Al di là del velo, la storia di Samar: “Esclusa dai colloqui per la mia foto sul curriculum”

GENERAZIONE 2: PERCHE' HO SCELTO DI INDOSSARE E TOGLIERE IL VELO

Samar è una ragazza parmigiana di venticinque anni: studia farmacia, ha fatto servizio civile presso il centro antiviolenza di Parma, ama mangiare gli anolini e fare shopping per il centro della città, partecipa anche a un corso di teatro. Ultimamente ha organizzato una raccolta di generi di prima necessità da spedire in Siria e ha lavorato come hostess presso le fiere di Milano. Tuttavia da questo breve ritratto probabilmente nella mente del lettore non si sarà certo formata una immagine completa di Samar; infatti il suo capo è coperto da un velo, i suoi genitori sono egiziani e come lei credono nell’Islam.

Samar è, come si dice tecnicamente, una immigrata di seconda generazione. I genitori sono in Italia da circa trent’anni, dunque Samar è nata e cresciuta nel nostro Paese. All’asilo e alle elementari racconta di essere stata l’unica bambina dai tratti non italiani, ma nonostante questo sono stati pochissimi gli episodi di discriminazione nel suo percorso scolastico: una maestra che all’asilo storpiava il suo nome chiamandola ‘Somara’ e due compagni che l’avevano chiamata ‘marocchina di merda’: “Mi ricordo di non aver capito perché mi avessero chiamata marocchina e di non essermi offesa tanto, ho capito che la cosa era grave solo quando le maestre le hanno dato molta importanza facendo porgere le scuse dei bambini davanti a tutta la classe“. La consapevolezza della propria diversità infatti è arrivata lentamente con il tempo, quando ripetutamente le veniva chiesto perché fosse di un’altra religione. Così, anche per preparare il piccolo discorso sul motivo per cui non mangiasse carne di maiale richiesto dall’insegnante dell’ora di religione, Samar ha cominciato a porsi molti interrogativi. “Per fare questo compito ho cominciato a fare a mia mamma un sacco di domande sulla storia e sul significato dell’Islam, ho cominciato a non dare per scontate molte cose che prima non capivo del tutto, così ho cominciato ad avvicinarmi in modo molto più consapevole e intenso alla fede”. Infine a sedici anni arriva la decisione di mettersi il velo. “Ho preso questa scelta impegnativa liberamente. Mi sentivo consapevole del suo significato e fiera di me stessa”.

“Ti sposerai Abdul?”, “Vai in giro con i cammelli?”, “Oh attenzione hai una bomba nascosta!”, “Ti piace più l’arabo o l’italiano?”. A scuola capitava spesso di essere presa in giro ma senza particolare accanimento rispetto agli altri compagni: “Ero presa in giro come tutti, a quell’età è normale, ma ho cominciato a soffrire per il fatto che io venivo presa in giro sempre per le stesse cose. Non capisco perché dovevano scherzare con me solo sulla mia origine e non piuttosto su un mio dente storto; il mio dente storto passava automaticamente in secondo piano. La scelta di mettermi il velo ha cambiato completamente la mia vita, soprattutto nei rapporti personali“. Samar racconta di come in biblioteca, dove spesso le persone ‘attaccano bottone’ o chiacchierano con facilità, a lei nessuno parli mai, e lo stesso accade in autobus. La gente spesso guarda ma pochi le rivolgono la parola. Per esempio non è mai fermata per strada da chi cerca di vendere qualcosa o di raccogliere firme. Alcune volte le è capitato anche di essere insultata, oppure spesso le persone la fermano chiedendole se porta il velo per obbligo o per scelta.

Ricorda di quando aveva appena compiuto diciotto anni, in pieno periodo di elezioni, era molto arrabbiata perché nessuno per strada la fermava per fare propaganda. Aveva giurato a una sua amica che avrebbe votato chiunque l’avesse fermata ed ironia della sorte era stato proprio un iscritto a Lega Nord: “Lo ammetto, non ho mantenuto la promessa! Tra l’altro mi sono sempre chiesta se fossi stata fermata per ignoranza o per spirito di provocazione”.

Samar dice di non sentirsi trattata come tutte le altre ragazze; una volta era seduta al bar con un’amica e un signore si è avvicinato per dirle che era in disaccordo con Lega Nord, dal momento che il partito stava raccogliendo firme contro la moschea di Parma. Detto questo l’uomo si è lanciato con passione in un’invettiva contro i razzisti. In quel momento Samar si è chiesta perché un signore, per il semplice fatto che portasse il velo, si era sentito libero di interrompere in modo così diretto la conversazione con la sua amica e invadere un momento di intimità. “Quell’uomo non aveva nulla contro di me, anzi, ma perché doveva fare così davanti a tutti? Perché non posso essere una normale ragazza seduta al bar con un’amica?“. Il problema, secondo Samar, è che la gente ha un’immagine altamente stereotipata del musulmano. A seguito dell’11 settembre la televisione ha modificato l’immaginario collettivo e un musulmano è istintivamente collegato ad un terrorista tanto quanto a una donna con il velo è legata l’immagine della sottomissione femminile.

