Codice Rosso e revenge porn: quando la legge non basta

Il revenge porn o pornografia non consensuale è un fenomeno in rapida diffusione con conseguenze gravissime sulle vittime. Senza un’efficace prevenzione educativa e un conseguente cambiamento culturale non sono sufficienti interventi normativi a contrastare tale piaga sociale

‘Il Codice Rosso e il revenge porn: aspetti giuridici e applicativi’, questo il titolo dell’incontro seminariale che si è tenuto il 9 dicembre scorso con l’avvocata Maria Rosaria Nicoletti, consiglieradell’Ordine degli Avvocati di Parma, organizzato e moderato da Fausto Pagnotta docente di Sociologia della comunicazione e dei nuovi media all’Università di Parma, nell’Aula E della sede centrale dell’Ateneo cittadino, all’interno del Corso di Laurea Magistrale in Programmazione e Gestione dei Servizi Sociali del Dipartimento di Giurisprudenza, Studi Politici e Internazionali. Un’approfondita relazione, quella tenuta dall’avvocata Nicoletti, su un tema tristemente attuale e in rapida diffusione.

Dopo i saluti inziali del professor Pagnotta, che ha ricordato come “il Seminario si inserisca tra le attività patrocinate dal Comitato Unico di Garanzia per le Pari Opportunità dell’Università di Parma (CUG) impegnato in prima linea sui temi della prevenzione e del contrasto alla violenza di genere nelle sue diverse forme”, ha preso la parola l’avvocata Nicoletti che ha spiegato come il cosiddetto ‘Codice Rosso’ nasca con “la Legge del 19 luglio 2019, n. 69 che prevede ‘modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere’”.

L’avvocata Nicoletti chiarisce subito che “questa legge è una tappa fondamentale in materia di tutela delle vittime di violenza di genere e di violenza domestica: è indicativa della particolare attenzione posta dal legislatore sul dilagante fenomeno della violenza di genere, che si manifesta, in modo particolare in ambito famigliare o nei confronti delle persone vulnerabili”.

L’affermazione acquista ancora più rilievo, se si tiene conto del fatto che “il 3 dicembre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge volto all’introduzione di una nuova serie di misure aventi lo scopo di prevenire e contrastare questo tipo di violenza. Trattandosi di un disegno di legge occorrerà naturalmente attendere gli esiti della discussione parlamentare per comprendere quali norme verranno effettivamente emanate”. 

“Il nostro legislatore è giunto a questo importante punto d’approdo, da una parte, – spiega l’avvocata – sotto la spinta, le sollecitazioni e gli adeguamenti recepiti in attuazione degli obblighi comunitari e le sanzioni sovranazionali, dall’altra, per effetto della pressione mediatica dei gravi fatti di cronaca, che quotidianamente leggiamo sui giornali”.

In linea generale, occorre premettere che nel nostro codice penale non esiste una vera e propria nozione di violenza di genere ma ci sono reati che, “per il genere della vittima, per le modalità dei fatti ma, soprattutto, per la loro statistica diffusione nei confronti di un determinato genere, vengono considerati come violenza di genere, tra questi: i maltrattamenti in famiglia, gli atti persecutori, meglio noti come stalking, i reati di violenza sessuale, il reato di illecita  diffusione nondi immagini e video a contenuto sessualmente esplicito ovvero di revenge porn”.

Gli effetti del Codice Rosso sul Codice di procedura penale

Con questa legge, tra le altre, sono state introdotte alcune norme che assicurano “un’accelerazione nella trattazione dei procedimenti penali aventi ad oggetto tali reati, quasi ad evocare con il terminecodice rosso una sorta di triage ospedaliero d’urgenza. Una trattazione privilegiata, velocizzata sotto certi aspetti, perché attraverso il Codice Rosso è stata introdotta, al Codice di procedura penale, una norma che stabilisce che, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, la persona offesa che ha fatto denuncia deve essere sentita dal pubblico ministero oppure dalla polizia giudiziaria delegata.

“Si tratta di tre giorni non perentori – specifica Nicoletti – cioè non devono essere rispettati a pena di sanzione processuale. È un termine di natura ordinatoria, indicativo di una specifica volontà del legislatore, quella di sollecitare le autorità procedenti a prendere in caricoprima possibile le notizie di reato riguardanti queste specifiche fattispecie di reati”.

Altri aggiornamenti introdotti da questa legge riguardano l’ampliamento delle informazioni che in accoglimento della Direttive Vittime del Consiglio Europeo 2012 devono essere fornite alle vittime di reato di violenza di genere fin dal primo contatto con l’Autorità procedente. Nel caso specifico è stata aggiunta l’informazione di più ampia portata sullesistenza di servizi di assistenza sul territorio.

