L’Italia continua ad avere un problema con la libertà di stampa

Troppi paesi nel mondo, fra cui anche l'Italia, continuano ad avere forti limitazioni sulla libera informazione. Ne abbiamo parlato con il giornalista della Gazzetta di Parma, Paolo Ferrandi

censura e libertà di stampa nel mondo

Fonte: rsf.org

Troppo poco e male si parla di censura e di libertà di stampa, sia nel mondo sia, se non soprattutto, qui in Italia. Fare il giornalista non è un lavoro semplice, in particolare quando si lotta per un mondo più giusto e meno falso e si decide di raccontare la verità senza maschere.

Quando si cerca di far luce su un problema, soprattutto se grave e di importanza comune, ancora troppo spesso e anche in paesi che oggi riteniamo democratici si rischia di incorrere in qualche forma di censura da parte del proprio editoreOppure, nei casi più gravi, si rischiano addirittura minacce.

Reporter Senza Frontiere (RSF) , l’organizzazione non governativa che lotta contro la censura e la libertà di stampa nel mondo, ogni anno redige una classifica mondiale. 

Mentre sul podio si stagliano immutate la Norvegia, la Finlandia e la Svezia, l’Italia conquista per l’anno 2021 solo il 41esimo posto, preceduta dal Burkina Faso (37esimo posto) e seguita dalla Sud Korea (42esimo posto).  Tra le regioni europee, solo la Germania si trova ad un ottimo 13esimo posto, mentre Inghilterra e Francia conquistano un 33esimo e un 34esimo.

Uscendo dall’Europa, gli Stati Uniti se la cavano con un misero 44esimo posto, mentre Russia e Cina si trovano verso la fine della classifica, rispettivamente al 150esimo e  177esimo posto. 

Reporter Senza Frontiere è stata fondata a Montpellier nel 1985 da Robert Menard, Rémy Loury, Jacques Molénat e Émilien Jubineau proprio con l’obiettivo di promuovere il giornalismo alternativo, verso una maggior libertà di espressione.

Questi numeri raccontano però una trista realtà: ancora troppi paesi, fra cui anche molte solide democrazie europee, restano ancora lontani da quell’obiettivo.

I peggiori predatori della libertà di stampa

Predatori libertà di stampa - RSF

Fonte: rsf.org

Reporter Senza Frontiere ha pubblicato quest’anno una galleria fotografica con i volti di quelli che vengono definiti predatori della libertà di stampa

Sono raffigurati 37 capi di stato, come il presidente russo Putin, il presidente bielorusso Lukashenko, ma anche il presidente siriano al-Asad e quello iraniano Ali Jamenei.

Quest’anno, per la prima volta RSF ha inserito in lista anche due donne: Carrie Lam, capo esecutivo della regione autonoma di Hong Kong e la prima ministra del Bangladesh Sheikh Hasina. 

La prima è considerata una marionetta nelle mani del presidente cinese Xi Jinping ed è la responsabile della chiusura di molte emittenti radio pubbliche e di molti quotidiani cinesi, tra i quali Apple Daily, chiuso nel giugno 2021.

Sheikh Hasina ha invece elaborato un sistema che non tollera la critica al governo, approvando nel 2018 la Legge sulla Sicurezza Digitale, la cui violazione viene punita con l’incarcerazione.

A completare l’elenco dei nuovi arrivati c’è per la prima volta anche un rappresentante  dell’Unione Europea: il primo ministro dell’Ungheria Viktor Orbán. La strategia utilizzata dal presidente ungherese per annullare qualsiasi tipo di opposizione è stata quella di indebolire economicamente le testate giornalistiche indipendenti, finanziando solo l’editoria più malleabile dal suo governo.

Grazie a queste manovre economiche e al controllo dei mezzi di comunicazione da parte di molti oligarchi appartenenti al partito Fidesz, il presidente Orbán ad oggi può controllare circa l’80% delle comunicazioni.

In Italia a che punto siamo? L’intervista al giornalista Paolo Ferrandi

Situazione in Italia (fonte: rsf.org)

Come detto in precedenza, attualmente l’Italia si trova al 41esimo posto nella classifica mondiale che determina il grado di autonomia e libertà di stampa nei paesi. 

Per comprendere al meglio la situazione, abbiamo intervistato il professor Paolo Ferrandi, giornalista de La Gazzetta di Parma.

Ferrandi inizia il suo intervento mettendo sotto i riflettori quello che ritiene il motivo principale di un indice tanto basso, anche se in crescita rispetto agli anni scorsi: “In passato avevamo la brutta pagella perché al governo avevamo Berlusconi che, oltre al monopolio del governo, aveva in pugno anche il monopolio sulla parte privata del sistema televisivo. La situazione attuale è migliorata perché non c’è più un Berlusconi al potere”. 

Tuttavia, nonostante l’era berlusconiana sia da tempo tramontata, il professore evidenzia una questione a monte, ben più complessa e difficile da risolvere: “Bisognerebbe attuare delle leggi che cerchino di diminuire il monopolio. Tuttavia, in Italia, la storia dei monopoli televisivi è vecchia e radicata nello sviluppo delle reti stesse, pertanto diventa molto complicato. Nel senso che bisognerebbe smantellare un’azienda privata, cosa che tendenzialmente, in un sistema liberal-democratico non si fa, soprattutto se questa azienda privata è a carico del capo dell’opposizione. Ecco, in questo caso diventa un problema politico”.

