Fondazione Magnani Rocca: l’arte nel ‘900, da Mirò a Pasolini

Nella Villa dei Capolavori a Mamiano di Traversetolo due mostre in contemporanea fino al 12 dicembre. 'Fotogrammi di pittura', mostra focus a pochi mesi dal centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini e 'Il colore dei sogni' dedicata a Joan Mirò, e realizzata in collaborazione con Fundación Mapfre di Madrid

Joan Miró, Personnage et oiseaux devant le soleil, 1976, olio su tela. Foto Gabriel Ramon. Archivio Successió Miró © Successió Miró ADAGP, Paris, by SIAE 2021

La Fondazione Magnani Rocca torna a far parlare di sé e lo fa attraverso una mostra – l’ultima di questo complicato anno espositivo – dedicata a Joan Mirò: “Mirò. Il colore dei sogni“, questo il titolo scelto per un’esposizione che, già in questo primo mese di apertura, ha raccolto un successo di pubblico straordinario.

“Nei fine settimana abbiamo sfiorato i mille ingressi – commenta soddisfatto, Stefano Roffi, responsabile artistico e direttore della Fondazione. Numeri da epoca pre-covid e che permettono di comprendere come sia ancora ben presente la volontà di concedersi una bella mostra: sia pur con mascherine e green pass, un vero e proprio ritorno alla normalità”.

Una mostra nata quando mai si sarebbe immaginata una pandemia imminente, ma che ben ha saputo adattarsi alle normative vigenti, anche grazie alla straordinaria disciplina dimostrata dai moltissimi visitatori di queste settimane: “Il progetto nasce due anni fa – racconta Roffi – quando nell’ambito delle molte relazioni internazionali che la Fondazione intrattiene con vari soggetti museali, ebbi l’occasione di incontrare la responsabile della Fundación MAPFRE, una fondazione spagnola che ha la disponibilità di tutta una serie di opere molto particolari di Mirò che l’autore aveva deciso di dedicare alla propria famiglia.

Una collaborazione quanto mai proficua, tanto che a Madrid, proprio in concomitanza con la mostra allestita a Mamiano di Traversetolo, è in corso la mostra “Morandi. Resonancia infinita” in cui sono esposte alcune delle più importanti opere del fondo morandiano voluto e costruito da Luigi Magnani.

Non solo Mirò

Pier Paolo Pasolini, Roma 1971 – foto di Sandro Becchetti

Pur senza un’esplicita volontà di collegamento, accanto alla mostra dedicata al pittore catalano, la Fondazione Magnani Rocca ha voluto dedicare un proprio tributo a Pier Paolo Pasolini, di cui ricorre nel prossimo mese di marzo, il centenario della nascita: un’esposizione significativamente intitolata “Pier Paolo Pasolini. Fotogrammi di pittura. “Tenevamo molto a omaggiare uno dei più importanti registi italiani del Novecento – spiega Roffi, curatore di anche questa sezione assieme a Mauro Carrera – non solo per gli indubbi meriti artistici, ma anche per ricordare il solido legame che questi instaurò con Luigi Magnani ai tempi della sua permanenza romana. Tra i due dovette instaurarsi fin da subito una forte empatia artistica, tanto che ancora oggi nella Villa di Mamiano di Traversetolo si conservano alcuni libri di Pasolini con dedica. A Pasolini abbiamo voluto dedicare un omaggio tutto museale – precisa subito Roffi – andando a cercare i moltissimi riferimenti pittorici sparsi nelle diverse pellicole”.

Due mostre più vicine di quel che possa sembrare

Benché si tratti di due autori apparentemente molto distanti tra loro, non è tuttavia impossibile individuare tra i due un  legame in termini di concezione artistica: dalla pittura di Mirò che spazia in modo quanto mai moderno dalla musica alla poesia, al cinema di Pasolini, ricco di riprese dai grandi maestri della pittura italiana. Emerge una stessa idea di arte come di un mondo sì frammentato nelle diverse discipline, ma in cui ogni ambito è necessario e complementare agli altri.

