Covid e privilegi: la nuova Apartheid

Mentre i nostri vaccini scadono, la loro gente si ammala. Questo sembra essere il motto che sta indirizzando la distribuzione delle dosi verso il mondo.

Mentre i nostri vaccini scadono, la loro gente si ammala. Questo sembra essere il motto che sta indirizzando la distribuzione delle dosi verso il mondo. È stata vaccinata metà della popolazione globale per un totale di 8 miliardi di dosi somministrate, seppur non equamente. “I paesi più ricchi del mondo sono entrati nella farmacia dei vaccini e hanno svuotato gli scaffali per sé lasciando quasi niente ai paesi più poveri”, dichiara Nicholas Lusiani di Oxfam America. Solo il 4%, infatti, è stato consegnato all’Africa, dove vive il 17% della popolazione mondiale, e spesso a ridosso della data di scadenza. Molti parlano di una nuova Apartheid, quella vaccinale.

Procedendo in questa direzione aumenta il rischio di dover affrontare nuove varianti, perché il virus continua a circolare liberamente in diverse aree del pianeta. I paesi occidentali, e non solo, minacciati dalla comparsa della variante Omicron in Sud Africa, dunque, dovranno agire con estrema rapidità, riflettendo anche sul perché queste mutazioni si stiano verificando proprio in quelle zone.

Oltre all’alto tasso di persone infette da HIV, che indebolisce il sistema immunitario, sono le poche vaccinazioni effettuate a essere determinanti. Come dichiara Amref, l’Europa ha distribuito almeno una dose di vaccino al 70% della popolazione, gli Usa sono al 69% mentre l’Africa è solo al 9,5%. La maggior parte dei paesi poveri non ha raggiunto l’obiettivo auspicato dall’OMS, il 10% della popolazione vaccinata entro settembre 2021. In Italia sono state somministrate 160 dosi ogni 100 abitanti, mentre in Africa si passa dalle 56 in Botswana alle 0,2 nella Repubblica Democratica del Congo. Una differenza schiacciante che dovrebbe portare a ripensare la gestione della pandemia a livello globale.

Da mesi l’OMS attacca i paesi ricchi e l’industria dei vaccini. “Siamo contrari a un uso generalizzato della terza dose su persone sane già vaccinate. Chiediamo una moratoria sui richiami fino alla fine dell’anno per consentire a ogni paese di vaccinare almeno il 40% della popolazione. Io sono sconvolto. Non rimarrò in silenzio davanti alle aziende e ai paesi che controllano la fornitura globale di vaccini e pensano che i paesi poveri del mondo dovrebbero accontentarsi degli avanzi” dichiara il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus

Quando i paesi hanno un disperato bisogno di vaccini, le aziende hanno un forte potere commerciale a causa della mancanza di una legge che regoli i prezzi a livello internazionale. È un rischio normale, anche se, secondo la condirettrice del Global Health Center, Suerie Moon: “idealmente le aziende dovrebbero vendere a un prezzo vicino al costo di produzione, soprattutto in pandemia, anche perché molte aziende non si sono assunte rischi e non hanno messo soldi di tasca propria”. Moderna, Pfizer, Johnson & Johnson, Novavax e AstraZeneca hanno ricevuto 100 miliardi di dollari di sussidi pubblici dagli Stati, che si sono assunti tutti i rischi economici del caso. Come ha raccontato il The Guardian, il 97% della ricerca sul vaccino di AstraZeneca è stata finanziata pubblicamente, mentre i ricavi saranno divisi tra gli azionisti. Per molti dunque è difficile trovare una giustificazione a questi prezzi, visto che gli Stati potrebbero reclamare a buon diritto la sospensione della proprietà intellettuale. Ma questo è realmente possibile? Ed è sufficiente per incentivare le vaccinazioni?

Sulla questione il mondo si divide tra chi è a favore della liberalizzazione dei brevetti per facilitare l’accessibilità al diritto alla salute, viste soprattutto le ingenti somme di denaro investite pubblicamente dagli Stati nella sperimentazione, e chi è contrario perché, a suo dire, si rischierebbe di creare un precedente che potrà ledere la spinta all’innovazione e spingere le case farmaceutiche a non mettere più a disposizione investimenti, conoscenze e mezzi di produzione in futuro.

