Eutanasia e cannabis legale, i referendum danno ancora voce al popolo?

Il 15 e il 16 febbraio sono stati dichiarati inammissibili i referendum sull’eutanasia e sulla cannabis legale. La sentenza assume tratti puramente politici, vediamo perché

Dal profilo Facebook di Marco Cappato

È notizia risaputa ormai che sono stati bocciati i referendum sull’eutanasia e la cannabis legale, ma le motivazioni alla base delle dichiarazioni di inammissibilità non sono ancora state del tutto chiarite. Il nostro obiettivo è fare luce per capire le (non) ragioni che hanno portato al no della Corte costituzionale e perché questa doppia bocciatura costituisce una riprova dello scarso interesse della classe politica verso le questioni più popolari e sentite dalla cittadinanza.

Per riuscirci è necessario fare un passo indietro. Il 15 febbraio è stato dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia legale. Si è giunti alla discussione in Parlamento sul fine vita grazie soprattutto alla campagna promossa dall’Associazione Luca Coscioni che si è impegnata per richiedere un referendum sull’Eutanasia legale. La campagna ha raccolto, in poco tempo, oltre un milione e 200 mila firme, depositate in Cassazione.

L’obiettivo del referendum è la legalizzazione dell’eutanasia, attraverso la parziale abrogazione dell’articolo 579 del Codice penale sul cosiddetto “omicidio del consenziente”. Il suicidio assistito è già legale in Italia, come previsto dalla legge 219/2017, ed è la cosiddetta eutanasia passiva che consente di interrompere le cure necessarie alla sopravvivenza (come l’alimentazione artificiale).

L’Associazione Luca Coscioni si è mobilitata per legalizzare l’eutanasia attiva che si verifica quando vengono somministrati farmaci che provocano la morte di chi la richiede, quindi l’aiuto medico attivo per la morte volontaria.

La Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile il referendum sull’omicidio del consenziente e, attraverso un comunicato stampa, ha chiarito le ragioni di questa decisione: “Non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.

Dalla pagina Facebook “Liberi Fino Alla Fine”

Sono bastate poche righe e un rocambolesco appiglio per sovrastare la volontà di un milione e 200 mila persone che avevano espresso il desiderio di rendere l’eutanasia legale. Un’iniziativa sostenuta da una mobilitazione popolare senza precedenti.

Alla sentenza sono seguite numerosissime polemiche che hanno portato il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato a tenere un’inedita conferenza stampa per approfondire le ragioni che hanno portato a questa decisione. Non si è fatta attendere la risposta dei Comitati Promotori Eutanasia e Cannabis legale. Abbiamo deciso di seguire entrambe le dirette per non correre il rischio di imbatterci in notizie errate o decontestualizzate da altre fonti.

Secondo Amato “l’omicidio del consenziente sarebbe stato legittimato ben al di là di quei casi. Il referendum sull’omicidio del consenziente apre all’impunibilità penale di chiunque uccide qualcun altro con il consenso”. Per riprovare questo giudizio sono stati portati esempi di sfide mortali di ragazzi su TikTok o il caso dell’amico ubriaco che chiede a un altro compagno di ucciderlo.

In realtà in entrambi i casi si tratterebbe di omicidio, ben lontano dal tema dell’eutanasia e all’aiuto alla morte per malati con patologie irreversibili, causa di dolore e profondamente invalidanti. Il quesito bocciato prevede una depenalizzazione del reato di omicidio del consenziente, al momento punito con la reclusione da sei a quindici anni, mantenendo comunque in vigore l’applicazione della norma sull’omicidio se il fatto viene commesso contro una persona minore di 18 anni, contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti.

Attraverso una Instagram story, Marco Cappato tuona contro Amato: “No, Pres. Amato: i nostri referendum non avrebbero consentito di uccidere chi è un po’ ubriaco (resta omicidio), non avrebbero legalizzato altre droghe (solo piante), non avrebbero avuto titoli fuorvianti nella scheda”. Sostanzialmente sono stati usati esempi falsi, non compatibili con i quesiti e totalmente fuori luogo.

Durante la conferenza stampa tenuta da Amato si è parlato anche del referendum sulla cannabis legale, bocciato il 16 febbraio. Così come per l’eutanasia, le ragioni sono a dir poco ambigue. La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum, ritenendo che questo avrebbe depenalizzato anche la coltivazione delle droghe pesanti.

Anche qui, qualche inesattezza. Il 28 ottobre, infatti, sono state depositate in Corte di Cassazione oltre 630.000 firme per un referendum che chiede:

  • la cancellazione delle sanzioni penali per le coltivazioni proibite dal Testo Unico sulle droghe del 1990;
  • la depenalizzazione dell’uso personale della cannabis;
  • l’eliminazione della sanzione amministrativa del ritiro della patente per chi usa sostanze proibite senza cancellare le pene previste per la guida in stato alterato.

