrollato per cui alcuni cuochi inesperti, facendone cattivo uso, provocano effetti spiacevoli sui  clienti e nasce la polemica contro la cucina molecolare.

Nel 2009, in Italia, le polemiche divampano, soprattutto a causa di una serie di servizi poco imparziali di una trasmissione satirica con conseguente e decisiva diminuzione delle sperimentazioni gastronomiche in Italia. Nello stesso anno il grande periodo dell’avanguardia inizia a concludersi e con l’estate scoppia la crisi, e la ristorazione ne risente. Molti convegni di settore vengono annullati o ridimensionati. Nell’estate del 2011 chiude anche El Bulli, che si trasformerà in una fondazione di ricerca.

Oggi la cucina molecolare realizza ricette nate dall’applicazione di alcune conoscenze chimicofisiche alla scienza culinaria e si chiama molecolare perché, quando si cucinano i cibi, è necessario conoscere le trasformazioni che subiscono le molecole degli alimenti, allo scopo di ottenere i migliori risultati.

Differenza tra cucina molecolare e gastronomia molecolare

Distinguiamo la gastronomia molecolare dalla cucina molecolare. La prima è una disciplina di carattere scientifico che si occupa dello studio, proprio dal punto di vista molecolare, di vari processi svolti normalmente in cucina, quindi già conosciuti, applicati dai cuochi così da correggerli e migliorarli. In questo modo, in realtà, non si inventa nulla di nuovo, ma si cerca soltanto di fornire nuove indicazioni per poter migliorare le tecniche e le procedure già esistenti; la seconda, invece, è la parte creativa che, sfruttando conoscenze scientifiche di ogni tipo, le impiega per realizzare qualcosa di nuovo.

A leggere il manifesto della cucina molecolare italiana, tratta dal libro, Il gelato estemporaneo e altre invenzioni gastronomiche, di Davide Cassi (professore di fisica della materia) ed Ettore Bocchia (chef), che hanno fatto di questo tipo di cucina un momento importante della loro attività, si evidenziano alcuni punti fondamentali dell’approccio culinario.

Secondo questo manifesto la cucina molecolare italiana ha lo scopo di sviluppare nuove tecniche di cucina e di creare nuovi piatti, restando saldamente fedele all’idea che “ogni novità deve ampliare, non distruggere, la tradizione gastronomica italiana” perché le “nuove tecniche devono valorizzare gli ingredienti naturali e le materie prime di qualità”, dato che è una cucina attenta ai valori nutrizionali e al benessere di chi mangia”.

Le nuove testure

La vera novità, rispetto alle tecniche tradizionali, consiste nella creazione di “nuove testure”, cioè disposizioni molecolari all’interno della pietanza. “Tutto dipende come sono disposte le molecole: le molecole sono i mattoni, la pietanza è la casa e la testura l’architettura…Il cuoco entra in cucina come un architetto: impara, grazie alla scienza, a conoscere le architetture molecolari delle testure e impara a riprodurle come prestabilito”, scriveranno Cassi e Bocchia nel loro libro. Lo studio delle testure ha lo scopo di stabilire i tempi e l’intensità con cui i sapori devono essere rilasciati perché esse condizionano le altre proprietà organolettiche delle pietanze. Parliamo, perciò, di testura tenue che ha la caratteristica di liberare il gusto appena il cibo entra in bocca; quella tenace che richiede una lunga masticazione affinché il sapore venga rilasciato lentamente e durare nel tempo; quando la testura è disomogenea, però, rilascia il gusto a ondate con una studiata esecuzione temporale.

Il padre della cucina molecolare è Ferran Adrià, catalano. È stato definito in molti modi, spesso adulatori, a volte con esplicita diffidenza ma tutti concordi sul fatto che il suo modo di cucinare abbia condizionato la cucina contemporanea; perciò, possiamo ritenere che la “storia di Ferran Adrià è, innanzitutto, una storia di creatività”.

Ferran Adrià, il padre della cucina molecolare

Ferran Adrià, rileva il ristorante dove si è formato e per quattro anni El Bulli viene premiato come miglior ristorante al mondo. Il 31 luglio del 2011, El Bulli chiude per sempre e Adrià apre nel 2011 a Barcellona con il fratello Albert due locali: il cocktail bar 41 grados e l’adiacente ristorante Tickets. Nel giro di pochissimo tempo dopo l’apertura, i nuovi locali sono già diventati dei must delle notti barcellonesi per gli abitanti e per i turisti ma hanno chiuso definitivamente quest’estate dopo la crisi dovuta alla pandemia.

