Paolo Bucci, dai 300 metri in Cittadella ai 300 km nel deserto

L'UNICO ULTRAMARATONETA AL MONDO AD AVER COMPIUTO IL GRANDE SLAM

paolobuc3.001 (1)Parmigiano, classe ’52,  39 maratone e 52 ultramaratone, unico al mondo a compiere il grande slam, le tre gare su strada più dure in assoluto da fare in un anno. Il suo nome è Paolo Bucci, una vera e propria forza della natura.

GLI INIZI, LE PRIME MARATONE E LE PRIME ULTRA – “Avevo trent’anni quando ho iniziato a correre – racconta l’atleta – in due anni di matrimonio ero ingrassato 11 kg e perciò decisi, una domenica, di andare a correre in Cittadella. Non avevo né  la tuta né le scarpe adeguate. Riuscì a fare solo trecento metri, ero senza fiato.” Ma con determinazione e perseveranza, giorno dopo giorno, Paolo migliora i suoi tempi, i chilometri aumentano, e nota i benefici che la corsa fa al suo corpo e alla sua mente. Così nel 2001 decide di partecipare alla sua prima maratona nelle terre verdiane. “L’ho conclusa in quattro ore, e sono stato molto soddisfatto” ma aggiunge “quando ho finito ho avuto per tre giorni i muscoli di legno. Allora pensai che se la maratona mi faceva questo effetto era meglio lasciar perdere, ma è stata una grandissima bugia”. Infatti, dopo qualche mese, partecipa anche alla maratona di Milano, migliora di qualche minuto e si propone nuove sfide. “Sapevo che c’erano gare che vanno oltre la maratona, così per curiosità, nel 2003 ho fatto il Passatore che è una delle corse più conosciute come ultramaratone: parte da Firenze e arriva fino a Faenza, 100 km attraverso l’appenino da terminare in venti ore; io ne impiegai dodici”. A questi sforzi il fisico risponde bene, più corre e più si sente meglio.

paolobuc.000LA PASSIONE DEL DESERTO: TRA SOLITUDINE E ALLUCINAZIONI – Nel 2004 partecipa alla sua prima gara nel deserto, la 100 Km nel Sahara. “Tutto iniziò perché dei miei amici compivano, in quell’anno, sessanta anni e avevano deciso di festeggiare partecipando a questa gara; dovevamo essere più o meno una trentina, ma man mano che passavano i mesi cominciarono a tirarsi indietro. Alla fine rimasi solo io, e decisi di partecipare da solo”. Il suo primo impatto col deserto è “fantastico”, infatti spiega: “Il deserto o lo ami o lo odi. Io l’ho amato. Andando lì, ho finalmente capito cosa intendevano i profeti o Gesù quando dicevano di essersi ritrovati in quel luogo. Non è il silenzio assoluto, anche il tuo respiro diventa parte dell’ambiente, è qualcosa di eccezionale”.  Ma la fatica della corsa porta molto spesso ad avere allucinazioni, come lui stesso dichiara. “Quando superi le due notti cominciano ad arrivare le allucinazioni. Vedi cose strane, mostri, la strada che va in salita, vedi una duna che invece non c’è. E mentre ero nel deserto, una notte, sentivo che c’era qualcosa attorno a me, improvvisamente mi sono ritrovato con due occhi rossi che mi fissavano. Ho pensato fosse una nuova allucinazione, poi mi sono reso conto che era un fennec, una volpe del deserto. Un volpino piccolo, con due grandi orecchie. Ho capito che era lui a seguirmi e che forse era più curioso di me. Alla fine gli ho anche lanciato una barretta!”.

