Buffa strega il Regio: protagonisti Riva e De André

Il legame tra Gigi Riva e Fabrizio de André protagonista nello spettacolo teatrale di Federico Buffa, andato in scena mercoledì scorso al Regio di Parma.

Una cosa che si dice spesso riguardo Federico Buffa è lo ascolterei per ore mentre racconta, non importa quale sia l’argomento. Ecco, immaginate che i temi raccontati siano Luigi Riva e Fabrizio De André. Risultato? Si resta incollati al palco del teatro per più di due ore e alla fine lo si tributa con una lunga standing ovation. Esattamente quello che è successo mercoledì 09 febbraio al Regio di Parma.

Lo spettacolo: Riva e De André, Amici fragili

La storia su cui si è concentrato il giornalista di Sky Sport è stata proprio quella sull’amicizia e l’incontro tra Riva e De André. Mercoledì scorso il teatro regio di Parma, quasi al completo, ha ammirato e ascoltato lo spettacolo intitolato Amici fragili e organizzato da Caos Organizzazione Spettacoli, nell’ambito della rassegna Tutti a teatro 2022.

Lo spettacolo, allestito in 11 parti, con la partecipazione di Marco Caronna (voci, chitarre, percussioni e regia) e Alessandro Nidi (pianoforte, tastiere) si focalizza proprio sull’unico incontro avvenuto tra Faber e Rombo di Tuono, ma spazia sulla vita di entrambi, sulle cose che avevano in comune, sull’importanza delle rispettive terre d’origine, o d’adozione.

Il monologo presenta anche una forte componente scenografica, con giochi di luci che vanno a creare i disegni diversi di volta in volta, a seconda del tema. La musica, ovviamente, riveste un ruolo fondamentale: ottima è l’esecuzione di alcuni dei brani più significativi del cantautore genovese da parte di Marco Caronna e Alessandro Nidi.

Ma cos’hanno in comune Luigi Riva e Fabrizio De André? A primo impatto poco o nulla: sono nati a pochi anni di distanza ed entrambi sono stati delle eccellenze italiane. Andando più in profondità si potrebbe dire che entrambi avevano il vizio del fumo, un carattere schivo e riservato; che il rosso e il blu erano i colori della loro vita, anche se con sfumature diverse. Sicuramente anche il calcio occupa un posto centrale nelle loro vite, più per Riva, ma non solo. C’è poi la Sardegna, “quella terra apparentemente così lontana, nel mezzo del Mediterraneo, fatta di una pietra antichissima, che si rivelerà essere così centrale nella vita di entrambi”, spiega Federico Buffa, giornalista e probabilmente principale esponente dello storytelling italiano dedicato al mondo dello sport

Locandina dell’evento

Due anime solitarie, due mondi lontanissimi, ma allo stesso tempo molto vicini. Riva era all’epoca – e immaginiamo tutt’ora – un grande appassionato di musica e di Fabrizio de André. “Gigi ascoltava in modo particolare Preghiera in gennaio, scritta da De André di ritorno dal funerale dell’amico Luigi Tenco e la riteneva il brano più bello sull’amicizia. Riva era affascinato dalle persone giovani troppo presto rapite dal destino come lo stesso Tenco, il pilota automobilistico Lorenzo Bandini e il calciatore Luigi Meroni”. Con queste parole il giornalista ci fornisce un primo punto d’incontro tra i due.

Il famoso incontro in questione avvenne il 14 settembre 1969 nella casa di Fabrizio, a Genova. Riva si trovava lì quella domenica per la partita di Serie A tra Sampdoria e Cagliari e l’incontro venne organizzato da Beppe Ferrero, giocatore che in quell’anno militava nel Genoa, ma che l’anno prima aveva giocato in Sardegna con lo stesso Riva.

I due, racconta Buffa, parlarono poco, almeno all’inizio. Poi, tra sigarette, whisky, musica, calcio, amicizia e donne, vanno avanti fino all’alba. Scoprono di aver avuto entrambi una grande ammirazione per un giocatore degli anni ’60, Luigi Meroni. Parlano delle rispettive preferenze musicali, dei lutti che sembrano perseguitare le vite di entrambi. Uno dei momenti più alti e toccanti arriva quando l’ipotetico Riva – interpretato da Buffa – parla, tramite una cabina telefonica, con il padre morto. Quel papà scomparso troppo presto, prima di poter vedere suo figlio diventare uomo e leggenda, prima che Gigi potesse sentirsi dire quanto fosse stato bravo.