L’apertura del nuovo El Bulli subisce un rallentamento per ragioni diverse: l’apertura di El Bulli 1846 (la cifra indica il numero di piatti creati nel ristorante) è rimandata inizialmente al 2019 e poi al 2022.

Il progetto non è più quello di un ristorante ma riguarda un “ecosistema creativo” guidato dalla El Bulli Foundation: “un luogo in cui sperimentare, assaggiare, imparare, grazie anche a un museo all’aperto e a mostre temporanee”.

Per Ferran Adrià, “la creatività in cucina si può distinguere in tre livelli: il primo è la personalizzazione di una ricetta; il secondo la creazione di una nuova ricetta; il terzo l’ideazione di nuove tecniche e nuovi linguaggi culinari – questo è sempre stato l’unico obiettivo accettabile per Ferran Adrià”.

A questo punto ci si chiede se la cucina molecolare non sia quell’evoluzione necessaria per mettere al passo la cucina con il progresso scientifico e tecnologico della nostra epoca: non si possono mandare navicelle nello spazio o sulla Luna e continuare a cucinare con metodi medioevali. La storia di questa creatività sicuramente ha modernizzato, e non reso fantascientifico, il modo di pensare, creare, comporre e disporre interessanti pietanze.

Del resto, la relazione scienzacucina è antica quanto la scienza stessa e, anche se i pregiudizi della prima nei confronti della seconda sono perdurati per tutto il ventesimo secolo, alla fine i recenti, straordinari progressi della biochimica e della fisica della materia molle “hanno aiutato gli scienziati ad analizzare e comprendere i processi culinari in un modo che sarebbe stato impensabile fino a pochi anni fa e oggi non possiamo pensare a una cucina che non tenga conto dei cambiamenti” (Cassi, 2011), dettati dagli gli stili di vita, dai gusti, dalle indagini scientifiche e dai dati epidemiologici su alcuni nutrienti da ridurre e sostituire con altri e dalla maggiore reperibilità sul mercato di alcuni alimenti rispetto ad altri. Il risultato di questa stretta e nuova collaborazione tra scienza e cucina è stato, da una parte, quello di portare a un’incredibile quantità di nuove tecniche, nuove attrezzature e nuovi ingredienti, in confronto ai lenti progressi del passato della perizia gastronomica ma, dall’altra, e soprattutto, ad una moderna percezione della cucina.

L’attuale rapporto tra scienza e cucina è tale per cui gli scienziati passano intere giornate nei laboratori di cucine professionali o casalinghe, studiando il cibo in tutti i suoi aspetti, senza trascurare neanche quello estetico; mentre gli chef non si accontentano di applicare passivamente le tecniche innovative ma desiderano comprenderne i meccanismi e le ragioni ad esse sottesi.

Il prof. Davide Cassi, coautore con lo chef Ettore Bocchia del libro-manifesto, Il gelato estemporaneo e altre invenzioni gastronomiche

Cucina molecolare, aiuti umanitari e spazio: intervista a Davide Cassi

Entriamo ulteriormente nel cuore dell’argomento con l’intervista al professor Davide Cassi, come già ricordato, coautore con lo chef Ettore Bocchia del libro-manifesto, Il gelato estemporaneo e altre invenzioni gastronomiche, e professore di Fisica della materia presso l’Università degli Studi di Parma.  Grazie al professor Cassi abbiamo la possibilità di ripercorrere la storia di questa rivoluzione gastronomica e culinaria attraverso i suoi momenti salienti, i personaggi e gli eventi che l’hanno caratterizzata, fino alla sua attuale percezione e alle importanti innovazioni per le quali può giocare un ruolo da protagonista.

Come nasce la passione e l’interesse per la gastronomia e la cucina molecolare da parte sua?

“Ero appassionato di cucina ed avevo un diploma di sommelier. A un certo punto si è intravista, negli anni Novanta, la possibilità di collegare questo interesse a una scienza nuova (la fisica della materia soffice e dei sistemi complessi), che stava nascendo proprio allora, e l’abbiamo fatto.”

Perché il libro e il manifesto? Qual è il messaggio che con essi si è voluto trasmettere? Soltanto divulgativo? L’idea di scrivere un libro e di redigere un manifesto con lo chef Ettore Bocchia potrebbe essere anche frutto della consapevolezza di essere dei rivoluzionari all’interno della gastronomia oppure c’è anche il desiderio di tranquillizzare i più tradizionalisti? 

