Zwarte Piet: in Olanda un Natale ancora ai tempi del colonialismo?

Intervista a Quinsy Gario, artista e attivista che ha fondato la campagna 'Zwarte Piet is Racisme'. E' il momento di abbandonare l'eredità colonialista e dimenticare la figura di 'Pete il nero', l'aiutante di Babbo Natale che ancora oggi viene festeggiato pubblicamente, soprattutto nelle scuole, ignorandone la matrice razzista

Sono ufficialmente iniziate le Feste ma in alcune case i festeggiamenti sono già cominicati da un pezzo. Nei Paesi Bassi per esempio Babbo Natale è già arrivato e come sempre non è mai da solo. Ad accompagnarlo nella sua missione c’è Piet, uno schiavo, ma chiamiamolo aiutante, per giunta nero, attenzione, solo perché scendendo dal camino si è preso tutta la fuliggine. Un racconto a dir poco controverso che cerca di mascherare le vere origini di una tradizione che ha fatto discutere molti.

E in Olanda è infatti nata una campagna di sensibilizzazione contro il razzismo che questo personaggio ricorda. “Zwarte Piet is racisme” si muove soprattutto sui social ma anche in piazza. Per capire meglio cosa sta succedendo abbiamo intervistato il fondatore della campagna: l’artista e attivista Quinsy Gario.

Chi è veramente l’aiutante di San Nicola

Secondo la tradizione olandese SinterKlaas (San Nicola) dopo essere partito dalla Turchia e passato per la Spagna, arriva in Olanda, pieno di doni da regalare a bambini e adulti. Questi doni consistevano principalmente in dolci, biscotti e spezie provenienti da terre lontane. La figura di Zwarte Piet (Pete il nero), l’aiutante di San Nicola, non ha fin da sempre fatto parte del folklore natalizio olandese ma entra in scena per la prima volta nel 1851 quando un professore di Amsterdam, Jan Schenkman, introdusse questo personaggio illustrandolo in un suo libro intitolato “Sint Nikolaas en zijn Knecht”.

In quegli anni l’Olanda attraversava una fase di ricerca identititaria nazionale, indipendente dalla Spagna. Per farlo non bastava una nuova Costituzione e delle nuove leggi ma servivano usi e costumi propri. Si aspirava a quell’orgoglio nazionale tipico di quelle potenze mondiali che tutti conosciamo molto bene, dominanti oltremare, nonostante i pochi confini che essa contava. Un ideale di supremazia nel quale la popolazione olandese di maggioranza bianca voleva identificarsi e che finiva per riflettersi in ogni aspetto della cultura.

Per capire il motivo per cui molti ritengono lo Zwarte Piet una tradizione puramente razzista/colonialista è bene tenere a mente due non piccoli dettagli. Innanzitutto, fino a una settantina di anni fa, la reale maggioranza della popolazione olandese era indonesiana, visto che l’Indonesia era la principale colonia da cui si importavano beni di lusso, spezie, ecc. Questo resta un dato di fatto fino alla proclamazione d’Indipendenza d’Indonesia, nel 1945. In secondo luogo non bisogna dimenticare che l’Olanda giocava ancora un ruolo protagonista nel grande commercio degli schiavi all’interno di tutti i suoi territori, almeno fino al 1863 data storica dell’abolizione.

In verità non è difficile capire che per gli olandesi Piet sia sempre trattato di uno schiavo nero. E per intenderlo non servirebbe neppure elencare tutti i dettagli storici, basterebbe assistere ai festeggiamenti in città durante tutto il mese di dicembre, quando alle parate celebranti l’arrivo di San Nicola i partecipanti si travestono da Zwarte Piet con tanto di parrucche afro, grosse labbra rosse, abiti storici del XVII-XVIII secolo tipicamente indossati dagli schiavi e per finire la black face. Per non parlare dei numerosi episodi di razzismo legati a questa tradizione, soprattutto nelle scuole dove è capitato che bambini e adulti vengano umiliati e paragonati alla figura di Zwarte Piet.

Insomma sulla storia della fuliggine del camino sarebbe meglio stendere un velo pietoso.