“Un’idea – spiega Roffi – che di fatto accomuna tutti i più grandi intellettuali nei rispettivi ambiti culturali e che d’altra parte coinvolge pienamente anche lo stesso Magnani, vero e proprio cultore di qualsiasi forma artistica“.

Il surrealismo sui generis di Mirò

Joan Miró, Le Chant de l’oiseau à la rosée de la lune, 1955, olio su cartone. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró © Successió Miró ADAGP, Paris, by SIAE 2021

L’arrivo a Parigi di Mirò segna una tappa fondamentale nella carriera artistica del pittore catalano: è proprio nella capitale francese che avviene infatti il primo decisivo incontro di Mirò con il surrealismo che, da questo momento in poi, ne contraddistinguerà tutta la produzione. “Nel surrealismo di Mirò – continua Roffi – si coglie un tentativo di realizzare una pittura che va oltre l’astratto, che parte sì dal reale ma ridotto a forme primarie attraverso il sogno”.

Una definizione apparentemente complicata ma che può essere facilmente compresa se solo si consideri il costante tentativo del pittore catalano di far emergere, attraverso i suoi quadri, una sorta di energia che egli coglie nell’osservazione del reale. “Nella mia pittura c’è una specie di sistema circolatorio – scriveva Mirò – Se anche una sola forma è fuori posto, la circolazione si interrompe; l’equilibrio è spezzato”. “In questo il pittore catalano – commenta Roffi – è in grado di cogliere un’irrealtà cui, quasi nuovo sciamano, può comunque giungere”.

Ma tutto ciò ancora non sarebbe sufficiente a giustificare per Mirò l’etichetta di surrealista sui generis: esperienze oniriche e sensoriali erano infatti comuni all’interno dell’ambiente surrealista. “Dove il surrealista puro opera un assoluto distacco dalla realtà – spiega in proposito il responsabile artistico della mostra – Mirò prende costantemente spunto dal reale“.

D’altra parte questa eccentricità di Mirò rispetto all’assoluta astrazione del tradizionale surrealismo emerge anche tra le righe di una delle più importanti raccolte di saggi del pittore catalano dal titolo Je travaille come un jardinier. Una metafora, questa del giardiniere, piuttosto frequente in tutte le dichiarazioni di Mirò e che ci permette di ricostruire per ogni suo lavoro un procedimento graduale e rispettoso. Di contro, all’apparente irruenza delle sue opere – che spesso si trovano a sgorgare simili ad un fiume in piena – Mirò sembra in realtà preparare e studiare a lungo il suo soggetto lasciando che le impressioni ricavate, quasi frutti dell’orto, maturino al punto giusto da poterle cogliere nell’istante del genio creativo. “Mirò è solo in parte surrealista – spiega Roffi – nelle sue opere mette in evidenza qualcosa che della realtà fa parte, ma che solo l’occhio dell’artista può percepire”.

Joan Miró, Femmes et oiseaux II, 1969, olio su tela. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró © Successió Miró ADAGP, Paris, by SIAE 2021

L’assassinio della pittura

Se c’è una cosa che balza immediatamente all’occhio tra i corridoi della Fondazione Magnani Rocca in queste settimane, è la straordinaria varietà di supporti impiegati da Mirò per le sue opere: dalla tela ai sacchi di l’juta, dalle tavole di legno alle lamine di zinco fino ad arrivare a quadri altrui che si trovano ad “ospitare” alcuni dei capolavori del pittore catalano. Ma colpisce anche il peculiare rapporto di Mirò con il supporto: quadri ora perforati, ora squarciati, che ben rispondono alla più volte dichiarata volontà di “assassinare la pittura tradizionale“.

“Mirò – spiega Roffi – rifiuta ogni forma di accademismo artistico, sempre teso verso nuove forme di rappresentazione, spesso ottenute anche a partire da opere altrui. Occorre però ribadire come un simile atteggiamento sia del tutto coerente con quanto accadeva in questi stessi anni in Italia, con le straordinarie novità introdotte dall’arte di Burri e Fontana“.

