Il Colle in fiera

Il Parlamento si prepara alle festività con un nuovo gioco da tavolo: l'elezione del prossimo presidente della Repubblica.

Il Parlamento si prepara alle festività con un nuovo gioco da tavolo: l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Se negli scorsi anni i grandi classici sono sempre stati la tombola e il mercante in fiera, quest’anno i giocatori puntano a un premio molto prezioso, il Colle del Quirinale. Poche regole e molti bari governeranno le trattative con schieramenti non definiti e numerosi battitori liberi.

Centoundici gli iscritti al gruppo Misto che vanno a costituire il 10% del totale dei convocati. A questi si aggiungono i quarantadue esponenti di Italia Viva. Quest’ultima, infatti, si sta sempre più staccando dal centrosinistra per convergere verso l’altro schieramento. La partita è ancora nelle sue fasi preliminari. In un gioco in cui a essere determinante è sempre l’ultima mossa: è difficile prevederne ora il vincitore. Ma alcune carte sono state già messe sul tavolo.

Prima di mostrarle è bene ricordare le poche regole. Dai primi giorni del prossimo anno il gioco si farà serio, in quanto sarà necessario eleggere un nuovo inquilino del Quirinale. Il mandato del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, infatti, scadrà il 3 febbraio, data in cui scatteranno i sette anni dal giuramento davanti al Parlamento in seduta comune. Le votazioni si terranno a Montecitorio, presiedute dai presidenti delle due camere – Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati.

La regola principale riguarda i requisiti per l’elezione: può essere eletto ogni cittadino italiano che abbia compiuto 50 anni e goda dei diritti politici e civili. Alla seduta comune partecipano i 630 deputati, i 321 senatori e 58 grandi elettori scelti dai Consigli regionali. Nelle prime tre votazioni, a scrutinio segreto, il quorum è dato dai due terzi del Parlamento, 673 elettori. Dalla quarta è prevista la soglia della maggioranza assoluta, 505. Dalle votazioni sono esclusi i presidenti di Camera e Senato.

Né il centrodestra, con 450 elettori, né il centrosinistra, con 476, sembrano avere i numeri per superare la quota necessaria. Pur essendo una figura di garanzia, quello del presidente della Repubblica rappresenta un tassello che ogni partito vuole occupare. Dalle sue decisioni dipenderanno le formazioni dei prossimi governi, in quanto a nominare il presidente del Consiglio è proprio il Capo dello Stato. E visto che, secondo sondaggi, i due schieramenti sono separati da una sottile linea di consenso, in generale, ma soprattutto nella prossima legislatura, avere un presidente del proprio colore politico rappresenterebbe una garanzia, più che democratica, di potere.

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, però, ha dichiarato che “per la prima volta la destra ha i numeri per la maggioranza”, anticipando un possibile spostamento dei suoi parlamentari. Solo così il centrodestra passerebbe dai 450 elettori ai 493, riducendo i numeri del centrosinistra più i 5 stelle a 433. Se così non fosse avrebbe fatto male i conti. Centoundici restano gli esponenti del gruppo Misto, molti dei quali, come i parlamentari di Alternativa, non fanno riferimento né al centrodestra né al centrosinistra. E potrebbero essere proprio i loro voti a ribaltare gli equilibri del gioco.

Mattarella BIS o semi-presidenzialismo Draghi

Le proposte più dibattute sono quelle relative alla rielezione dell’attuale presidente o al trasferimento di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale. Nonostante gli applausi e le richieste fatte dal pubblico della Scala di Milano, Sergio Mattarella ha già dichiarato di non avere intenzione di avventurarsi in un secondo mandato e, vista la sua condotta in questi sette anni, non vi sono motivi per dubitare delle sue parole. Difficilmente il Presidente sarà disposto a tornare indietro e a cambiare idea, anche perché questo rappresenterebbe un punto a sfavore per la sua credibilità istituzionale che ha saputo mantenere salda in tutti questi anni.

Sergio Mattarella

Anche l’ipotesi Draghi sarebbe legata al nome del Presidente uscente, perché un’eventuale nomina dell’attuale premier delegittimerebbe la scelta di cui si è fatto carico Mattarella il 13 febbraio scorso nel formare un governo di unità nazionale. Una scelta non semplice in una democrazia parlamentare, che segna un vero e proprio fallimento del sistema politico vigente. Tutto questo, infatti, indebolirebbe le tesi che hanno dato origine all’attuale governo, ovvero la necessità di portare avanti le riforme chieste dall’Unione europea e gli investimenti per la ripresa del paese post-pandemia. Questi, in teoria, andrebbero portati avanti dallo stesso esecutivo fino al 2023, anno di fine legislatura. 