“Noi siamo stati i primi nel mondo a usare l’espressione cucina molecolare. La storia è raccontata sia nel libro che in qualche articolo. Sono stati organizzati dei convegni di gastronomia molecolare, che è poi un modo per studiare teoricamente quello che avviene, quando si cucina. In questo modo abbiamo sperimentato per prima la creazione di menù basati sulla ricerca scientifica. Abbiamo presentato il primo menù alla fine del 2002 e alcuni giornalisti, che erano presenti all’evento, hanno usato la parola cucina molecolare, anzi l’hanno usata i titolisti, a dire il vero, perché in Italia cucina suonava meglio e soprattutto dava l’idea di un’attività più pratica e creativa, che non gastronomia; gastronomia è più accademico-scientifico, cucina è molto più pragmatico. Allora, da quel momento in poi dopo un po’ di riflessione abbiamo iniziato ad usare il termine cucina molecolare. Nel 2004 c’è stato un grande convegno internazionale in Spagna e lì abbiamo presentato tutti i lavori, chiamandoli cucina molecolare e, a quel punto, è stato sdoganato il termine: nel senso che da settembre del 2004 questo termine è stato usato in tutto il mondo. L’hanno usato per indicare anche esperienze diverse dalla nostra: per esempio, c’era una corrente che usava molti additivi chimici, all’epoca, per fare cucina nuova. A questo punto non esisteva nulla di scritto e ho detto: “Scriviamo il primo libro che mette nero su bianco quello che abbiamo fatto e quello che intendiamo con cucina molecolare”. Quindi, il manifesto ci teneva a sottolineare che cos’è in generale la cucina molecolare ma soprattutto qual era la strada italiana della cucina molecolare, che era una strada basata sui processi più che non sugli ingredienti strani, cioè processi di lavorazione. Tutti gli italiani che si sono occupati di cucina molecolare alla fine hanno usato questo tipo di approccio: tecniche nuove ma ingredienti sani. Prima di tutto non volevamo sostituire niente di quello che già esisteva; poi volevamo usare degli ingredienti buoni, naturali, anche tradizionali e non buttarci sugli additivi sintetici, per una scelta di stile. Per questo l’abbiamo chiamata italiana perché era legittimo che altri, invece, utilizzassero approcci diversi. Effettivamente il termine cucina molecolare, che si usa ancora, indica una varietà molto ampia di cucina. Quella italiana è basata sulle procedure più che non su ingredienti esotici.”

Rispetto a quella di Ferran Adrià, la cucina molecolare italiana in cosa differisce?

“La differenza fondamentale è questa: Adrià ha esplorato molto bene l’utilizzo degli additivi che, fino a quel momento, venivano impiegati nell’industria oppure in pasticceria. C’è da dire questo: in pasticceria e soprattutto nel mondo della gelateria era normale usare i cosiddetti testurizzanti, cioè quelli che creano consistenze, tipo polverine che aiutano a trasformare un liquido in schiuma o in crema o in gelatina: addensanti, per esempio. In tutto questo, Adrià è stato molto bravo a fare queste cose e la sua era, comunque, una cucina molto ricca di sapori. Ci sono stati gli emuli di Adrià che pensavano che, comprando le stesse polverine, sarebbero riusciti a realizzare piatti simili però, purtroppo, questa è stata un po’ la crisi della cucina molecolare: gli altri imitatori non erano bravi come lui e hanno fatto dei piatti di basso livello, magari utilizzando troppi additivi; quindi, rendendo queste cose meno digeribili e da lì è nata tutta la polemica.”

Hanno, quindi, creato un allontanamento dallo spirito originario?

“Sì, perché a un certo punto le aziende produttrici di questi additivi si sono rese conto che potevano vendere gli additivi ai cuochi a un prezzo che era cento volte superiore di quello a cui li vendevano alle industrie e hanno fatto una campagna di marketing molto aggressiva e sono riusciti a convincere una parte di cuochi ad utilizzarli. Questi, però, non erano Adrià ma, soprattutto, non avevano neanche assaggiato i piatti originali che cercavano di imitare. È come se tu prendessi un libro di cucina cinese per cucinare un piatto che non hai mai assaggiato e non viene uguale.”

Bisogna conoscere prima di riprodurre.

“Infatti, non viene uguale. La ricetta non è tutto: è un po’ una caricatura del piatto, ti dà due tre indicazioni; nella ricetta non c’è tutto. La ricetta serve per riprodurre un piatto a chi sa già farlo, a ricordargli come si fa. Sono la pratica e la manualità a fare la differenza.”