Peraltro in linea con tale tendenza recentemente anche la Corte Costituzionale con sentenza dell’11 gennaio 2021 nr. 1 è intervenuta in tema di patrocinio a spese dello Stato, facendo salvo l’automatismo previsto dalla legge che riconosce l’ammissione a tale beneficio per le persone offese da reati di violenza di genere, a prescindere dai limiti di reddito, “il che vuol dire avere la possibilità di sostenere la propria difesa, di rivolgersi ad un avvocato il cui onorario sarà a carico dello Stato” precisa l’avvocata Nicoletti.

C’è anche un rafforzamento cautelare. Il legislatore ha cercato di ampliare infatti il campo di operatività ed applicazione delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa coniugale o del divieto di avvicinamento ai luoghi della persona offesa. Si è cercato ad esempio di intensificare l’uso del braccialetto elettronico. “Anche se – chiarisce l’avvocata – essendo uno strumento su cui bisogna investire anche economicamente delle risorse, non sempre da parte dell’amministrazione giustizia si ha la possibilità di poter intervenire in questo senso”.

Gli interventi del Codice Rosso sul Diritto penale

Il Codice Rosso interviene in modo incisivo anche sul Diritto penale, introducendo nuove fattispecie direati e producendo un sensibile inasprimento delle pene, attraverso l’introduzione di aggravanti e l’aumento dei minimi edittali: per esempio, in materia di violenza sessuale o di stalking. Nei casi di maltrattamenti famigliari inserisce un’importante novità: il reato commesso in presenza di minori è già di per sé un’aggravante. Con il Codice Rosso si specifica che il minore è persona offesa, anche se non subisce maltrattamenti direttamente, ma assiste a questi in famiglia. In quanto tale può diventare anche parte processuale, assumendo il pieno diritto di potersi costituire parte civile in giudizio.

I reati introdotti dal Codice Rosso sono fondamentalmente quattro. Il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Un altro reato è la costrizione o l’induzione al matrimonio: “Si pensi al caso di Saman Abbas, a Reggio Emilia, in cui la costrizione al matrimonio è sfociata purtroppo nell’uccisione della ragazza”.

È stato introdotto come figura autonoma di reato, il reato di deformazione e sfregio permanente al viso: “Pensiamo al caso di Lucia Annibali ma non solo” ricorda l’avvocata Nicoletti.

Infine, il reato di diffusione illecita di immagini e video a contenuto sessualmente esplicito, meglio noto come revenge porn.

Il revengeporn: il nuovo reato più dibattuto

“Il reato di revenge porn è sicuramente quello che maggiormente ha destato attenzione perché è risponde all’esigenza far fronte ad un fenomeno molto diffuso” precisa Nicoletti.

“Revenge porn è un neologismo angloamericano per indicare porno vendetta o la divulgazione non consensuale, con finalità vendicative, di immagini sessualmente esplicite. Con l’introduzione di questo reato il legislatore si è posto lo scopo specifico di arginare un particolare aspetto del più ampio fenomeno della violenza tecnologica.”

Nicoletti spiega come anche un ordinario modo di relazionarsi nei rapporti intimi di coppia attraverso lo scambio  di messaggi a contenuto sessuale può rischiare di trasformarsi in condotta illecita: “Il sexting, cioè l’invio di foto, video, messaggi sessuali tra partner, non crea nessun problema nel momento in cui esiste un reciproco affidamento di riservatezza e la sicurezza sul fatto che le immagini inviate non siano diffuse a terzi estranei: sotto questo profilo la condotta è assolutamente lecita. I problemi sorgono nel momento in cui questo patto di riservatezza viene violato da parte di uno dei partnere la diffusione avviene senza il consenso della persona ritratta. Allora, la condotta assumerilevanza penale.”

Il reato di diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito è rubricato nell’art. 612 ter del Codice penale il quale prevede “la reclusione da uno a sei anni per chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invii, ceda, consegni, pubblichi, diffonda immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso della persona rappresentata. La stessa pena è prevista per chi, avendo ricevuto e, comunque acquisito le immagini e i video intimi invii, consegni, ceda senza il consenso delle persone rappresentate, al fine di arrecare loro nocumento”.

Inoltre, “la pena è destinata ad aumentare – sottolinea la consigliera – se i fatti sono commessi dal coniuge anche separato o divorziato, o da persone che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici”.

La pena è ulteriormente aggravata se i fatti sono commessi in danno di persona affetta da infermità fisica o psichica o in danno di donna in stato di gravidanza”.

Si ricordano altri due aspetti normativi importanti in relazione a tale reato, e cioè che “fatta eccezione dell’ultima ipotesi aggravata sopra citataper cui è stabilita la  procedibilità d’ufficio, in tutti gli altri casi si procede a querela di parte, cioè è necessario proporre una querela affinché il procedimento penale venga avviato e proseguito. Il termine per proporre la querela è di sei mesi e la remissione può essere soltanto processuale.”