L’ipotesi è quella di continuare l’esperienza di governo con Draghi direttamente al Colle. Un semi-presidenzialismo non proprio in linea con la Costituzione. Secondo il regolamento adottato con decreto del presidente del Consiglio il 10 novembre 1993, al posto di Draghi subentrerebbe Brunetta, in quanto ministro più anziano. Una volta effettuato il giuramento da parte di Draghi, il premier reggente dovrà dimettersi permettendo così al nuovo Capo dello Stato di avviare le consultazioni. A essere nominato premier potrebbe essere l’attuale Ministro dell’Economia Daniele Franco, mentre al MEF passerebbe Giancarlo Giorgetti e al MISE la dimaiana Laura Castelli.

Mario Draghi

Ad approvare il piano sarebbero i numeri due dei partiti più influenti in parlamento: Giorgetti e Di Maio. Ma a renderlo possibile sarebbe anche la voglia di molti parlamentari di far durare la legislatura fino al 2023, visto che a partire dalla prossima molti di loro non verrebbero rieletti a causa dei nuovi equilibri politici e del taglio dei parlamentari. Un’idea, questa, che non piace a Giorgia Meloni, unica leader che dalle urne guadagnerebbe posti in parlamento, e disposta a votare Mario Draghi solo in caso di elezioni anticipate.

Il ritorno del Cavaliere

Come è stato già detto, il centrodestra godrebbe di almeno 450 grandi elettori e se dovesse restare compatto potrebbe essere determinante. Un dato che non è sfuggito all’occhio imprenditoriale di Silvio Berlusconi, già da qualche mese in piena ‘campagna acquisti’ per veder realizzato l’ultimo suo grande sogno: quello di diventare presidente della Repubblica. Nonostante la condanna a quattro anni per evasione fiscale (che gli costò il posto in Senato) il Cavaliere può avanzare la sua candidatura dopo che il Tribunale di Milano nel 2018 ha accolto la sua richiesta ridandogli i diritti civili e politici. Secondo L’Espresso, infatti, “il consenso per Berlusconi non è superfluo”. Per arrivare a quota 505, il Cavaliere potrebbe cercare i voti tra gli elettori di Italia Viva e tra i numerosi esponenti del gruppo Misto. Gli ex di Forza Italia sono già in missione per convincere più parlamentari possibili. L’ex premier ha già conquistato i voti di Gianluca Rospi, Alessandro Sorte, Claudio Pedrazzini e Stefano Benigni. Proprio quest’ultimo, non potendo “tradire il percorso locale e nazionale compiuto con la luce del Cavaliere come guida”, ha dichiarato che lo voterebbe. 

Contro la sua candidatura, invece, ci sarebbe Alessandro Di Battista che, pur non essendo in Parlamento, potrebbe indirizzare i voti di alcuni ex 5 stelle che fanno capo a Nicola Morra e Barbara Lezzi. “Berlusconi ha pagato Cosa Nostra per molti anni. È incredibile che possa prendere il posto di un uomo al quale quella stessa organizzazione ha ucciso il fratello”, asserisce Di Battista durante una puntata di Piazza Pulita, riferendosi a una sentenza della Cassazione e all’uccisione di Piersanti Mattarella.

Silvio Berlusconi

Atteggiamento del tutto diverso quello assunto dal nuovo Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che, con timidezza, prende le distanze da questa candidatura. Il suo linguaggio sembra essere molto più vicino a quello di Enrico Letta , con cui condivide la mancanza di una proposta per il Colle. Conte, infatti, non riesce ad attaccare Berlusconi che, nel frattempo, cerca di addolcire i rapporti con i grillini. Anzi, afferma che “ha fatto molte cose buone”, attuando la più grande giravolta per il Movimento, che per anni ha avuto nell’antiberlusconismo uno dei suoi cardini. Non stupirebbe dunque se qualche pentastellato votasse per lui al Quirinale, magari proprio quelli vicini al Ministro degli Esteri Di Maio, che anche in questo governo sembra trovarsi a suo agio.

Bindi o Cartabia: la prima donna al Colle

Rosy Bindi

Tra le candidature che Enrico Letta potrebbe mettere in campo per rispondere al centrodestra c’è quello di Rosy Bindi, di cui sono noti gli scontri con il Cavaliere. “È sempre più bella che intelligente” affermò nel 2009 Berlusconi a Porta a Porta rivolgendosi alla ex presidente del Pd che con fermezza rispose: “Io sono una donna che non è a sua disposizione”. Ministra della sanità dal ’96 al ’00 e presidente della Commissione parlamentare antimafia, lei potrebbe essere capace di mettere d’accordo i tanti che vorrebbero finalmente una donna al Colle, ma anche Giuseppe Conte e alcuni ex grillini. Dal sondaggio fatto dall’Espresso agli esponenti del gruppo Misto, emerge come ben dodici sarebbero disposti a votarla, tra cui un’ex grillina che ha dichiarato: “Mai mi sarei immaginata di desiderare Bindi al Quirinale perché mai mi sarei immaginata che tra i papabili Bindi fosse il politico più a sinistra”. 

