Il realismo di “I May Destroy You”

La serie tv di Michaela Coel che affronta le problematiche contemporanee senza edulcorarle

Credits: HBO

Michaela Coel scrive, interpreta, dirige e produce la serie tv “I May Destroy You” (il titolo provvisorio era “22 gennaio”: il nome del romanzo che la protagonista sta scrivendo) per BBC One e HBO nel 2020. Ha rifiutato un accordo con Netflix da un milione di euro, poiché avrebbe perso la proprietà dei diritti della serie. 

Per il momento esiste solo la prima stagione composta da 12 episodi, dai 28 ai 35 minuti l’uno. Le riprese si sono tenute principalmente a Londra, ma alcune scene sono state girate anche in Italia, a Ostia. 

La ricostruzione di sé

Credits: HBO

Arabella è una scrittrice di Londra, diventata famosa per il suo libro “Cronache di una millennial stufa”. Viene invitata da un amico all’Ego Death Bar (“La morte dell’io”, come a voler preannunciare che ci sarà un evento che porterà a una perdita d’identità dei protagonisti), e trascorrono la serata a bere e ballare. Il giorno dopo, però, Arabella ha dei flashback improvvisi e si sente dissociata dalla realtà, non ricordando cosa sia successo la sera precedente. Dopo quest’episodio, la sua vita muta e, con il supporto dei suoi amici Terry e Kwame, cercherà di trovare risposte e i carnefici di quella notte. 

Coel è riuscita a descrivere realisticamente il lungo e angosciante percorso per la ricostruzione di se stesse/i dopo che una persona ha disintegrato psicologicamente e/o fisicamente un’altra. E non ha rilevanza se è avvenuto per pochi secondi o se è una cosa che si è protratta nel tempo. Coel mostra questo logorio interiore anche attraverso l’utilizzo di oggetti: ad esempio la parrucca rosa, che contraddistingue Arabella, si sfilaccia man mano che gli episodi proseguono, proprio a simboleggiare il suo stato mentale, fino a quando si rasa a zero per “rinascere”.

L’autobiografia e il riprendere in mano la propria vita

Credits: HBO

La potenza e la drammaticità di I May Destroy You risiedono nel fatto che essa non si discosta dalla realtà, affrontando temi e taboo più che mai attuali: sesso non consensuale, lo stealthing – ossia il danneggiare o togliere il preservativo senza che l’altro/a abbia dato la sua approvazione -, la colpevolizzazione delle donne per i loro stili di vita, l’omossesualità, le mestruazioni durante un rapporto sessuale, la crisi climatica, il percorso psicoterapeutico, la burocrazia che ostacola una denuncia per violenza, il razzismo, lo stigma sulle vittime, l’omerta, il bullismo. Utilizzando immagini esplicite e dirette, Coel fa entrare in contatto gli spettatore con emozioni angoscianti, che chiunque ha provato dopo un abuso. Infatti, questa serie è una sorta di autobiografia, un tentativo di catarsi della regista, che è stata stuprata mentre stava realizzando la seconda stagione di un’altra sua serie, Chewing Gum, nel 2015. Probabilmente chi subisce abusi non avrà mai la giustizia che meriterebbe e non si sentirà mai compreso abbastanza, ma è ammirevole ciò che si riesce a creare dalle ceneri e quanto l’ “opera” finale può essere d’aiuto a tanti altri. 

Spaziando dai Daft Punk a Salmo, da Arlo Parks a Sampa the Great, anche attraverso le scelte musicali, I May Destroy You non lascia spazio a una visione mainstream della vittima. Infatti, è più corretto parlare di “sopravvissuta” per evidenziare la volontà di Arabella (e di tutte/i noi) di reagire, di prendersi cura di sé e di riprendere in mano la propria vita, nonostante la zavorra. Arabella non è stata danneggiata, non è debole, non è da compatire, non è intrappolata in uno stigma, ma è libera e ha un ruolo attivo nella sua esistenza.

di Elisa Carlino

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