La violenza che genera violenza. Juana Cecilia assassinata dal figlio di una vittima di femminicidio

L'assassino avrebbe dovuto iniziare un percorso teraputico a Parma dove esiste il servizio dell'Usl 'Liberiamoci dalla violenza' che si rivolge agli uomini maltrattanti che hanno bisogno di aiuto. Nel 2020 sono state 35 le persone seguite. Alla fine di ottobre 2021 il numero è salito a 51

Nella notte tra il 19 e il 20 novembre nel parco di via Patti a Reggio Emilia Mirko Genco, 24enne parmigiano, ha ucciso la sua ex compagna Juana Cecilia Hazana Loayza, 34enne di origine peruviana.

Mirko Genco ha confessato il delitto e ora si trova in carcere. Ad aver scatenato la sua furia omicida sarebbe stata una foto pubblicata venerdì sera su Instagram dalla ex compagna che immortala un momento di divertimento con gli amici in un locale del centro di Reggio. Dopo aver visto la foto, l’uomo, partito da Parma in taxi, avrebbe raggiunto Juana Cecilia imponendole di andarsene dal pub perché le sembrava ubriaca e voleva riportarla a casa da suo figlio di un anno e mezzo. Lungo il tragitto sarebbe scoppiata l’ennesima discussione, culminata con il delitto.

Negli ultimi giorni è emerso un ulteriore particolare: Genco avrebbe registrato l’audio degli ultimi 53 minuti di vita della ex compagna. La registrazione sarebbe partita dal momento in cui l’ha raggiunta nel locale reggiano di via Guasco, per poi concludersi alle 3:05 del mattino dopo il tentativo di strangolamento. Come riporta Ansa, il ragazzo dice di aver “deciso di attivare il registratore per iniziare a registrare tutto quello che stava accadendo poiché è a questo punto che per la rabbia e la delusione che stavo provando ho deciso di ucciderla“.

Ha affermato, inoltre, di voler “tenere la sua voce per ricordo perché quello sarebbe stato l’ultimo giorno in cui l’avrei vista perché sua madre non voleva chi ci vedessimo”.

Al killer è stata contestata in aggiunta la violenza sessuale. Mirko dichiara agli inquirenti di aver avuto con lei uno “scambio di effusioni e un rapporto consenziente”, ma la Procura non esclude che ci possa essere stato un abuso prima dell’omicidio. La tesi di Genco viene smentita dalla registrazione e dalle immagini delle telecamere presenti da via Caggiati fino a piazza del Tricolore che ritraggono Juana Cecilia intenta a respingere gli approcci del suo ex compagno.

Sull’imputato pesa l’ipotesi di omicidi con tre aggravanti: futili motivi, minorata difesa della vittima e recidiva stalking. Tra i capi d’imputazione, oltre alla violenza sessuale, vi sono anche porto abusivo d’armi, violazione di domicilio e appropriazione indebita delle chiavi. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, Genco ha tentato in un primo momento di strangolare la donna per poi lasciarla incosciente nel parco. Successivamente le ha sottratto le chiavi contenute nella borsetta ed è entrato a casa della vittima per prendere un coltello utilizzato poi per ammazzarla. Dall’autopsia è emerso che ad uccidere la donna sono state due coltellate alla gola.

Pochi giorni prima della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il nome di Juana Cecilia si inserisce quindi tra i 103 femminicidi compiuti nel 2021. La 34enne peruviana è stata uccisa dal suo ex compagno che aveva denunciato più volte.

Mirko, figlio di una vittima di femminicidio

Daniela Pettenati, nonna di Mirko Genco, ha affermato a il Resto del Carlino: “Non so proprio cosa gli sia passato per la testa: è inspiegabile, dopo tutto quel che abbiamo passato. Non ha giustificazioni per quello che ha fatto, non posso che chiedere scusa a chi soffre: è un dolore che conosco”.