I nomi di Berlusconi e della Bindi spaccano e polarizzano, mentre quello della Cartabia acquieterebbe le trattative. La Ministra della Giustizia difficilmente potrà contare sui voti del Movimento 5 Stelle dopo gli scontri sulla Riforma. Dalla sua parte, però, potrebbe avere quelli del resto della maggioranza del Governo Draghi e, soprattutto, il beneplacito dell’uscente presidente Mattarella. Nonostante l’importante dichiarazione fatta ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia – “Non ho mai partecipato ad alcun dibattito politico, ma questo era un atto dovuto verso l’unico partito d’opposizione” – nelle ultime ore la possibilità di ottenere i voti anche da Giorgia Meloni sembra svanire, mentre sembra invece rafforzarsi quella per Berlusconi. Dal palco, infatti, la leader di FdI ha dichiarato di non volersi far sfuggire la possibilità di nominare finalmente un presidente della Repubblica “patriota” e vicino al suo schieramento, aggiungendo che quello di Berlusconi “è un nome che compatta il centrodestra e che rispecchia quello che stiamo cercando”.

Marta Cartabia

Casini o Pera per un ampio consenso

Se da una parte, però, la Meloni chiude ad ogni possibilità di trattativa con il centrosinistra, Matteo Salvini dall’altra chiede un tavolo con tutti i segretari di partito. “Non voglio un presidente della Repubblica amico della Lega, ma che garantisca tutti e che dia a chiunque vinca le prossime elezioni il diritto di governare il Paese”, ha dichiarato nel corso dell’assemblea del partito in Puglia. Parole fortemente condivise dal leader di Italia Viva, che sempre ad Atreju ha parlato di cercare il consenso più ampio possibile. Una posizione già esplicitata dai due leader quando Salvini ha chiamato l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, su cui punta anche Renzi, per dirgli: “Dal quarto scrutinio potresti essere il nostro candidato”. Un nome, questo, che incastrerebbe tutti i partiti: dal Pd che sarebbe costretto a votarlo vista la sua elezione nelle file dem, alla Meloni che dovrebbe piegarsi visti i numeri ridotti che ha in parlamento. 

Pier Ferdinando Casini

Il nome su cui, però, potrebbero realmente convergere tutte queste posizioni è quello di Marcello Pera. Questo, infatti, godrebbe di una certa credibilità istituzionale in parlamento vista la sua esperienza di presidente del Senato tra il 2001 e il 2006. Piacerebbe tanto a Berlusconi quanto alla Meloni, essendo un ex esponente di Forza Italia. Craxiano d’origine, Pera potrebbe contare sui voti di tutto il centrodestra, ma anche di Italia Viva, del PSI e di qualche renziano ancora nascosto tra le fila del Partito Democratico. Una possibile elezione, la sua, su cui poco si discute ma su cui forse si può maggiormente puntare, nonostante i tempi siano ancora prematuri e l’attuale Parlamento sia completamente ‘ingovernabile’.

Marcello Pera

Dal Commissario europeo per gli affari economici e monetari, Paolo Gentiloni, alla presidente del Senato, Maria Alberti Casellati. Dal giudice della Corte costituzionale, Giuliano Amato, alla vicepresidente della Regione Lombardia, Letizia Moratti. I nomi possibili da mettere in campo sono molti e analizzarli tutti potrebbe risultare inutile, dato che le carte dominanti verranno probabilmente messe in campo solo nelle fasi finali del gioco. Pur mancando poco al primo scrutinio, ciò che emerge dalle dichiarazioni dei diversi partiti rispecchia lo stato di un Parlamento sempre più instabile, frutto di un cambiamento del sistema politico in corso.

Le variabili di cui tenere conto si svilupperanno in base a come i partiti giocheranno la partita: se insieme, da soli, tra vecchi o tra nuovi schieramenti. Quella del Quirinale sarà solo la prima delle tante evoluzioni istituzionali e politiche che seguiranno nei prossimi anni. Le possibilità sono infinite, ma ciò che conta è che venga eletta una persona capace di rappresentare gli interessi della democrazia e di guidare l’Italia in una fase di delicata transizione politica e sociale, dato che il prossimo Presidente della Repubblica determinerà il corso di tre legislature, l’attuale e le due successive. Che vinca il Paese!

di Niccolò Monti

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*