SpaceX perde 40 satelliti: siamo preparati ai capricci del cosmo?

Il cielo non è immutabile. Lo sa bene Elon Musk, il magnate fondatore di SpaceX, che il 4 febbraio ha perso quaranta satelliti nuovi di zecca in una volta sola, a causa di una tempesta solare tutt'altro che straordinaria. Quanto siamo pronti ad affrontare i capricci del cielo?

Il Sole, così come appariva in luce ultravioletta il 18 luglio 2013, fotografato dalla sonda SOHO. (Foto: NASA)

Nelle culture umane il cielo ha sempre simboleggiato l’immutabilità, ma è sufficiente allontanarsi anche di poco dall’ombrello della nostra atmosfera per accorgersi che le cose non sono così semplici. Confrontato con la maggior parte delle stelle che ci circondano, il nostro Sole sembra essere particolarmente tranquillo, ma è comunque ben lontano dall’immutabilità tributatagli dai miti.

Più che ad una immutabile sfera luminosa, il Sole somiglia a una pentola di sugo che sobbolle: ogni tanto qualche schizzo d’olio si solleva più vivacemente degli altri, finendo fuori dalla pentola. Se arriva sulle mani, brucia. Allo stesso modo, ogni tanto qualche bolla di plasma risale dagli strati più profondi della nostra stella, un po’ più grande delle altre e un po’ più rapida. Le complicate e non del tutto chiare interazioni con il campo magnetico solare fanno il resto, fornendo spettacoli pirotecnici come i brillamenti e le protuberanze solari, e a volte lanciando nello spazio getti di particelle a velocità considerevoli. Se la Terra incrocia uno di questi getti di particelle, l’interazione di queste ultime con il campo magnetico terrestre e con l’atmosfera provoca una tempesta geomagnetica. Quando ci va bene questa ci offrirà l’affascinante spettacolo delle aurore boreali e australi. Se diventa un po’ più forte cominciano i guai per tutto ciò che ha a che fare con la corrente elettrica.

La superficie solare fotografata dal Daniel K. Inouye Solar Telescope, situato alle Hawaii. Le immagini ad altissima risoluzione di questo telescopio, ricomposte a formare dei filmati, evidenziano molto bene il movimento del plasma più caldo che sale dagli strati più profondi e di quello meno caldo che ridiscende. (Foto: NSF/NSO nso.edu)

Perdere quaranta satelliti in un colpo solo? Si può

Lo sa bene Elon Musk, fondatore di SpaceX, che venerdì 4 febbraio in pochissime ore ha perso quaranta satelliti del programma Starlink (su un totale di 49 lanciati). Questo incidente così dispendioso è stato il frutto di una sfortunata coincidenza: una tempesta geomagnetica ha sorpreso i satelliti in una fase molto delicata della loro messa in orbita, nella quale si sono dimostrati particolarmente vulnerabili. Però è anche vero che l’evento che li ha sorpresi non è eccezionale, è stato a malapena catalogato come tempesta geomagnetica in senso stretto. Eventi come quello accadono anche più volte al mese, soprattutto quando il Sole è nella fase più attiva del suo ciclo undecennale, come in questi ultimi mesi.

I satelliti coinvolti erano ancora vicinissimi alla Terra, a una quota di circa 200 km (la Stazione Spaziale Internazionale, per confronto, orbita a più di 400 km di altezza). Quella quota è stata già sufficiente ad esporli alla tempesta – essendo ormai fuori dalla maggior parte della protezione offerta da atmosfera e campo magnetico terrestri. Purtroppo, a differenza dei satelliti più alti che hanno superato l’evento semplicemente rimanendo in stand-by, proprio gli effetti dell’attività solare su quegli ultimi scampoli di atmosfera che ancora si trovano a quella quota così bassa, hanno compromesso definitivamente la traiettoria dei satelliti appena lanciati. Incapaci di riguadagnare quota, non hanno potuto fare altro che ricadere verso terra, disintegrandosi in atmosfera, come stelle cadenti.