Il calcio: un mestiere e una fede

Si parte da Riva, che nasce a Leggiuno, sulle rive del Lago Maggiore, nel 1944. Qui inizia fin da piccolo a giocare a calcio e a farsi notare, nonostante le difficoltà in famiglia, dovute alla morte del padre e al fatto che la madre fosse costretta agli straordinari in fabbrica per poter assicurare il minimo indispensabile ai figli. Luigi viene mandato in un collegio religioso a Viggiù, molto severo, dove fa fatica ad ambientarsi. Dirà in seguito che quelli furono gli anni peggiori della sua vita e che cercò più volte di scappare.

“Quando gli altri bambini giocavano a calcio lui rimaneva isolato, finché un giorno furono ‘costretti’ a chiedergli se volesse giocare per essere un numero sufficiente. Gigi fece, come sempre, una caterva di gol; da quel giorno era sempre il primo ad essere scelto. Questa fame, questa voglia di dimostrare di essere all’altezza se la porterà per tutta la carriera”, racconta Buffa.

La sua vera carriera come calciatore parte dal Legnano, in Serie C, ma quasi immediatamente viene notato dal Cagliari, che decide di portarlo in Sardegna. In quegli anni la squadra sarda militava in Serie B – non si era mai affacciata al massimo campionato – e l’isola versava in una condizione di arretratezza e isolamento, non legata solamente alla sua posizione geografica. Esplicativo il fatto che per compiere la rotta Miano-Cagliari negli anni ’60 fossero necessari due scali aerei.

Foto gruppo facebook Fanclub Gigi Riva

Andare in Sardegna, come nel caso dei militari o delle forze dell’ordine, era vista come una sorta di punizione. “Mentre sorvolavano l’isola in aereo Riva vide tutto buio, con poche luci accese e disse ‘Ma cos’è questa, l’Africa?”. Arrivato a Cagliari le prime sorprese, negative: le strade sono sterrate, il campo dell’Amsicora, nome dedicato ad un eroe cartaginese, in terra battuta. Un suo compagno e capitano argentino, Longo, che negli anni prima aveva giocato alla Juventus, dopo averlo visto giocare gli disse: “Con quel piede sinistro tu ci porterai in Serie A, così saranno obbligati a mettere l’erba sul prato, tu segnerai tanti gol, anche alla Juve e loro ti vorranno”. Mai profezia sarà più giusta.

Tranne il fatto che Gigi alla Juventus non ci andrà mai, nonostante delle offerte faraoniche da parte di Agnelli. Anzi, segnerà la doppietta decisiva nel 2-2 di Torino che consegna lo storico successo del campionato al Cagliari, il primo di una squadra del sud Italia. Rombo di tuono era stato decisivo anche per la prima vittoria dell’Italia all’Europeo del 1968, quello giocato in casa, segnando anche in finale. È bene ricordare che Luigi Riva è tutt’ora il miglior cannoniere nella storia della nazionale italiana.

Se non Genoano cos’altro?

Fabrizio poteva nascere solo tifoso del Genoa, è il 18 Febbraio 1940, De André nasce in casa, ed essendo domenica si giocava in Serie A. Il Genoa è primo in classifica, insieme al Bologna: quel giorno vince a Novara 0-1, ma un errore tecnico dell’arbitro invalida il risultato. Un antipasto di come sarà la vita da genoano, fatto di poche gioie e tante sofferenze; da quel giorno il Genoa non è più stato primo in classifica”.

Il calcio, e in particolar modo il tifo per i rossoblù, ha un ruolo fondamentale in Faber, anche se questa sua passione non entrerà mai nei suoi testi. Perché? “Calcio e musica devono stare separati: al Genoa avrei scritto una canzone d’amore, ma non lo faccio perché per scrivere si deve conservare un certo distacco“.

Un legame viscerale quello per il Grifone. Buffa racconta che “durante un concerto venne lanciata una sciarpa del Genoa, Fabrizio la raccolse come una reliquia dicendo “Belin, le mie sono solo canzoni, questa è fede”. Quella sciarpa, ecco magari non proprio la stessa, se la porterà con sé nel suo ultimo viaggio, quello definitivo.