Samar non si sente sottomessa a nessuna autorità paterna che le abbia imposto di indossare il velo o praticare la religione musulmana. Anzi, sua madre ha cominciato per scelta a portare il velo all’età di quarantatré anni. “La mia famiglia non è molto tradizionalista e da noi non succede nulla di quello che la gente si aspetta che accada in una casa musulmana. Anche per questo mi sono avvicinata al centro antiviolenza per fare volontariato: per dimostrare a tutti che non sono una ragazza sottomessa che accetta soprusi”. Samar infatti condanna apertamente chi usa violenza contro le donne e non nega che ci siano molte donne sottomesse all’autorità maschile nel mondo arabo. Tuttavia, ritiene anche che sia assurdo generalizzare; per esempio, di tutte le ragazze che portano il velo e che lei conosce, solo una lo fa a causa di una forte pressione dalla famiglia. Questo dimostra quanta diffidenza ci sia verso un altro tipo di cultura che si conosce solo nei suoi aspetti più crudi e sempre per via indiretta.

Emblematico è il caso di una sua conoscente che, credendo che le ragazze si mettessero il velo automaticamente dopo il matrimonio, aveva smesso di salutare Samar per non doversi trovare nell’imbarazzo di non sapere come affrontare il discorso. “Io non mi sento di dire di appartenere ad un’altra cultura, sono pienamente italiana, con la differenza che pratico la religione musulmana. Per questo sono diventata presidente dell’associazione giovani musulmani di Parma, che ha lo scopo di favorire l’integrazione senza dimenticare la religione”. Samar tiene molto che all’interno dell’associazione si parli l’italiano e non l’arabo, perché è fondamentale parlare bene la nostra lingua per integrarsi. A causa di questa sua convinzione ha dovuto spesso scontrarsi con chi invece la accusava di rigettare le sue origini.

Riflettendo sulla differenza che intercorre tra integrazione di prima e di seconda generazione, Samar racconta: “I miei genitori, pur essendo molto integrati nel senso che lavorano e hanno molte amicizie tra persone italiane, conservano molti aspetti della cultura araba che io non sento mie”. Ad esempio suo padre guarda sempre la televisione araba e sua madre non ha amici maschi. In generale, molte donne di prima generazione non escono dall’ambiente famigliare e spesso passano il tempo fra di loro a guardare i telefilm arabi. Così come pochissime sono le donne che al di fuori delle feste frequentano la moschea, non per divieto ma per consuetudine. Molte cose scompariranno con chi, come lei, è di seconda generazione.

Tornando al discorso del velo, Samar è la prima a non approvare l’immagine della donna che propone la cultura occidentale e dunque si immagina la paura che una famiglia musulmana può avere rispetto al fatto che anche la propria figlia si adegui a quel modello. Così viene sottolineata, spesso con troppa enfasi, l’importanza di portare il velo ed essere legata alle tradizioni. Inoltre, molte famiglie sono venute in Italia con l’idea di restare solo pochi anni per poi tornare ricchi nella propria terra d’origine e questo atteggiamento non favorisce un’apertura alla cultura di un paese dove non si pensa di restare tutta la vita. Per questo Samar ritiene che l’educazione che darà ai suoi figli sarà sicuramente diversa, pur continuando a praticare l’Islam.

“Per ora sono convinta di voler passare la mia vita in Italia e possibilmente a Parma, anche se per via del velo non mi sento mai completamente ‘a casa’. L’idea però di andare a vivere in Egitto mi spaventa perché so davvero poco con la cultura araba al di là della religione e di qualche abitudine famigliare”.

Infatti se ci si sforzasse di guardare al di là del velo non si avrebbero dubbi su quanto Samar sia profondamente ‘italiana’.

Ho rincontrato Samar dopo poco tempo e sono rimasto sorpreso di vederla senza velo. “Ho deciso di toglierlo perché ho cominciato a fare tanti colloqui di lavoro e molti mi hanno escluso a priori perché vedevano la foto sul curriculum. Anche per trovare lavoro come hostess alle fiere ormai era diventato impossibile; mi hanno detto con un eufemismo che la ‘bella presenza’ era necessaria. Poi ero stufa degli sguardi della gente, stavo cominciando a diventare paranoica e non distinguevo più una semplice antipatia o maleducazione che sarebbe stata rivolta a chiunque, da una discriminazione per via del velo”. Un passo avanti nell’integrazione delle seconde generazioni o una sconfitta per una società che dovrebbe accogliere il diverso? Punti di vista, quel che è certo è che gli immigrati di seconda generazione sono una realtà alla quale cominciamo e stiamo riuscendo solo ora ad approcciarci con modalità libere da semplificazioni e stereotipi.

di Adriano Arganini

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