Quinsy Gario e la sua campagna ‘Zwarte Piet is Racisme’

Le cose prendono un nuovo corso nel 2011, quando Quinsy Gario, artista e attivista olandese, decide di presentarsi ai festeggiamenti portando una maglia con la scritta “Zwarte Piet is racisme”, con lui altri sostenitori della causa. Il gesto non fu ben accolto dai partecipanti e ci volle poco perchè intervenissero le forze dell’ordine. Quinsy Gario venne arrestato e da quel momento la causa entra seriamente a far parte del dibattito nazionale.

La campagna “Zwarte Piet is racisme” aveva già cominciato a muoversi con largo anticipo, il 1 luglio 2011 giornata in cui l’Olanda commemora l’abolizione della schiavitù.

“Quella di Sinterklaas e Zwarte Piet è una semplice festa per intrattenere i bambini, dicevano, per cui non era ma il momento giusto per parlarne. – racconta Gario – Un argomento scomodo che nessuno voleva affrontare proprio per evitare di inciampare sulla parola razzismo. Specialmente durante il periodo di festa natalizio. Ecco perché il 1 luglio era l’occasione più adatta”.

Quello che ci racconta l’artista è che nessuno era disposto ad ascoltare le polemiche sollevate a proposito dello Zwarte Piet, come se bisognasse accettare e addirittura essere grati di avere una dedicata festività ignorandone completamente il carattere suscettibile che c’è all’origine.

Ma qualcuno doveva pur fare il guastafeste.

Dopo il suo arresto infatti la questione si accende ovunque: nelle case, nelle scuole, in tutti i media, persino in parlamento fino a oltrepassare i confini. In poco tempo la causa nazionale diventa internazionale e soprattutto europea. Aumentano le proteste e i dialoghi di confronto tra pensieri, approfondimenti storici, politici, sociali e scontri di generazione. Una presa di coscienza collettiva seguita da un rapido calo nel sostegno della tradizione assieme a un nuovo approccio sui temi dell’integrazione.

Prendono posizione anche i grandi colossi del web. Su Google, Amazon e sulla sua versione olandese Bol.com non verrano più venduti né sponsorizzati prodotti collegati alla figura di Zwarte Piet. Nemmeno Clavis, il grande editore olandese-belga di libri per bambini distribuirà più testi contenenti Zwarte Piet. E in molti sperano che questa versione della tradizione venga del tutto abbandonata.

“Il mio intento non è mai stato quello di formare un’organizzazione proprio perché non volevo rischiare la stagnazione della causa. – spiega l’artista – Cercavo di raggiungere il maggior numero di persone in tutti i modi possibili, indossando una maglia, tramite la mia arte e i miei scritti, parlarne e riparlarne, all’università, con i colleghi, su Facebook e oggi su altre piattaforme. Poi nelle conversazioni non cercavo più di convincere gli altri che Zwarte Piet è razzismo ma volevo che gli altri mi convincessero che non lo fosse. Ed è lì che cercando le giustificazioni più irragionevoli si svelava l’incoerenza tra il ‘non essere razzista’ e il ‘fare o dire cose razziste’. Molte persone se ne sono accorte.”

“E’ ovvio che non tutti gli olandesi sono pronti ad abbandonare questa tradizione, soprattutto le generazioni più anziane oppure quelli lontani dall’eterogeneità della città ma la grande partecipazione a questa campagna è molto più incoraggiante. Inoltre c’è un’estrema diversità fra i sostenitori della causa. Questo avviene perché non è questione di neri contro bianchi, ma è un’opposizione a qualsiasi forma di razzismo, che oltretutto viene insegnata ai bambini.”

Dal 2011 fino ad oggi molte cose sono cambiate. Nonostante Zwarte Piet continui ad essere celebrato in qualche città è sempre meno apprezzato. Ogni anno persistono le proteste richiedenti l’abolizione della tradizione e nonostante gli intenti pacifisti dei protestanti, le celebrazioni finiscono spesso in violenti scontri.

La grande speranza però proviene dalle voci più giovani, più sensibili a queste tematiche. Dopo la popolarità raggiunta dalle manifestazioni Black Lives Matter e i sempre più rilevanti movimenti attivi contro le disparità sociali, si instaura tra i sostenitori delle diverse cause una quasi automatica solidarietà e un appoggio reciproco.

Le discriminazioni non sono più tollerate. Quanto all’utopico futuro della società, non c’è spazio per le eredità colonialiste.

di Issraa Zorgui


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