Secondo lei, in base anche alla sua esperienza nel campo, com’è percepita dai più, oggi, la cucina molecolare?

“È una cosa abbastanza strana perché, per chi ci ha lavorato, ormai è un’esperienza che appartiene al passato, nel senso che c’è stato un periodo pionieristico e adesso è un momento che chiamiamo più di trasferimento tecnologico, cioè queste innovazioni si stanno modificando e trasferendo a una cucina più quotidiana, che può essere quella di un ristorante normale, non un top a livello mondiale, o anche all’interno delle case, perché molte tecniche adesso sono diventate domestiche: ad esempio, tu puoi comprare un sifone in un negozio di casalinghi, Adrià, invece, l’ha usato in maniera rivoluzionaria negli anni Novanta. Il sifone fu inventato dagli austriaci per montare la panna da mettere nel caffè e sui dolci. Lui l’ha usato per montare cose diverse dalla panna. Si è inventato le sifonate. Tra le prime cose che ha fatto è stata una spuma di barbabietola. Tra l’altro, con un’idea molto interessante dietro: le mousse già si facevano in cucina però, per prepararle, si aggiungevano la panna o le uova; lui, invece, voleva un sapore puro di barbabietola e, quindi, col sifone c’è riuscito. Non era tecnica fine a sé stessa, quella di Adrià. Era tutto a servizio del gusto. È stato un grosso malinteso quando poi qualcuno ha interpretato la tecnica come qualcosa di fine a sé stesso ma qua il discorso è molto lungo perché all’epoca poi sono nati i congressi gastronomici. Ai congressi gastronomici, i cuochi, e Adrià soprattutto, mostravano le nuove tecniche. L’enfasi chiaramente era sulle tecniche perché mille persone non possono assaggiare un piatto, possono vedere come si prepara. È stato un fenomeno molto ampio, molto variegato. Adesso, per molte persone, è un termine ancora nuovo e innovativo, cucina molecolare. Ricordo bene che nel 2012 è uscito il film Chef, che è stato il primo film in cui si usa la parola cucina molecolare. È un film divertente, chiaramente esasperato, ma nessuno di noi che ci ha lavorato è riuscito a capire a chi si riferisse lo chef del ristorante di cucina molecolare. Ricordava vagamente Heston Blumenthal, forse come stile di presentazione, però è una cosa un po’ fantascientifica. È un film e non è un documentario; tutto è esasperato però ha reso popolare il termine e anche l’idea, presso il pubblico non specializzato.”

Alla fine, comunque, a me sembra che Daniel Cohen non condanni del tutto la cucina molecolare perché il protagonista riesce a non far perdere la stella al ristorante blasonato grazie proprio anche all’utilizzo delle nuove tecniche, unite alla sapienza della nouvelle cuisine.

“Sì, alla fine il film finisce bene ed è molto divertente. Nel 2009 uscì una serie di servizi di Striscia la notizia che posero un attacco pesantissimo contro la cucina molecolare. Sono quelli che hanno bloccato poi la sperimentazione in Italia. Si chiamavano Fornelli polemici e forse si trovano ancora su youtube; per esempio, mostravano, senza nominarlo, un ristorante, accusandolo di avvelenare la gente. Sarà stata una cosa molto brutta. Era nata una polemica che ebbe inizio da un giornalista svizzero, Jorg Zipprick, che ha scritto un libro contro la cucina molecolare. In Spagna la polemica è durata pochissimo perché i cuochi spagnoli hanno fatto quadrato e si sono difesi l’uno con l’altro. Gli italiani, invece, come al solito, si sono attaccati l’uno con l’altro. È stato un delirio totale. All’epoca stavamo sperimentando la distribuzione dell’azoto liquido nei ristoranti in Italia con un’azienda che riforniva l’università, tipo a Milano lo davamo a Cracco, che lo usa ancora adesso; in Toscana a un gruppo di cuochi che organizzava banchetti; in Sicilia a dei pasticceri. Dopo quella serie di servizi, l’azienda ha deciso di bloccare la sperimentazione. Noi siamo stati i primi a fare il gelato con l’azoto liquido, poi hanno quasi tutti smesso. Adesso, in Italia, qualcuno ha ripreso perché lo fanno anche gli americani ma siamo stati i primi a fare il gelato con l’azoto liquido.”

Dagli anni 2000 ad oggi, l’interesse per la cucina molecolare è calato a causa di questa disinformazione?

