2021, fuga dal lavoro: boom di licenziamenti volontari anche in Italia

Il fenomeno “Big Quit” o “Big Resign”, nato oltreoceano, si è diffuso a macchia d’olio in tutto l'occidente. “Licenziarmi mi ha fatto bene. Ho trovato un mio equilibrio. Ero entrata in un circolo vizioso di lavoro e paura" racconta Margherita

Biq quit

Lavoratori di tutto il mondo, licenziatevi. Parafrasando il motto socialista, si potrebbe riassumere così l’esodo dal lavoro di milioni di persone in tutto il mondo.  Il fenomeno, “Big Quit” o “Big Resign”, nato oltreoceano, si è diffuso a macchia d’olio in tutto l’occidente. Proprio nel momento in cui le aziende faticano a trovare personale qualificato. La questione è trasversale: ad abbandonare il proprio impiego non è solo il personale del settore sanitario, il più colpito in termini di stress dalla pandemia. Le dimissioni di massa abbracciano ogni settore, con un forte incremento nella fascia dei 30-45enni impiegati di livello medio. La vera chiave di lettura del fenomeno si scoprirà fra qualche tempo, quando si potrà verificare se le dimissioni verranno seguite da una transazione ad altre posizioni lavorative. L’unico dato certo è che la tendenza è strettamente correlata alla pandemia in atto.

I numeri del Big Resign

A giugno 2021 circa quattro milioni di americani si sono dimessi. Il 20% in più rispetto allo stesso periodo del 2019, quando “coronavirus” era un termine quasi del tutto sconosciuto.

Medesima tendenza anche nel vecchio continente: tra luglio e settembre 2021, nel Regno Unito si sono resi disponibili 1,1 milioni di posti di lavoro, e anche in Germania le imprese che lamentano una carenza di personale sono più di una su tre. L’Italia, con quasi mezzo milioni di dimissioni volontarie tra aprile e giugno, segue il trend. Un incremento del 37% rispetto al trimestre dell’anno precedente.

Le motivazioni

La genesi di questa migrazione è ancora da chiarire. Un’analisi statunitense di un campione di mille dimissionari ha evidenziato come causa principale il burnout (40% degli intervistati). E quasi una persona su tre ha lasciato senza avere un’alternativa occupazionale. Un salto vero e proprio nel vuoto.

L’interpretazione più valida, anche se è affrettato trarre conclusioni, è che il lockdown del 2020 abbia stravolto le priorità delle persone. Rimanere confinati nelle proprie mura domestiche è stato provante sotto ogni punto di vista. Ma, allo stesso tempo, il ritmo delle abitudini ordinarie ha cominciato a battere più lentamente. Niente più corse nel traffico. Più tempo da dedicare ai figli e alla famiglia. Più tempo da dedicare a se stessi. Una qualità della vita in questo senso decisamente migliore. E per questo, molti non sono stati disponibili a tornare alla vita di prima. Indeed, al termine di un’indagine statistica, ha rimarcato che una delle motivazioni principali è stata la ricerca di un lavoro più gratificante.

Il lockdown è stato un lampo nel cielo cupo della routine serrata di milioni di dipendenti. È cresciuta la voglia di indipendenza e di flessibilità. Ne è conferma il picco di aperture di partite iva nel secondo trimestre del 2021 (dati dal MEF).

Come detto, l’argomento va analizzato a fondo. Lo afferma anche il dottor Massimo Penna, psicologo che lavora presso l’Ausl di Modena, “bisogna comprendere quali sono le cause delle dimissioni. Queste persone avevano la garanzia di essere mantenute da qualcuno? Com’era la loro situazione socio-economica? Può darsi che ci sia una grossa percentuale anche di lavoratori insoddisfatti che però non si può licenziare perché necessita dello stipendio”. Viene da domandarsi come mai questo fenomeno vada proprio in coda al primo lockdown, nel cuore della pandemia. “Il covid ha fatto impennare i casi di sindromi depressive. Si brancola nel buio, non si conosce la fine di questa emergenza sanitaria. Cresce il senso di insoddisfazione e di impulsività, di conseguenza si prendono con maggior decisione scelte drastiche come l’abbandono del posto di lavoro”. In buona sostanza, si solletica la sorte quando non si ha nulla da perdere.

La testimonianza di Margherita

Margherita è una ragazza impiantata a Piacenza. Ha trentadue anni, sposata, due figli. A marzo di quest’anno ha lasciato il lavoro a tempo indeterminato, faceva la commessa in un negozio che vende caffè: “La pandemia colpisce anche per la rinascita di alcune paure” confida. “Dieci anni fa soffrivo di attacchi d’ansia, i quali si sono riproposti con il covid. Avevo paura del contatto. Ero alcol dipendente (disinfettante, ndr), pulivo tutto con compulsione”. Malgrado gli sforzi per tenere il covid fuori casa, la malattia è riuscita a scardinare il muro di protezioni e ha fatto ammalare il marito e il figlio più grande. “Gestire la malattia chiusa in casa mi ha sfibrato a livello mentale. È stato il colpo di coda che mi ha spinto a prendere la decisione di licenziarmi”.

L’ex commessa si è lanciata senza paracadute, non aveva alcuna alternativa di lavoro dopo le dimissioni. “Ma licenziarmi mi ha fatto bene. Ho trovato un mio equilibrio. Ero entrata in un circolo vizioso di lavoro e paura. Mi ha permesso di fermarmi, tirare un bel respiro e prendermi cura di me stessa”.

Margherita ha mantenuto lo status di inoccupata per sei mesi. Al momento lavora in un asilo nido. È precaria. “È una situazione che non mi preoccupa. Lavoro più di prima e sono senza garanzie, ma lo stacco mi ha permesso di ridefinire le mie priorità. Ora faccio un lavoro gratificante che non sento pesare affatto”.

di Valerio Righini

1 Commento su 2021, fuga dal lavoro: boom di licenziamenti volontari anche in Italia

  1. Buongiorno. ho trovato l’articolo estremamente interessante. Posso sapere quali sono le fonti dei dati riportati nel trafiletto “i numeri del Big Resign” ? Grazie

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