Il giornalista nota però che con l’avvento delle nuove tecnologie e dei nuovi media, la situazione sta cambiando e con essa il problema del duopolio Rai -Mediaset sembra stia diminuendo: “Questo problema, dato dal duopolio, lo stanno risolvendo le nuove tecnologie: infatti, siamo passati al digitale terrestre con nuovi canali che non fanno riferimento né a Mediaset né alle reti di servizio pubblico (come la Rai), l’esempio tipico è dato da Sky, che fa parte di Comcast. Oltre a ciò, è presente tutto l’universo Discovery, che sta diventando la nuova tendenza”. 

Oltre al problema del duopolio, il professor Ferrand ha poi sollevato la questione della stessa responsabilità dello Stato: “Il legislatore ha le mani legate dal momento che all’interno del parlamento c’è una forte componente alla cui guida è presente una delle persone che dovrebbero essere regolamentate. Ed è qui che risiede la complessità del discorso; soprattutto a causa della problematica politica

Ma perché si parla poco e male di censura, nonostante questo problema sia di importanza mondiale? “Non è del tutto vero, dal momento che avete inserito RSF e sono presenti una serie di articoli sulla libertà di stampa. Tuttavia, il fatto legato alla censura diviene notizia quando viene cronicizzato. In particolare quando arrestano un oppositore politico che è anche giornalista”. 

Oltre a ciò, tuttavia persiste un problema di opinione pubblica, infatti: “Il problema maggiore è dato dalla difficoltà nel trovare un interesse sistemico sull’argomento e, insieme a questo, si aggiunge la difficoltà del giornalismo di trattare questi temi, dal momento che manca degli strumenti necessari e dell’attenzione del lettore.

Per risolvere parzialmente la situazione, pertanto, bisognerebbe cercare una forma di giornalismo che gli Stati Uniti chiamano già “giornalismo esplicativo”, che in qualche modo cerchi di fare un’analisi più complessa del problema. Tuttavia, per questo tipo di giornalismo ci vuole un lettore diverso da quello dei quotidiani e dai mass media in genere,  per lo più interessato a leggere l’ultimo gossip delle star piuttosto che le difficoltà del campo giornalistico e del problema della censura.  Da questo punto di vista, pertanto, non solo è un problema politico, ma anche di pubblico”. 

La conseguenza è che questo stato delle cose porti molti giornalisti all’autocensura, spaventati dalla minaccia di querele che potrebbero colpire un suo articolo: “La sola minaccia di querele può portare il freelance ad un’autocensura”.

In Italia c’è poi il problema della linea editoriale che, come fa notare Ferrandi, riguarda l’impossibilità di molti giornalisti di uscire da quella impostazione ideologica decisa dal direttore o dall’editore: “Il giornale è una specie di nave corsara, c’è un comandante e il direttore è il comandante, quindi quando il direttore ha una linea, tutto il resto si adegua, ma non si tratta né di minacce e neanche di autocensura, perché la linea editoriale è quella”.

Per concludere, il professore ha infine esposto il suo pensiero in merito alla questione Orbán e alle responsabilità  dell’Unione Europea nei confronti di paesi come l’Ungheria, che hanno adottano una strategia politica di censura nei confronti della stampa. 

“Il problema è l’Unione Europea, nel senso che Orbán fa parte di stati democratici, quindi il problema è tutto lì. Il problema dell’Ungheria è forte perché è stato messo in atto un piano sia dal punto di vista della proprietà dei media, sia dal punto di vista delle legislazioni, poiché ci sono stati dei tentativi di rendere il sistema dei media monocratico, assolutamente asservito al potere politico” Ma, come ci tiene a sottolineare il professore, il problema non è limitato all’Ungheria, ma ci sono anche altri paesi europei in cui vige ancora un sistema fortemente autoritario. Ne sono un esempio la Polonia e la Slovenia. 

“É tutto un sistema per cui se espelli qualsiasi voce alternativa dalla tv di servizio pubblico, se fai in modo che i grandi gruppi editoriali rispondano a te perché è nel loro interesse rispondere a te e se fai in modo che le poche voci libere abbiamo sempre più problemi, alla fine si ottiene una riduzione della libertà di stampa di fatto, anche senza andare a modificare troppo le leggi”.

Il giornalista conclude il suo intervento spiegando che: “Anche l’Italia è in una situazione delicata, perché pare che ci sia libertà di stampa e che sia tutelata, però visti dall’estero siamo un paese che ha un servizio pubblico vicino al potere politico, anzi il servizio pubblico è bidirezionale. Il governo sostanzialmente decide chi sono i manager e i manager non sono liberi dal condizionamento politico e lo vediamo benissimo perché ad ogni cambio di maggioranza si tende a cambiare i direttori di testata.

In più in Italia abbiamo la criminalità organizzata che in qualche modo inibisce con le intimidazioni e la violenza sul libero svolgimento dell’attività giornalistica. La situazione italiana è decisamente migliore rispetto alla situazione ungherese, ma non è ideale. Anche paesi dove le leggi garantiscono la libertà di stampa devono rifarsi poi ad un problema di mercato, nel senso che i media tradizionali fanno riferimento anche al mercato. In molti paesi in qualche modo le due fonti principali di sostentamento sono pubblicità e lettori”.

In conclusione, la situazione è evidentemente complessa ed è difficile cambiarla in poco tempo. Tuttavia, la migliore soluzione per poter dare inizio al cambiamento è informarsi su argomenti più importanti del semplice gossip, per una più matura consapevolezza del mondo in cui viviamo. Il cambiamento viene prima di tutto da noi lettori e soprattutto da quelli che hanno la fortuna di vivere in paesi in cui la libertà di stampa e la libertà di informazione è ancora un diritto.

 

di Mattia D’Annucci e Erika V. Lanthaler 

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