paolobucci.000CORRERE CON IL TIBET NEL CUORE – Nel 2008 Bucci affronta nove giorni e mezzo di corsa nel Sahara egiziano. Al traguardo, ad Abu Simbel, sventola la bandiera del Tibet per solidarietà nei confronti dei tibetani. “Non ero a New York, dove ci sono un milione di persone a guardarti, però, se avessi avuto la bandiera del Tibet da sventolare, ero sicuro che almeno qualcuno si sarebbe fatto qualche domanda”. Bucci, quando corre all’estero, sventola sempre il tricolore italiano, così nel Sahara le bandiere erano due. “Ricordo che prima di arrivare col bastone, sventolando le due bandiere, mi sono fermato a un chilometro dal traguardo, ho steso a terra la bandiera del Tibet e l’ho filmata col telefonino. Non sapevo quanto lontano fosse il corridore dietro di me, ho rischiato di essere superato, ma ho comunque voluto dedicare cinque, dieci minuti al Tibet. Quando sono giunto al traguardo ero quinto: il sesto è arrivato circa ventidue ore dopo!”

TANTI OBIETTIVI, FINO A COMPIERE IL GRANDE SLAM – Ma le sfide non finiscono: ha partecipato a gare da 240 Km, a quelle da 333 Km e ben due volte alla 55+: “Sono gare no-stop: ti danno un tot di giorni per finirle, quindi devi essere tu a gestirti il tempo, e quando ti fermi a dormire o a riposare comunque il cronometro continua a girare. Alla 55+ ti davano nove giorni per portarla a termine, io ce ne ho messi sette”. La gara che considera la più dura al mondo è la Badwater, in California. Inizia nel punto più basso della valle della morte, dove è presente una pozzanghera molto grande di acqua salata (ecco perché “acqua cattiva”) e i Kilometri da percorrere sono 217; ma la sua difficoltà è nelle insopportabili condizioni climatiche: “La temperatura dell’aria tocca i 55°, ma l’asfalto arriva anche a 80° o 90°, e quindi devi essere vestito interamente di bianco per riflettere il sole”.
Era il 2011, lo stesso anno in cui prova e riesce nel grande slam: la Nove Colli (203 Km da Cesenatico, si percorrono i nove colli e si ritorna al punto di partenza) fatta in maggio, in luglio la Badwater e, a fine settembre, la Spartathlon (che va da Atene a Sparta, 246 Km). Paolo Bucci è l’unico al mondo ad aver partecipato a queste tre gare in un anno.

paolobuc2.002MOLTE DIFFICOLTÀ, MA SEMPRE DRITTO FINO AL TRAGUARDO – Chiedergli se abbia mai pensato di arrendersi, durante una corsa, è quasi un’eresia. “Dovrebbero spararmi e forse solo allora mi fermerei! Mi è capitato di avere i piedi massacrati dalle vesciche, un dolore fortissimo.”
Ma come ci si allena? “Con delle ore di corsa, tutti i giorni, riesci a crearti una buona fase fisica. All’inizio non è semplice, si tende a dedicare uno o due giorni di riposo e poi riprendere a correre. Ma correndo ogni giorno riesci a modificare la tua struttura muscolare. Con corse di 15-20 chilometri, a livello mentale, non hai nessun problema: dopo due ore, due ore e un quarto, hai concluso tutto”. La fase mentale scatta “in corse come la Badwater o la Nove Colli, quando, dopo un certo numero di ore, il fisico inizia a cedere e, nonostante cominci a sentire che vai più piano, non vuoi fermarti, vuoi arrivare fino in fondo, stare dentro ai tempi. È lì che inizi a riflettere, è lì che capisci quanto sia importante la fase mentale”.
Anni di corse hanno regalato a Bucci la capacità di intuire la tenuta mentale di altri corridori. “In questi anni la mia esperienza mi ha fatto capire quando un runner, in delle ultramaratone, non sarebbe riuscito ad andare avanti: quando lo guardo negli occhi, dietro il suo sguardo c’è il vuoto. Fisicamente può anche essere più dotato di me, più prestante, tonico, delineato, però se a livello mentale non ha la spinta giusta, è tutto inutile. Nelle ultra, più che nelle maratone, l’importante è essere un finisher. Quando termini corse come il Passatore o la Nove Colli nessuno degli ultramaratoneti verrà mai a rimproverarti di averci impiegato mezz’ora in più. No, l’importante è finire”.

 

di Luisa Di Capua e Paola Cavallo

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*