Intervistata da Torcha, la divulgatrice scientifica Sonia Morelli ha spiegato come il brevetto sia il marchio di esclusiva che l’azienda imprime sul suo prodotto. Per vent’anni l’azienda lo può commercializzare in esclusiva come ricompensa per gli sforzi produttivi ed economici che la sperimentazione di un farmaco prevede, come le analisi di attività, di efficacia, di tollerabilità, le tre fasi sperimentali, la registrazione e l’emissione nel mercato. Questo lungo processo, infatti, ha un costo elevato per le aziende che investono in ricerca e sviluppo senza ricevere ricavi per anni. Il vaccino per il Coronavirus, però, spiega la giornalista, presenta notevoli differenze rispetto alle normali sperimentazioni. I tempi sono stati accorciati, in quanto le tre fasi si sono realizzate in un tempo minore, pur mantenendo tutti i criteri minimi di sicurezza. E dal punto di vista economico le aziende sono state sovvenzionate da finanziamenti pubblici da parte degli Stati. È lecito, dunque, che alcuni di essi chiedano una sospensione momentanea dei brevetti, così da ampliare la platea di popolazione vaccinata nel mondo.

Secondo Suerie Moon tutto questo dovrebbe bastare per sospendere i brevetti. “Non avremo subito milioni di vaccini, ma, visto che siamo in una fase endemica e dovremo convivere a lungo con il covid, dobbiamo fare il possibile per avere abbastanza vaccini per il futuro”. La liberalizzazione sembra essere un passo necessario ma non sufficiente per garantire la copertura vaccinale alla popolazione globale. Secondo Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale WTO, infatti, per rendere i vaccini accessibili a tutti ci sono diverse cose da fare: “primo, rimuovere le barriere all’esportazione; secondo, guardare alla capacità manifatturiera di mercati emergenti; terzo, il trasferimento tecnologico oltre alla questione dei brevetti”. 

Per Greg Perry dell’International Federation of Pharmaceutical Manufacturers & Associations, il grande problema è la scarsità di materie prime, come dimostrerebbe il fatto che nulla si è mosso dopo che Moderna ha dichiarato di non citare a giudizio chi lo avrebbe usato durante la pandemia. A sostegno della sua tesi, un articolo del The Conversation spiega come la produzione di vaccini a mRNA, come quelli di Pfizer e Moderna, presenti difficoltà produttive insuperabili per i Paesi meno attrezzati. Affinché la liberalizzazione non si riveli un mero gesto simbolico, è dunque necessario investire sul know-how e sulle tecnologie, quindi sulle competenze e sui mezzi fisici.

Paesi come Sud Africa, Pakistan, Bangladesh, Senegal, Indonesia hanno, però, affermato di poter produrre vaccini. Senza tenere conto di come l’Asia sia il cuore della manifattura farmaceutica. Secondo la responsabile della Campagna Accesso ai Farmaci di Medici Senza Frontiere, Leena Menghaney, è falso dire che ci sia una carenza di materie prime nel mondo. “Il vero problema è che le compagnie farmaceutiche detengono i brevetti per impedire la concorrenza”. E ricorda come lo stesso sia successo con i farmaci per l’HIV che sono stati liberalizzati con dieci anni di ritardo e come la liberalizzazione alla fine abbia aiutato. 

La questione sui brevetti, tenendo conto di tutte le variabili, è complessa e sembra che gli Stati non le stiano dando la giusta rilevanza nel dibattito sulla gestione della pandemia. Quella della sospensione è solo una delle ipotesi in campo. Emergency, ad esempio, oltre ad appoggiare la liberalizzazione dei brevetti, mette sul tavolo un’altra proposta che riveste un carattere di urgenza per affrontare la pandemia. Segnala come sia importante che il nostro Paese e l’Ue lavorino per la creazione di un’azienda pubblica europea, per lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di farmaci, vaccini e dispositivi medici. 