“Se per cucina molecolare s’intende il periodo di avanguardia e pionieristico, quello, in qualche modo è terminato e si è concluso, senz’altro, nel 2011 con la chiusura del El bulli, ma già nel 2009 si intuiva la fine di un’era. Nel 2009 c’è stata proprio un’interruzione drammatica perché nella prima metà dell’anno erano previste una serie di attività favolose: un’eventuale creazione di una nuova università in Spagna, tutta dedicata a queste innovazioni; un convegno dedicato all’alta cucina, nella quarta e quinta gamma, eccetera. Durante l’estate è arrivata pesantissima la crisi economica e hanno annullato tutto. I ristoranti hanno cominciato ad avere difficoltà e poi, pian piano, si è spento questo movimento.”

E oggi?

“C’è ancora un po’ di sperimentazione ma non con l’intensità di quegli anni, anche perché è difficile durare più di dieci anni a quel ritmo: El bulli presentava 150 ricette nuove ogni anno e, dopo che erano state nel menu tre mesi, non le poteva più rimettere.”

Si legge che Adrià ha intenzione di aprire non un vero e proprio ristorante, El Bulli 1846. Lei cosa ne pensa di questa nuova proposta?

“Adrià, da quando ha chiuso, ha provato a fare tutta una serie di cose. Fondamentalmente, lui era stanco di cucinare; era stanco della vita che faceva; infatti, a un certo punto, mi ha anche detto: “Più avanti di così non si poteva andare”. Perciò, ha intrapreso diversi progetti: prima Bullipedia, che sta portando avanti, che è un’enciclopedia universale della cucina. All’inizio ha collaborato con l’università di Barcellona ma, poi, non si trovava bene con l’approccio accademico, per cui si sono staccati. Sta creando una serie di iniziative ma il ristorante non ci sarà più, cioè quell’esperienza ormai appartiene al passato e non è più riproducibile. Non sarebbe neanche più innovativa, riproposta oggi.”

Si legge, infatti, che per Adrià l’ideazione di nuove tecniche e nuovi linguaggi culinari è sempre stato l’unico obiettivo accettabile.

“È stato così per lui. Il problema è che, quando lui ha iniziato, era un terreno vergine in cui si poteva fare di tutto. Adesso, è stato strabattuto. Le cose facili le hanno già fatte, come accade in tutti i settori. Ora, Adrià fa molta analisi dei processi creativi, anche a livello astratto, però non è più la stessa cosa. Si consideri che al El bulli non era come andare in un ristorante normale. Andare al El Bulli era come partecipare ad una sfilata di Alta Moda e non a mangiare: si andavano ad assaggiare le grandi innovazioni. Importante era essere stupiti. Tanto per cominciare, al El Bulli non ordinavi: mangiavi il menu che ti dava lui. Ti chiedeva, prima di andare, anche un mese o due mesi prima, se avevi allergie o idiosincrasie alimentari, poi il menù era quello che ti proponeva: era una degustazione, con un servizio di sala impeccabile, incredibile. Era un evento.”

Al di là degli aspetti creativi, si può parlare anche di un valore etico per la cucina molecolare?