Quando le particelle di vento solare, incanalate dal campo magnetico terrestre, urtano le molecole dei gas dell’atmosfera, le ionizzano provocando fenomeni luminosi noti come Aurore Boreali nell’emisfero nord, ed Aurore Australi nell’emisfero sud (Foto: pixabay.com).

Nessuno può dirsi al sicuro

I componenti elettronici sono sicuramente i più sensibili alle interferenze elettromagnetiche prodotte dalle tempese geomagnetiche, e i primi a guastarsi per le correnti anomale che queste interferenze possono provocare. Quanto più un’apparecchiatura elettronica è complessa, tanto più sarà sensibile a questo tipo di danni. L’elettronica si può proteggere in molti modi dalle interferenze, ma le protezioni hanno dei limiti e una tempesta geomagnetica abbastanza forte finirà inevitabilmente col superarli e danneggiare qualche componente elettronico mettendo fuori uso l’intera apparecchiatura.

Nepure i più robusti sistemi elettrici ed elettromeccanici sono immuni al problema, soprattutto perché le linee elettriche possono occasionalmente comportarsi come delle gigantesche “antenne”, convogliando nella rete elettrica sbalzi di tensione e correnti anomale ben poco prevedibili e potenzialmene in grado di compromettere anche sistemi tendenzialmente “roubusti” come i grandi trasformatori delle reti di distribuzione elettrica stesse. Si tratta quindi di capire quanto forti possano essere questi eventi.

L’ente federale americano National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha da anni adottato una classificazione delle tempeste geomagnetiche: la Scala G (per Geomagnetic storm). La si potrebbe paragonare alla scala Mercalli dei terremoti, perché classifica gli eventi geomagnetici in funzione dei loro effetti su sistemi elettrici ed elettronici, e su satelliti e altre installazioni orbitali. La scala prevede cinque gradi, indicati in ordine di intensità, da G1 a G5. L’evento che ha “abbattuto” i satelliti della SpaceX è stato classificato a malapena come evento G1. Elencare nella Scala G gli effetti di una tempesta geomagnetica di massima potenza non ha richiesto un grande lavoro speculativo: un evento di categoria G5 si è già verificato in tempi storici.

Settembre 1859: l’Evento di Carrington

Tutto cominciò il primo settembre del 1859, quando due astronomi (Richard Carrington, da cui questo evento ha preso il nome, e Richard Hodgson) individuarono un evento solare che per l’epoca era una novità: un brillamento. Tornando al paragone della pentola di sugo, è un po’ come se dal fondo una bolla particolarmente grossa e calda raggiungesse la superficie quasi integra, senza essersi amalgamata e stemperata negli strati superficiali meno caldi. Gli schizzi di olio sono assicurati, ma all’epoca nessuno se li aspettava. Poche ore dopo il brillamento, le particelle cariche liberate dall’evento investirono il pianeta Terra, cominciando la loro danza con il campo magnetico terrestre e gli strati più alti dell’atmosfera. In quell’occasione vennero documentate, tra le altre cose, aurore boreali visibli dai Caraibi. Le ben più rare e meno luminose aurore australi furono viste dalle coste Australiane.

Gli effetti più rilevanti di quello che è noto come Evento di Carrington però furono quelli riguardanti la rete telegrafica. Nella maggior parte dei casi le comunicazioni rimasero impossibili, e molti operatori si presero violente scosse elettriche cercando di trasmettere. In alcuni casi le tensioni elevate provocarono scariche elettriche spontanee che innescarono alcuni incendi. Curiosamente, lungo alcune linee, le trasmissioni telegrafiche rimasero invece possibili e addirittura molto più forti e chiare del solito… anche con le batterie scollegate!

Eventi straordinari, ma non troppo

Nel 1859 l’elettricità giocava ancora un ruolo marginale nella società. L’Evento di Carrington non ebbe quindi conseguenze gravi, ma nel marzo 1989 la situazione era già molto diversa. In quella data una tempesta geomagnetica colpì nuovamente il pianeta e, pur essendo sensibilmente meno energetica dell’evento di un secolo prima, le conseguenze furono notevoli.