C’è chi, come il presidente dell’Istituto Mario Negri, Silvio Garattini, invece, propone la possibilità di ricorrere alla “licenza obbligatoria”: i governi possono ricorrervi in situazioni di emergenza sanitaria per permettere anche ad aziende non detentrici del brevetto di produrre versioni generiche, ma equivalenti, dei farmaci, pagando un’opportuna royalty all’azienda titolare della proprietà intellettuale. A questa però va accompagnata una capacità produttiva dei paesi o in caso negativo una riconversione dei siti produttivi. “La pandemia ha dimostrato che la capacità di produzione globale non è sufficiente per fornire vaccini e altri prodotti sanitari essenziali in modo rapido ed equo dove sono più necessari. Investire in una capacità produttiva nazionale sostenibile e sicura è fondamentale per garantire programmi di immunizzazione essenziali e costruire sistemi sanitari forti e resilienti contro le inevitabili emergenze sanitarie del futuro. L’OMS è pronta a fornire supporto tecnico immediato per assistere i Paesi nella valutazione della fattibilità di una produzione locale e nell’accesso alla tecnologia e al know-how”, dichiarava ad aprile Ghebreyesus. “Per affrontare questa sfida l’OMS e i suoi partner hanno istituito la task force di produzione COVAX, per aumentare l’offerta a breve termine, ma anche per costruire una piattaforma per la produzione sostenibile di vaccini a sostegno della sicurezza sanitaria regionale”. 

Secondo l’African Vaccine Acquisition Trust (AVAT), COVAX ha fatto “donazioni senza preavviso e con vaccini al limite della scadenza”. L’OMS riferisce che le aziende farmaceutiche stanno ritardando le consegne dei vaccini, che spesso arrivano quasi scaduti e non riescono a essere somministrati in tempo. Inoltre, secondo il CEO di Moderna, a causa della mancanza di documenti doganali il Sudafrica non riesce a donare le dosi in eccedenza. In più, il sistema sanitario africano è contraddistinto da gravi carenze strutturali, che si sommano ai ritardi nelle consegne da parte delle ditte farmaceutiche: sedici Stati africani hanno meno di un operatore sanitario ogni mille abitanti; nel 2022 mancheranno 2,2 miliardi di siringhe; le infrastrutture per mantenere la “catena del freddo” dei vaccini sono carenti e inadeguate. Questi due fattori stanno costringendo diversi Stati a buttare o restituire i vaccini. Liberia, Mauritania, Gambia, Sierra Leone, Guinea e Comore hanno buttato quasi 400 mila dosi non più utilizzabili. Ad aprile, la Repubblica Democratica del Congo ha restituito a COVAX 1,3 milioni di dosi; il Sud Sudan ne ha buttate 60 mila scadute. 

Quando i paesi donatori, le fondazioni filantropiche e l’OMS hanno fondato COVAX, il piano era che il mondo fosse vaccinato passo dopo passo, a partire dalle popolazioni più vulnerabili. Secondo quanto riporta Nature, questo non è mai successo. I governi donatori hanno promesso vaccini mentre conducevano negoziati paralleli con le aziende, in alcuni casi ordinando molte più dosi del necessario. Lo schema prevedeva di fornire 2 miliardi di dosi entro la fine di quest’anno, ma a luglio ne sono state consegnate solo 95 milioni. Con le popolazioni delle nazioni ad alto reddito in gran parte vaccinate, però, è sembrato che COVAX potesse incrementare il numero di dosi, consegnando circa 600 milioni di vaccini entro la fine del mese. Ma questo cambio di rotta rischia di saltare ora che Omicron sta spingendo le nazioni ad alto reddito a effettuare ancora una volta grandi ordini di vaccini. Ripetendo questo ciclo, i paesi a basso e medio reddito si ritroveranno nuovamente in fondo alla fila. 

Emerge, dunque, come il problema non sia solamente la mancanza di vaccini. Quella che manca è una visione completa della questione. In gioco ci sono una serie di fattori, variabili e sensibilità diverse da analizzare e far convergere in un progetto di riconversione del sistema globale, che mai come oggi si sta scoprendo fortemente interconnesso e interdipendente. Alla dipendenza dell’Africa dai paesi ricchi, per quanto concerne la distribuzione delle dosi, se ne sta aggiungendo una seconda: quella dei paesi ricchi dalle condizioni del sistema sanitario africano. Questo, infatti, se non rinforzato e reso autosufficiente in tutti i suoi aspetti, rischierà di generare nuove varianti che con un semplice “volo”, e non con un “barcone”, arriveranno ad infettare anche il resto del pianeta. 

Mai come oggi è necessario ridurre lo squilibrio economico e sociale nel mondo. Mai come oggi l’Unione Europea e tutte le potenze mondiali devono concretizzare e far proprio il più grande insegnamento di Gino Strada, che questa dipendenza l’aveva preannunciata: “I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi”. Perché in una pandemia il vaccino deve essere per il mondo la cosa più preziosa. E non un privilegio.

di Niccolò Monti

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