“Sì, assolutamente. Si deve vedere la cucina molecolare un po’ come la Formula Uno o l’Alta Moda che, nel primo momento, portano delle innovazioni che possono sembrare quasi fini a sé stesse, poi hanno delle ricadute anche sul sociale. Si possono fare diversi esempi, che sono quelli che stiamo perseguendo adesso. Uno, il mondo delle diete, ma non soltanto le diete dimagranti; per esempio, diete per esigenze nutrizionali particolari, come per i diabetici o per celiaci, eccetera. Un dato di fatto, ormai assodato, presso il mondo medico, è che mangiare bene, dal punto di vista del gusto, contribuisce al benessere generale della persona: per esempio, abbiamo un progetto che è la cucina per gli ospedali che si basa su un dato di fatto, cioè, se il malato mangia in modo insoddisfacente, guarisce lentamente oppure non guarisce. D’altra parte, è un’esperienza comune a tutti il fatto che, mangiare con soddisfazione, migliora il nostro stato d’animo ma anche il nostro benessere fisico. Questa cosa ormai è stata accettata, tant’è vero che, addirittura, due anni fa al Congresso mondiale, Science and Cooking di Barcellona, abbiamo presentato il Manifesto di Barcellona che sancisce la nascita di una vera e propria disciplina nuova che si chiama Gastronomia scientifica (reperibile anche in rete come Manifesto Science and Cooking Barcellona 2019), che è il punto di partenza. Il cucinare fa parte delle attività che distinguono l’uomo dagli animali; il mangiare bene è sempre stato ricercato in tutte le civiltà: quindi, una ricerca su tecniche e ingredienti, che aiutino a mangiare meglio, fa parte della cultura umana. Le diete di solito falliscono perché la persona che le deve seguire è insoddisfatta dal punto di vista sensoriale o psicologico, non fisiologicamente. Poi, per esempio, la scienza ogni tanto scopre che alcuni ingredienti non fanno bene e andrebbero sostituiti con altri ma non è che si può prendere una ricetta e sostituire un ingrediente con l’altro perché non funziona: si provi a preparare una meringa, mettendoci dentro un dolcificante al posto dello zucchero, non viene. Si sgonfia. Questo è uno dei tanti esempi. Per cui, se io voglio creare delle ricette nuove, in base a indicazioni nutrizionali recenti, sono costretto ad utilizzare l’approccio scientifico. Questo è un dato di fatto. Cucinare solo con i vegetali è molto più difficile: mancano molti ingredienti strutturanti, per esempio, e anche lì l’approccio scientifico è fondamentale. C’è anche il mondo delle diete ingrassanti: per esempio, i malati oncologici hanno bisogno di diete che diano energia, o anche i popoli denutriti. Ci sono altri esempi abbastanza curiosi che vanno dalle catastrofi umanitarie, come terremoti e alluvioni: bisogna buttare il cibo col paracadute perché tutte le vie d’accesso terrestri sono bloccate, a quel punto devi mandare del cibo che porta molto nutrimento in poco spazio e deve essere anche buono. Poi, c’è il tema dei viaggi spaziali: ricordo molto bene che nel 2003 al Festival della Scienza di Genova ero con il primo astronauta italiano, Franco Malerba, e mi raccontò che il problema maggiore di questi viaggi lunghi nello spazio era una depressione che veniva dalla routine di un cibo non piacevole. Mi raccontava tutti i problemi del cibo nelle astronavi che, per esempio, non deve fare briciole perché queste svolazzano in aria e non si depositano. Avevano già capito che, se non si fosse risolto il problema del buon cibo sull’astronave, l’uomo su Marte non ci sarebbe arrivato.”

E la ricerca a che punto è, adesso?

“La ricerca va avanti ma è stata molto stimolata negli ultimi anni da questa possibilità di turismo spaziale perché chi vuole fare i viaggi turistici nello spazio investe molto di più; quindi, adesso che sono iniziati i primi voli di turismo spaziale, ci sarà prima o poi un boom anche di cibo spaziale.”

E la cucina molecolare viene coinvolta in questa possibilità?

“Sì, assolutamente. Cucina molecolare è un termine che ormai ha delle valenze storiche, però, chiamiamola cucina scientifica. Sì, certo ci vuole un approccio scientifico per riuscire a venirne fuori, altrimenti brancoli nel buio: un cuoco da solo non ce la può fare.”

Se la cucina molecolare dovesse diventare di uso quotidiano, a parte la facilità di reperire gli strumenti, ci sono delle pietanze che si possono preparare nella propria cucina?

“Ci sono delle preparazioni che si possono già fare nella propria cucina, basta conoscerle. Intendiamoci, ci sono due aspetti della cucina molecolare: ci sono quelli, venuti fuori anche in un grande dibattito che abbiamo tenuto a Madrid nel 2009, che è un aspetto di ricerca sulla messa a punto delle tecniche dei piatti, che compete agli esperti, cioè a persone che fanno ricerca anche nei laboratori e nelle cucine; poi, c’è un aspetto applicativo che consente l’esecuzione di ricette elaborate da altri. In questo senso può entrare nel quotidiano facilmente, basta imparare le tecniche e, poi, dopo, si può anche provare a creare qualcosa di personale, utilizzando le stesse tecniche.”

A questo punto anche la formazione degli chef deve cambiare, se si va avanti in questa direzione?

“Un po’ è già cambiata, nel senso che molte di queste tecniche adesso le studiano gli studenti delle scuole alberghiere e si insegnano in tante scuole più avanzate per cuochi. Addirittura, adesso abbiamo in cantiere un progetto di un nuovo ITS, un Istituto Tecnico Superiore, tutto dedicato alla gastronomia anche dal punto di vista scientifico; quindi, sì senz’altro. C’è già attenzione.”

 

di Michela d’Albenzio

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