Secondo Amato, invece, “il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”.

In realtà il referendum riguardava esclusivamente la cannabis e nessuna legalizzazione dell’eroina o della cocaina. L’accusa principale mossa in questo caso è di aver ‘barato’ sul titolo del quesito che avrebbe fuorviato gli italiani. Il titolo usato correttamente dalla Corte di Cassazione che sarebbe andato al voto degli italiani conteneva il termine “sostanze”, semplicemente perché non ci sono leggi specifiche sulla cannabis.

Naturalmente non si intendevano affatto legalizzare le altre sostanze o le cosiddette “droghe pesanti”. L’obiettivo era quello di eliminare la pena carceraria per l’utilizzo o la coltivazione delle sostanze presenti nelle tabelle 2 e 4, ossia la cannabis.

La domanda sorge spontanea: se la conferenza stampa, presto ribattezzata Amato show, è ricca di equivoci e allontanamenti dal vero, su quali basi hanno discusso i giudici della Corte costituzionale? Per di più la Corte era chiamata a esprimere un giudizio di ammissibilità e non un giudizio sul merito o sulla correttezza della norma.

Da un lato assistere live a entrambe le conferenze stampa ci ha permesso di farci spazio tra le innumerevoli notizie pubblicate in questi giorni, dall’altro lato fa davvero rabbia vedere negate, ancora una volta, due importanti libertà per ragioni prettamente etico-politiche.

Il referendum è il più importante istituto di democrazia diretta. Grazie a esso i cittadini, senza la mediazione del Parlamento, possono esprimere la propria opinione direttamente su una norma, un atto o una decisione da assumere. In realtà è ormai uno strumento che viene utilizzato solo dai partiti politici e non dai cittadini.

Il no ai referendum in materia di cannabis ed eutanasia legale ne sono la riprova: “L’ennesimo scippo democratico” e un’ulteriore testimonianza dell’incapacità di alcuni costituzionalisti. È facile intuire che non siano stati letti correttamente neppure i testi e a essere sbagliati non sono tanto i quesiti, quanto i giudizi emessi.

Ancora una volta risulta più facile non legiferare, nascondersi dietro i voti segreti che hanno affossato anche il DDL Zan, scrivere il nome di Amadeus durante l’elezione del Presidente della Repubblica o attaccarsi ai cavilli. Intanto perdiamo la possibilità di cambiare il nostro Paese o di vedere finalmente riconosciuti i nostri diritti, come la libertà di decidere fino alla fine della nostra vita.

Franco Corleone, parlamentare e sottosegretario alla giustizia, ha sottolineato, durante la conferenza stampa dei Comitati promotori dei referendum sull’eutanasia e sulla cannabis tenuta nella sede dell’Associazione Luca Coscioni, l’urgenza di “riportare l’attività della Corte nell’alveo del rispetto della Costituzione, perché questo allargamento improprio negli anni, per di più con la decisione di ieri, ha travolto la democrazia e lo Stato di diritto”.

Continuiamo a vivere nell’Italia dove le dichiarazioni del Papa sul fatto che “accelerare la morte non è né umano né cristiano, non dobbiamo confondere le cure palliative con derive che portano a uccidere” hanno un peso maggiore rispetto alle parole di Mario che si dice felice di poter disporre in modo dignitoso della sua vita, finalmente. Mario è tetraplegico da dieci anni dopo un incidente stradale e, per la prima volta in Italia, gli è stato dato il via libera del Comitato etico per il suicidio medicalmente assistito. Dopo 16 mesi è stato finalmente scelto il farmaco idoneo, il Tiopentone, a garantire una morte rapida e indolore.

È un vero peccato che il Presidente Amato si sia sentito “ferito ingiustamente nel leggere o sentire che chi ha preso la decisione non sa cos’è la sofferenza”. Risulta difficile immedesimarsi in questo profondo dolore quando un referendum viene dichiarato inammissibile citando un amico ubriaco che provoca ad un altro la morte e rimane impunito perché la povera vittima era consenziente.

Il tema cannabis assume dei tratti ancora più grotteschi ed è complicato pensare che, secondo la Corte, il referendum avrebbe legalizzato tutte le sostanze stupefacenti. Noi intanto continuiamo ad osservare delle leggi del 1930, anche se i tempi sono decisamente cambiati (e meno male!).

Come scrive Marco Cappato sul suo profilo Instagram “la Corte costituzionale presieduta da Giuliano Amato ha completato il lavoro di eliminazione dei referendum popolari. Dopo eutanasia anche cannabis. Hanno così assestato un ulteriore micidiale colpo alle istituzioni e alla democrazia”.

di Laura Ruggiero

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