Al Dsèvod, quando ‘insipido’ significa tradizione

LA STORIA DELLA MASCHERA DI PARMA RACCONTATA DAL SUO INTERPRETE

Siamo a febbraio e si assapora nell’aria il Carnevale. E in questo periodo dell’anno in particolare (Al Dsèvod copiama non solo) è possibile avvistare in città un distinto signore, vestito in abiti gialli e blu di foggia sei-settecentesca e un cappello giallo in testa. Si tratta di Al Dsèvod, la maschera cittadina che racchiude in sé i principali simboli della cultura parmigiana, personificata nel corso dei decenni da vari esponenti della compagnia dialettale della Famija Pramzana. Dal 2007 questa eredità è stata raccolta da Maurizio Trapelli, attuale interprete del personaggio che si è mostrato molto entusiasta nel raccontare la sua storia.

LE ORIGINI DELLA MASCHERA – Tutt’oggi non è ancora chiara la storia della maschera cittadina, spiega Trapelli: “Alcuni illustri autori parmigiani del calibro di Renzo Pezzani e Jacopo Bocchialini hanno cercato di far luce sulla storia di Al Dsèvod e vi sono molti pareri discordanti a riguardo. Alcuni pensano che possa essere originario di Malalbergo, in provincia di Bologna, altri lo ritengono un membro della corte di Maria Luigia, trasferitosi dalla Francia assieme alla sovrana asburgica e altri ancora lo considerano un antico abitante di vicolo degli Uccellacci, nella zona del Duomo”. Esiste però anche un’altra versione, più accreditata, che collocherebbe il personaggio ai primi del ‘600. “In quel periodo era usanza comune nelle famiglie nobili far studiare i figli nei collegi. Così un ragazzo dell’epoca, forse della famiglia Pallavicini o Sanvitale, fu mandato al Collegio dei Nobili (l’attuale Convitto Maria Luigia), accompagnato dal suo servo originario (forse) di Neviano degli Arduini, località collinare del parmense. Nel 1620, in occasione del carnevale, per scherzo il giovane nobile fece indossare al suo secondo un elegante abito a quadrotti bianchi e rossi formato da corpetto, pantaloni sotto al ginocchio, calzamaglia e un cappello a tre punte. Assieme a questi legò uno strofinaccio alla cintura (boràs), per far capire che comunque quella persona non era affatto un nobile. A quel punto il nostro servo, non istruito ma molto perspicace e astuto, prese gusto a prendere in giro la gente e capì che calandosi seriamente nella parte del nobile avrebbe potuto ottenere qualsiasi cosa avesse desiderato. Poiché faceva di cognome Salati, in opposizione a quest’ultimo egli si presentava alla gente come l’insipido, in dialetto prima discevido, poi desevedo e infine dsèvod, la forma attuale”.

ad piccola 3FAR RIVIVERE LA TRADIZIONE – Questa maschera non ha tuttavia mai avuto un ruolo di spicco nella commedia dell’arte, come avvenne invece per altri colleghi più famosi come Arlecchino o Pulcinella. Anzi cadde nel dimenticatoio. “Le sue uniche e brevi comparse sono documentate in alcune opere teatrali risalenti ai primi del 19° secolo, oltre alle quali vi è il vuoto totale”. Bisogna quindi attendere fino al 1947, anno di fondazione della Famija Pramzana, per riesumare dall’oblio il nostro insipido. L’anno successivo l’associazione, nata per tramandare tutto ciò che riguarda tradizioni e cultura dei parmigiani, decise di reintrodurre la maschera come emblema appunto della parmigianità, condensando in sé i simboli tradizionali della città. A questo proposito sono stati apportati dei cambiamenti al costume: dai colori iniziali bianco e rosso si è passati al gialloblù, lo strofinaccio è diventato un fazzoletto di seta, al cappello sono state smussate le punte per farlo somigliare a un anolino ed è stato aggiunto un cestino di violette, il fiore preferito di Maria Luigia.

UN TRIPUDIAl DsèvodO DI MASCHERE ITALIANE – Prima di vestire i panni del personaggio in gialloblù, Trapelli ha fatto l’elettricista, poi l’addetto al caveau della Cassa di Risparmio dal 1977 fino al 2010, poi ancora addetto alla manutenzione (ordinaria e straordinaria) degli impianti di banca e arbitro di calcio amatoriale. Oggi è presidente della Famija Pramzana, testimonial dell’Avis comunale (ne è donatore da 35 anni) e presidente del Cral Cariparma Calcio a 5 maschile e femminile. Nel 2007, dietro proposta dell’allora presidentessa della Famija, Anna Maria Dall’Argine, e dopo qualche titubanza, Trapelli è diventato il nuovo Al Dsèvod, facendo spesso visita alle scuole elementari e medie per tramandare ai bambini l’eredità della cultura parmigiana. Nel 2010, dopo essere stato invitato a varie manifestazioni carnevalesche nel nord Italia, da Varaldo (VC) a Verona, Modena, Mirandola ed essere entrato in contatto con le maschere tradizionali di quei luoghi, a Malcesine (VR) conosce il comitato dei Capitani del Lago, organizzatori del carnevale locale nel periodo di maggio (il nome deriva dall’antico corpo di guardia locale che sorvegliava la cittadina). “Da lì -dice Trapelli- mi chiesi: perchè ricordare le maschere solo per il carnevale?”

E così nasce in lui l’idea di fondare, nel 2012, il comitato delle Maschere Italiane a Parma. Grazie ad esso, nello stesso anno dà vita alla prima edizione del Raduno delle Maschere Italiane, con la partecipazione di 170 maschere provenienti da ogni angolo della penisola, ognuna rappresentante la sintesi dell’eccellenza del proprio territorio e non impersonificate da attori di teatro ma da persone normali. Nonostante numerosi imprevisti occorsi durante l’organizzazione, primi tra tutti l’insediamento del commissario Ciclosi dopo la caduta di Vignali e un grave problema di salute che ha costretto Trapelli a non presenziare, la manifestazione si è rivelata un successo e il 23 e 24 maggio di quest’anno si terrà la quarta edizione tra Parma e Colorno.

di Guendalina Truden, Giulia Campisi, Martina Pacini

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