Oltre alla compromissione diffusa della possibilità di comunicare via radio (si era ancora nel periodo della Guerra Fredda, la cosa causò non poche preoccupazioni), ad avere la peggio fu la rete elettrica del Quebec. Lì, per una combinazione di fattori, gli effetti della tempesta geomagnetica furono particolamente intensi, tanto che molte cabine di trasformazione della rete elettrica finirono fuori uso. Le riparazioni si rivelarono particolarmente difficoltose perché nessuno aveva previsto il guasto simultaneo di un così gran numero di componenti; reperire tutti i pezzi di ricambio richiese uno sforzo considerevole.

La perdita di quaranta satelliti in un colpo solo è stato il risultato di una serie di coincidenze abbastanza fortuite, e forse anche di una sottovalutazione del rischio da parte di SpaceX. Oggi il Sole è costantemente sorvegliato, ad esempio dalla sonda SOHO – Solar and Heliospheric Observatory, una collaborazione NASA/ESA – in orbita dal 1996 e dedicata proprio a questo. Esiste anche una vera e propria disciplina chiamata meteorologia spaziale (Space Weather in inglese) che sorveglia l’attività solare e tutto quanto ne consegue. Le tempeste geomagnetiche possono essere previste con svariate ore di anticipo. e l’evento che ha messo fuori uso i satelliti di SpaceX era stato segnalato. Forse si è sottovalutato l’impatto di un evento considerato modesto, ma che è arrivato durante una fase molto delicata della messa in orbita di questi satelliti.

Il disco nero al centro è un diaframma che blocca la luce solare per permettere alla sonda STEREO di fotografare la corona solare. L’arco giallo nella parte bassa è un’emissione di particelle (non dirette verso la Terra) di potenza paragonabile a quella che provocò l’Evento di Carrington. L’immagine è stata ripresa il 23 luglio 2012.
(Foto: NASA/STEREO)

Cosa abbiamo imparato (o no?)

Se dovesse ripetersi oggi ciò che accadde nel 1859 la situazione sarebbe molto più grave. La nostra dipendenza dalle reti elettriche è cresciuta a dismisura, anche rispetto alla situazione del 1989. Da allora è cresciuta a dismisura anche al nostra dipendenza da strumenti sofisticati ben più vulnerabili di un telegrafo ai disturbi elettromagnetici.

La recente carenza di microchip, con tutta la cascata di conseguenze che sta ancora avendo, dovrebbe darci un’idea di quello che potrebbe accadere se dovessimo trovarci con un’enorme quantità di componenti elettriche ed elettroniche da sostituire e contemporaneamente con le fabbriche ferme – quelle stesse fabbrice che questi componenti li dovrebbero produrre e spedire, per non parlare di ciò che potrebbe accadere negli ospedali che si trovassero con apparecchiature guaste e senza rete elettrica per svariate ore. Le conseguenze sociali ed economiche di un evento estremo potrebbero trascinarsi per mesi, o addirittura anni.

Non si sa esattamente con che frequenza possano accadere eventi come quello di Carrington. Il Sole produce brillamenti con discreta frequenza, e quelli potenzialmente in grado di provocare una tempesta geomagnetica paragonabile a quella del 1859 avvengono in media ogni tre o quattro. Non tutti i brillamenti producono anche enormi quantità di particelle cariche, e soprattutto la stragrande maggioranza di queste tempeste solari non punta verso la Terra, ma la situazione non può certo dirsi tranquillizzante. Nulla autorizza a supporre che l’evento di Carrigton sia qualcosa di eccezionale, anzi, tra i dati delle indagini isotopiche storiche e archeoloiche si trovano solidi indizi di eventi anche molto più energetici di quello di un secolo e mezzo fa.

L’attuale pandemia dovrebbe averci insegnato quanto il “se” possa non essere l’approccio più costruttivo nell’affrontare questo tipo di pericoli. Sarebbe più efficace interrogarci sul “quando”. Ovvero: quando accadrà la prossima tempesta geomagnetica di classe G5, ci faremo trovare preparati?

di Giovanni Perini

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