La donna si riferisce alla morte della figlia, mamma di Mirko, avvenuta nel 2015 per mano dell’ex convivente di orgine tunisina. Alessia della Pia venne uccisa a 39 anni da Mohammed Jella, pseudonimo con cui era conosciuto l’uomo irregolare sul territorio italiano di cui sono state fornite le iniziali M.A.J, che prima la picchiò nell’androne della casa in via Bersaglieri nel quartiere Montanara a Parma, palazzina dell’Acer, per poi immergerla nella vasca da bagno dell’appartamento dove viveva. Al tempo i vicini riferirono agli inquirenti di numerose liti, spesso piuttosto accese. Fu proprio Jella ad avvertire il 118 prima di fuggire a Tunisi dove è stato arrestato il 18 maggio 2017. Come sottolineato da la Repubblica, la latitanza era diventata un caso politico con una interrogazione in Parlamento volta a sollecitare maggiore collaborazione da parte della polizia tunisina. L’uomo, prima del femminicidio, era già noto alle forze dell’ordine per vari precedenti (traffico di sostanze stupefacenti, rapina, ricettazione e un decreto di espulsione emesso dal questore di Ferrara).

Dopo l’accaduto, Mirko, all’epoca dei fatti appena maggiorenne, venne affidato ai nonni e proprio a loro ripeteva spesso di volersi fare giustizia da solo. “Diceva che voleva andare in Tunisia e ammazzare l’uomo che aveva ucciso sua madre”. Come ripete la nonna Daniela: sua figlia era la vittima e ora il nipote è un carnefice.

Anche il nonno, Pietro Pettinati, nel corso della trasmissione Ore 14, ha ricostruito il carattere complesso di Mirko descrivendolo come un manipolatore con le donne. Più volte gli avevano detto di andare dallo psicologo, ma lui si era sempre opposto. “Per me con la testa non va più. Tre volte gli ho detto di lasciare quella donna, di non andarci più ed invece l’ha fatto”. Il sig. Pettinati prova un grande dolore e una forte delusione nei confronti del nipote e dichiara di non volerlo più sentire o vedere. “Non lo accetto più in casa, lo picchierei, non merita altro!”.

I precedenti

La frequentazione tra Juana Cecilia e Mirko si è interrotta ad agosto, dopo che lei lo aveva denunciato per stalking e lui era stato arrestato. Genco ha patteggiato due anni ed è tornato in libertà il 4 novembre.

Ma questa non è stata l’unica accusa a lui rivolta: nel 2020 era stato denunciato da un’altra ex compagna di origine moldava con cui viveva a Parma. In seguito, la donna è stata ospitata in una struttura protetta.

Alla luce di questa storia di violenza, sono tanti gli interrogativi sul meccanismo di legge che ha permesso a Genco di essere libero. Nel caso di condanna per il reato di stalking la pena può essere sospesa se vengono intrapresi specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati. Questo istituto è disciplinato dagli artt. 163-167 del Codice penale.

Come riporta Il Mattino, la legale di Genco, Alessandra Bonini, sostiene di aver contattato il centro “Liberiamoci della violenza”, dell’Ausl di Parma, il cui principio cardine è l’accettazione solo di persone che in modo volontario decidono di intraprendere questo percorso. “Genco non aveva molta scelta e li ha chiamati”.

Progetto LDV: Liberiamoci Dalla Violenza

A Parma esiste un servizio fornito dalla sanità pubblica pensato proprio per gli uomini che hanno bisogno di aiuto per gestire la violenza. Ne abbiamo discusso con Alessio Testi, dirigente sanitario, psicologo e responsabile del centro ‘Liberiamoci dalla violenza’ LDV Parma. L’azienda USL di Parma ha attivato questo programma nel 2014 per guidare gli uomini maltrattanti in un percorso di recupero. Il servizio si basa sull’adesione volontaria: l’uomo deve contattare direttamente il servizio e iniziare il percorso terapeutico.

Come riporta Testi “gli uomini che hanno chiesto di intraprendere la valutazione preliminare nell’arco del 2020 sono stati 35. Alla fine di ottobre 2021 il numero è salito a 51. Un incremento significativo rispetto all’anno precedente”.

A fronte di un primo contatto con l’uomo che ritiene di agire violenza, o teme di farlo in futuro, il servizio programma quattro incontri di valutazione (Genco aveva partecipato solamente ad un primo colloquio conoscitivo). Durante i colloqui si sonda l’eventuale presenza di elementi incompatibili con LDV (problematiche psichiatriche, abuso di sostanze stupefacenti o alcool, non padronanza della lingua italiana).