Joan Miró, Peinture, 1973, olio su tela squarciata. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró © Successió Miró ADAGP, Paris, by SIAE 2021

Pasolini tra cinema e pittura

Caravaggio, Giovane con canestra di frutta, 1593-94, olio su tela. Roma, Galleria Borghese. Fotogramma dal film di Pier Paolo Pasolini Mamma Roma, 1962. Per gentile concessione di Reti Televisive Italiane S.p.A. ed Infinity.tif

Il catalogo della sezione della mostra dedicata a Pasolini offre fin dalla pagina di apertura un’idea ben precisa di quello che è il taglio voluto per l’esposizione, finalizzata a ripercorrere alcune delle più celebri riprese artistiche entro le pellicole del regista friulano. Non è quindi casuale la scelta del Fanciullo con canestro di frutta di Caravaggio, che verrà ripreso da Pasolini in una scena del film Mamma Roma (1962). “Ho visto Ettore Garofolo mentre stava lavorando come cameriere in un ristorante dove una sera ero andato a mangiare – spiegherà poi il regista – esattamente come l’ho rappresentato nel film, con un vassoio di frutta sulle mani come la figura di un quadro di Caravaggio”.

Benché le riprese siano evidenti, occorrerà ricordare anche taluni significative divergenze: laddove Caravggio era solito rappresentare i santi come popolani (si pensi ad Anna Bianchini, prostituta romana e modello per molti delle sue rappresentazioni sacre, dalle Maddalena penitente al Riposo durante la fuga in Egitto), ecco che Pasolini si trova a raffigurare i popolani come santi. “Un’operazione inversa e al contempo accomunata da un’analoga intenzione di rappresentare il mondo degli umili”, commenta Roffi.

Caravaggio e non solo

Fotogramma dal film di Pier Paolo Pasolini “Il Decameron”, 1971. Pasolini, qui in veste di attore, rende omaggio a Giotto e Velazquez.

L’interesse pasoliniano per Caravaggio ci porta a considerare l’importanza della figura di Roberto Longhi, professore di Storia dell’arte all’Università di Bologna che Pasolini frequentò nei primi anni Quaranta del Novecento. “Il magistero longhiano è determinante per Pasolini – spiega Roffi – Il professore era solito utilizzare diapositive in cui le figure erano proiettate in maniera frontale. Una frontalità quasi ossessiva che spesso ritorna nelle pellicole (specie in quelle giovanili) di Pasolini, quasi a voler riprodurre nei film vere e proprie pale d’altare“.

E d’altra parte la figura di Roberto Longhi fu di grande importanza nell’introdurre Pasolini ad altri autori come de Pisis, Carrà e soprattutto Giorgio Morandi, cui il giovane dedicò la sua tesi di laurea, oggi perduta a causa delle devastazioni belliche. “Un interesse – commenta Roffi – che rimanda al gusto e alla sensibilità di Luigi Magnani, amico ed estimatore del pittore bolognese. Già nel primo film pasoliniano, d’altra parte, compare una scena con tutta una serie di bottiglie, che andrà spiegata come voluto omaggio dell’artista alla celebre ossessione morandiana”.

Informazioni utili

Le mostre sono aperte alle visite dal martedì al venerdì orario continuato 10.00 – 18.00 (la biglietteria chiude alle 17.00);  sabato, domenica e festivi continuato 10.00 – 19.00 (la biglietteria chiude alle 18.00). Aperto anche 1° novembre e 8 dicembre. Lunedì chiuso (aperto lunedì 1° novembre).

Biglietti: Intero € 12,00 (comprensivo delle Raccolte permanenti). Ridotto € 10,00 per gruppi di almeno venti persone. Ridotto € 5,00 per studenti in visita d’istruzione. Ingresso al Parco Romantico € 3,00 (l’accesso al Parco Romantico non comprende l’ingresso alla Villa dei Capolavori).

Visite guidate: il sabato ore 16 e la domenica e festivi ore 11.30, 15.30, 16.30, dall’11 settembre al 12 dicembre, visita alle mostre temporanee con guida specializzata; è consigliato prenotare via email a segreteria@magnanirocca.it , oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 17,00 (ingresso e guida).

di Filippo Pelacci

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