Affinché si configuri il reato di revengeporn, in estrema sintesi due sono gli elementi fondamentali che si devono realizzare: la mancanza del consenso della vittima e un contenuto di natura intima delle immagini. Su questo punto l’avvocata Nicoletti aggiunge che “il legislatore non ha inteso offrire una definizione di che cosa si debba intendere per sessualmente esplicito lasciando al giudice la valutazione caso per caso del carattere sessuale delle immagini diffuse rilevante ai fini della configurabilità del reato. In generale non dovrebbero sussistere dubbi dinanzi ad immagini che riprendono un rapporto sessuale, di autoerotismo, di corpi nudi o parti di essi riconducibili all’eccitamento sessuale. Diventa un po’ più complicato nel momento in cui, per esempio, ci si trova di fronte a immagini con pose ammiccanti, provocanti in cui non si intravedono delle nudità. Però questo non significa che non possono avere in alcuni contesti un carattere marcatamente sessuale.”

Gli effetti devastanti sulle vittime, gli strumenti interdisciplinari e preventivi

 Si tratta di condotte che possono poi avere un impatto veramente devastante sulle vittime: il senso di vergogna, l’umiliazione, l’insicurezza personale, l’apprensione, la percezione di essere costantemente sotto sorveglianza. Ne consegue il ritiro dalla vita pubblica ma anche dalla vita online, perdendo così opportunità di lavoro, di socialità, vista l’importanza oggi degli strumenti digitali della comunicazione. A volte, alla pubblicazione delle immagini si associano anche la diffusione delle informazioni sulla vittima: vengono comunicati nomi, indirizzi, numeri di telefono, mail. In questo modo la vittima dopo la pubblicazione può subire altre forme di aggressione e quindi diventare doppiamente vittima di reati di stalking fisico e virtuale, di attacchi sessuali, di minacce, di molestie. Sui minori una condotta di questo genere può essere causa di un trauma, di un blocco nel percorso di crescita e di formazione della personalità. Per chi ne è vittimasi giunge a forme di depressione, di attacchi di panico, di ansia fino alle situazioni più estreme, come tentativi di suicidio.

Su tale fenomeno il professor Pagnotta ricorda alcuni dati recenti del Report elaborato dalla Polizia Criminale che “rivelano come a poco più di due anni dall’entrata in vigore del cosiddetto ‘Codice Rosso’ si registri un incremento rilevante dei casi di revenge porn con un +45% rappresentato dai complessivi 2.329 reati denunciati da vittime di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, che nel 73% dei casi sono donne, per l’87% italiane e per l’82% maggiorenni”. Ma il docente avverte come tale fenomeno “sia in rapida diffusione tra i minori con conseguenze che impattano in modo assai negativo sull’integrità psicofisica delle vittime e più in generale sulla loro qualità della vita insieme a quella dei familiari”.

Per questi motivi, a conclusione della sua relazione, l’avvocata Nicoletti rileva che “solamente il piano della repressione non è sufficiente. Occorre assolutamente investire in strumenti di prevenzione, educazione e sensibilizzazione. Si sta valutando anche di rendere partecipi gli stessi Internet Service Provider, cioè i fornitori delle piattaforme di questi contenuti e, in una funzione preventiva, fare in modo che anche questi svolgano campagne di sensibilizzazione in aggiunta a un uso corretto delle loro piattaforme. Pertanto, la trasparenza dei gestori delle piattaforme, una cultura della legalità e del pluralismo digitale, una sempre maggiore alfabetizzazione tecnologica, in sintesi un’ecologia all’uso della rete possono essere degli adeguati strumenti per opporsi a questi fenomeni degenerativi e seguire quel percorso evolutivo che può portare, non dico alla soluzione del problema, però sicuramente a un suo contenimento”.

Infine, nelle conclusioni, il professor Pagnotta ricorda che “all’interno del sistema scolastico e formativo di ogni ordine e gradoci sarebbe bisogno di una figura professionale di docente che sul piano formativo si facesse carico di una disciplina come l’educazione digitale, che non si può risolvere solo nel discorso tecnico, e quindi tecnologico, ma che innanzitutto richiederebbe un innovativo percorso formativo universitario dedicato,con competenze multidisciplinari di tipo sociologico, pedagogico, psicologico, umanistico nonché tecnologico”. Per il docente “questo dovrebbe essere uno dei punti imprescindibili da cui iniziare per ripensare la scuola, rispetto alle esigenze educative e formative che oggi sono richieste dalle sfide dell’Era digitale, perché sia sul piano educativo che formativo”, ha concluso il professor Pagnotta, “non ci si può più affidare a interventi di tipo estemporaneo o comunque lasciati all’autonomia scolastica o a dirigenti lungimiranti che chiamano esperti e/o intrecciano rapportidi collaborazionecon la Polizia postale e delle comunicazioni. Ci vorrebbe a livello nazionale un percorso formativo ed educativo organico, permanente e strutturato che veda protagoniste assieme, in una reciproca collaborazione, Scuola e Università”.

di Michela D’Albenzio

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