La presa in carico non può avvenire se l’uomo non dà il consenso a LDV ad entrare in contatto con la (ex) partner. Come sottolinea il responsabile del centro, “l’obiettivo primario è la tutela della donna. Per questo è importante informarla che l’uomo ha preso contatti e metterla a conoscenza di tutti i servizi presenti nel territorio che potrebbero darle sostegno e supporto, come centri antiviolenza o forze dell’ordine. È indispensabile che la violenza, in quanto problematica estremamente complessa, abbia una risposta coordinata in rete”. La violenza va inquadrata nell’ottica della multifattorialità e questo rende necessaria la risoluzione del problema con la collaborazione di più servizi.

Una volta conclusi i quattro incontri, qualora fosse possibile la presa in carico, ha inizio il percorso di circa 12 mesi con una seduta ogni 10/14 giorni. Il programma coinvolge individui di tutte le età inseriti in contesti sociali differenti: uomini dai 18/19 anni ai 70 anni, italiani, stranieri, disoccupati, dirigenti, persone prive di scolarizzazione, laureati. Tutte persone spinte a chiedere aiuto per diverse ragioni. Una frase che però ritorna spesso nei racconti di questi uomini è “aver visto la paura negli occhi della compagna”.

Casi come quello di Mirko Genco, in cui si sospende la pena se si intraprendono specifici percorsi di recupero, complicano decisamente il percorso. Il forte rischio è che l’uomo non sia consapevole del suo problema, ma veda il recupero semplicemente come un benefit per ottenere una sospensione della pena. Ne consegue un approccio sbagliato a LDV, che prevede l’adesione su base volontaria proprio per scongiurare questo pericolo.

Juana Cecilia è una delle tante donne che lo Stato non è riuscito a proteggere, a nulla sono valse le sue denunce. Più volte Mirko aveva violato i divieti di avvicinamento dopo la sentenza di patteggiamento, ma neanche questo è bastato per fermarlo. “È necessario fare un profondo lavoro socioculturale, eliminando come prima cosa gli stereotipi che hanno portato nel corso del tempo ad una disparità di genere. Ancora oggi la violenza è un gioco di potere tra i sessi” afferma Alessio Testi. Nella maggior parte dei casi gli uomini violenti non accettano il fatto di non avere più il controllo o l’idea che la ex partner possa semplicemente andare avanti nella sua vita. A Mirko è bastata una foto in cui Juana Cecilia si mostrava spensierata per far scattare la sua furia omicida, come se essere felice senza di lui non fosse ammissibile.

Il centro LDV può essere contattato via e-mail all’indirizzo ldv@ausl.pr.it o telefonicamente al numero 3356527746.

Il 7 ottobre 2022 è iniziato il processo per il delitto di Juana Cecilia contro Mirko Genco che deve rispondere di omicidio volontario pluriaggravato. “Ero in camera mia – ha dichiarato Genco in aula – ad ascoltare musica. Poi, verso le 23 ho visto quella foto. Quella non era la Cecilia che conoscevo io. Non doveva uscire e lasciare suo figlio da solo”. L’imputato ha raccontato alla Corte di essere andato in stazione e di aver bevuto due birre. I treni non passavano e quindi ha optato per un taxi che lo avrebbe portato in centro a Reggio, dove si è consumato il femminicidio.

Il 4 marzo è arrivata la sentenza dalla Corte d’Assise di Reggio Emilia: 29 anni e 3 mesi. La pm Mariarita Pantani aveva chiesto per lui l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi, sottolineando le “sedici menzogne” dette dall’assassino nel corso del processo.

“Non è un processo in cui si discute di un amore – ha dichiarato la pm Pantani – e neppure di un uomo tradito. Lui ha posto in atto uno dei femminicidi più efferati della nostra provincia. Ha mentito 16 volte per finalità utilitaristiche”.

Un amico di Genco ha riferito che lui, una settimana prima della morte, vide un film su un femminicidio e disse: “È un po’ come Cecilia. Se la prendo l’ammazzo“.

L’avvocato difensore Alessandra Bonini ha ripercorso, invece, la storia del suo assistito raccontando l’abbandono da parte dei genitori, il femminicidio della madre e ha richiesto le attenuanti generiche, che in parte sono state riconosciute. Al termine della sentenza, la madre della vittima, che si è trasferita dal Perù per occuparsi del nipote, ha dichiarato che giustizia è stata fatta.

di Laura Ruggiero

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