Buffa Federico Marco Carona Nidi

De André non riuscirà mai a vedere il Genoa vincere uno scudetto (il decimo) ma una delle più grandi emozioni degli ultimi 30 anni sì. Anno 1992, Coppa Uefa, si gioca ad Anfield Road, Liverpool, il ritorno dei quarti di Coppa Uefa. I genoani hanno vinto 2-0 all’andata, a Liverpool nessuna squadra italiana ha mai vinto. Il punto di vista è quello di un Federico Buffa ragazzo a casa con i suoi: “Papà era genoano, ma per amore rinnega la sua fede, scegliendo di tifare Milan come mamma. La cosa va avanti per anni fino a quella sera, quando al gol di Aguilera esplose letteralmente con un’esultanza in genovese, tra lo stupore e l’indignazione di mamma. Aveva fatto coming out, ne fui felice”.

Quanto fosse forte la passione di Fabrizio per il Grifo lo si può intuire anche da un altro episodio. Durante i mesi di prigionia in Sardegna, tra tutte le cose che avrebbe potuto chiedere, o di cui aveva bisogno, non potevano mancare le sigarette e i risultati del Genoa.

La Sardegna: snodo cruciale…

Buffa ha già accennato all’arrivo di Riva in Sardegna, controvoglia e con tanti pregiudizi in testa. Sono bastati pochi anni però perché tutto cambiasse. Gigi è diventato in poco tempo l’idolo assoluto di un’intera isola, unendo anche davanti alle divisioni interne. Non è stato soltanto l’eroe del Cagliari, dove vive tutt’ora e dove la maglia numero 11 è ritirata in suo onore. Riva è stato l’emblema di un popolo, che finalmente poteva guardare con il petto in fuori l’Italia e il mondo intero: “Passava interi pomeriggi con i pastori della Barbagia a mangiare pane e formaggio”, ricorda il volto di Sky.

I sardi potevano finalmente prendersi delle rivincite. Per esempio agli scherni e gli insulti continui che ricevevano in ogni campo d’Italia: banditi e pecorai erano i più frequenti. “Se c’è una partita dove questo fu estremamente evidente è quella dell’ottobre del 1970. Il Cagliari è campione d’Italia in carica e si presenta a San Siro contro l’Inter; quel giorno emigrati sardi da tutta Europa accorrono allo stadio che volevano testimoniare la gratitudine a Riva e alla squadra che aveva messo la Sardegna sulla mappa dell’Italia. I giocatori lo percepirono e fecero una partita splendida, 0-3 con doppietta di Rombo di Tuono: delirio sugli spalti e soddisfazione enorme”.

Foto profilo facebook Fabrizio De André

… e seconda casa

Anche Fabrizio è molto legato alla Sardegna fin da ragazzo, quando la sua famiglia era solita andare in villeggiatura estiva in Sardegna, in Gallura. Il cantautore genovese sceglierà poi proprio quella zona del nord dell’isola per andare a vivere. Nel 1975 decide, insieme alla compagna Dori Ghezzi, di acquistare l’ampia tenuta dell’Agnata, vicino Tempio, dove costruisce il suo idillio.

I due si dedicano ad una vita agreste, basata sull’agricoltura, sull’allevamento e sul rapporto con la natura. Dirà: “Mi sento più contadino che musicista. Questo è il mio porto, il mio punto d’arrivo. Qui voglio vivere, diventare vecchio”. Qui sfortunatamente vivrà anche il periodo più duro della sua vita: il rapimento, condiviso anche con Dori, da parte dell’Anonima Sarda. Dopo 4 mesi di prigionia i due verranno liberati, dopo il pagamento del riscatto: da questa forte esperienza scaturirà una delle canzoni più belle di De André, Hotel Supramonte.

“L’incontro tra Fabrizio e Luigi dura tutta la notte, ma inconsciamente avevano la sensazione che quello sarebbe stato l’ultimo, che non si sarebbero più visti. Il finale viene sancito da uno scambio: Faber regala la sua chitarra e Rombo di Tuono la sua maglia numero 11“.

Buffa ricrea sul palco questo scambio di reliquie, piazzando la maglia bianca numero 11 sulla chitarra. Così come finisce l’incontro tra i due finisce anche lo spettacolo: il giornalista recita delle frasi di Sepulveda, parte la musica per l’ultima volta, le luci si spengono, sipario. Standing ovation, minuti e minuti di applausi scroscianti, come era prevedibile già dall’inizio.

di Pierandrea Usai

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