“Alice in Borderland” spiana la strada ai cinemanga?

Una serie televisiva distopica, ambientata in una Tokyo parallela, dove solo chi riesce a sopravvivere avrà la meglio sul gamemaster, il creatore del "survival game".

“Netflix”

“Alice in Borderland” è approdata nei salotti di tutti gli amanti delle serie tv circa un anno fa, precisamente, il 10 dicembre 2020. È una serie televisiva giapponese di genere distopico, thriller e drammatico basata sul manga omonimo di Haro Aso. Perché solo di recente questa produzione ha riscosso così tanto successo? Il merito si deve alla nuova serie coreana “Squid Game” che, con un’ambientazione e un progetto molto simile alla serie giapponese, ha iniziato ad attirare un pubblico molto vasto, superando la cerchia di spettatori amanti dell’anime e facendo breccia nel cuore di quasi tutto il mondo.

Istinto di sopravvivenza o egoismo?

“Tom’s Hardware”

“Alice in Borderland” propone una trama molto semplice ma ben articolata. Racconta la storia di Arisu, un nerd, che non studia e non lavora, ma che funge solo da macigno sulle spalle della sua famiglia, ormai stanca di mantenerlo. Passa intere giornate giocando alla sua console, ignorando totalmente la vita sociale e rinchiudendosi tra le mura domestiche. I suoi unici amici sono Karube, un vagabondo che perde il suo lavoro di cameriere e Chota, licenziato dalla sua azienda. Nell’episodio pilota, i tre personaggi si ritrovano nel centro di Tokyo che improvvisamente rimane deserto, così come tutta la città. Girovagando per le strade, i giovani si rendono conto di esser stati catapultati in un mondo parallelo a quello della frenetica capitale, dove regna tranquillità, ma anche un forte senso di angoscia che porterà i nostri protagonisti a immergersi in una nuova realtà. Per uscire da quel mondo distopico e ritornare alla vita reale, Arisu, Karube e Chota devono superare dei giochi che variano a seconda del palazzo che intendono visitare. I giochi sono di diverso genere e ben presto scopriranno sulla loro pelle che, perdendo uno di essi, verranno eliminati per sempre dalla faccia della Terra. I partecipanti però sono obbligati a partecipare a tutti i giochi per allungare la durata del loro “visto” e verosimilmente della loro vita. Tutto ciò innescherà una serie di conflitti – anche all’interno degli stessi gruppi di giocatori – e l’amicizia dei tre ragazzi verrà continuamente messa in discussione. La forza bruta non sarà l’unica compagna di tutti i partecipanti, poiché anche la logica deve essere impiegata nella risoluzione degli enigmi e alla fine avrà la meglio sul gamemaster, il fondatore di questo survival game, solo chi sopravvivrà.

Arisu, Karube, Chota: il ritratto della società

“MovieDigger”

“Alice in Borderland” è a tutti gli effetti il ritratto della società giapponese e proprio questo costituisce uno dei punti di forza della produzione. Il pubblico viene attirato dal comportamento, ma anche dalle vicende dei personaggi, che rispecchiano perfettamente i classici stereotipi. Arisu incarna il cosiddetto “hikikomori”, ovvero la persona che si rinchiude nella propria casa o stanza senza mai entrare in contatto con l’ambiente esterno. Insieme ai suoi due amici, egli rappresenta il fallimento della società giapponese. Sono ragazzi a cui è stata attribuita l’etichetta di “scarto” o “fallimento”, ma che nel nuovo mondo parallelo hanno l’opportunità di cambiare, dimostrando davvero quanto valgono. Il gioco, però, vale il prezzo del biglietto? Quanto costa dimostrare il loro reale valore e sradicare quelle etichette che li accompagnano dalla loro adolescenza? Risposta semplice: la loro vita! Allora bisogna domandarsi: quanto davvero conviene dimostrare di essere forti e al tempo stesso rischiare la propria pelle? Risposta: è altamente conveniente e importante perché, se i nostri personaggi continuassero a vivere da “scarti”, la stessa concezione di vita non avrebbe alcun senso. In pratica, sarebbero ritenuti vivi solo perché respirano. L’opportunità che gli viene offerta dal gamemaster non si può rifiutare e serve a dimostrare come anche la persona più inutile della società possa diventare, grazie alle sue qualità “nascoste”, un eroe e uscire da quel mondo orribile. Ciò che colpisce della serie è il confronto tra individualismo e collettività, il fulcro principale.  La società giapponese tende all’individualismo, difatti solo chi merita e chi è superiore all’altro può fare carriera. In “Alice in Borderland” questo tema entra in conflitto con la collettività dei partecipanti, costretti a riunirsi in gruppo nel tentativo di superare i giochi. L’amicizia tra i partecipanti però non è sempre la soluzione, poiché tutti i giocatori sono spinti dall’istinto di sopravvivenza che andrà a ledere il loro comportamento e li porterà, in certe situazioni, a combattere in solitudine o addirittura uno contro l’altro, ripercorrendo lo stereotipo della società giapponese individualista che premia il migliore.

“Alice in Borderland” è una serie per tutti?

“Wired”

Nì! Il tema survival game può interessare gli utenti che non conoscono bene questo genere e, per questo motivo, li appassionerà. D’altro canto, si deve tener conto che chi conosce il mondo dei videogiochi troverà dinanzi a sé una successione di sfide e scene già viste, che non stuzzicheranno molto la sua curiosità. L’opera originale, di per sé, risulta quasi una ristampa di un altro manga scritto da Hiroya Oku intitolato “Gantz”, dove all’interno di Tokyo un gruppo di persone è intrappolato in un gioco mortale. “Alice in Borderland” non offre nessuno spunto originale, tanto da ripercorrere vicende che abbiamo già visto in una delle produzioni più apprezzate a livello mondiale, come “Hunger Games”. La serie, dunque, offre un’esperienza nuova per chi vuole scoprire e catapultarsi in un mondo completamente diverso, quasi post-apocalittico. Allo stesso tempo, risulterà una “minestra riscaldata” per chi è avvezzo a questo genere di serie. Certamente è un prodotto godibile per tutta la durata degli otto episodi, soprattutto per l’enorme senso di incertezza che lascia dietro di sé ciascuna vicenda e ciò vi terrà incollati allo schermo. Con la speranza che la seconda stagione appena annunciata da Netflix sia soddisfacente, vi invito a guardare e godervi questo prodotto nipponico.

di Gabriele Pio Piccolo

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