Bacio rubato: tra cronaca e anacronismi

Manutentore che bacia una donna delle pulizie : finiti in tribunale con due versioni diverse della stessa vicenda. Cos’è considerato davvero violenza sessuale e perché un bacio viene minimizzato in situazioni simili

Palazzo di Giustizia Bruno Caccia, Torino
Palazzo di Giustizia Bruno Caccia, Torino.

Pausa caffé. Un turno di lavoro pesante e l’unica cosa che permette alla mente di riposare, o fingere di farlo, è proprio quel caffé preso dalle macchinette al lavoro. È una situazione molto comune a cui tutti possiamo pensare senza troppa difficoltà. È invece molto più difficile pensare alla possibilità che in quell’istante ci venga “strappato” un bacio. Un “bacio rubato” come è stato definito dai giornali e dai mass media. 

Questo è quanto accaduto a Torino 6 anni fa tra una donna, all’epoca 30enne, assunta da un’agenzia di pulizie nel cantiere allestito in zona Falchera, e un uomo, di 10 anni più grande, dipendente presso un’impresa edile come manutentore. I due si incontravano spesso, a quanto sembra, alle macchinette del caffé del container del cantiere usato come spogliatoio e angolo ristoro dagli operai, dove scambiavano ogni tanto due chiacchiere per passare il tempo. Altro dettaglio non impossibile da immaginare. 

Per quanto riguarda il bacio però, quello sembra tutt’altra storia. Di preciso 2 storie e versioni diverse sono state riportate dalle due persone coinvolte.

Perché ne riparliamo dopo 6 anni?

Il fatto in questione, come citato prima, è accaduto nel 2016, ma soltanto l’11 febbraio di quest’anno il giudice Paolo Gallo in un processo lampo, presso il palazzo di giustizia Bruno Caccia, ha stabilito come il fatto non costituisse un reato e avrebbe assolto in formula piena l’imputato dall’anno di reclusione a cui era stato condannato con l’accusa di violenza sessuale

Scossa ancora da quanto accaduto, la donna decise di rivolgersi immediatamente ai responsabili per raccontare tutto. A sostegno di questo anche una testimone disse di averla vista visibilmente provata e in lacrime vicino alle macchinette, pur affermando di stare bene. Nonostante ciò la donna chiese di non lavorare più in quel posto anche se sapeva di rimetterci economicamente. 

Ad un mese dall’episodio, ancora molto turbata dall’accaduto presentò una querela, denunciando l’uomo che si era preso la libertà nei suoi confronti di compiere quel gesto.

Lui: “Era consenziente” vs Lei: “Un bacio rubato”

Come citato in precedenza le due versioni ancora oggi non combaciano. 

L’uomo in sede di testimonianza affermò come, visto che si erano incrociati diverse volte e avevano bevuto diversi caffé insieme, si fosse creata tra loro una certa complicità, tanto che quel giorno la donna gli fece per gioco uno sgambetto. In quello specifico caso la donna, dopo una battuta divertente del manutentore, si era sporta in avanti verso di lui e avrebbe preso l’iniziativa da sola per avvicinarsi e dargli un bacio.

Secondo la donna la vicenda vede uno svolgimento diverso. L’uomo l’avrebbe afferrata alle spalle, strattonandola, per poi voltarla e baciarla dicendole anche “tu per me sei carinissima”

In seguito all’accaduto la donna, ancora sconvolta, intimò l’uomo a parlare di quello che era successo tra loro. Si incontrarono nel piazzale e mentre lei non riusciva ancora a capacitarsi della situazione in cui si trovava, lui in risposta si comportò in modo sgarbato perché: “mi ero già pentito, perché ero sposato e perché cose così, sul posto di lavoro, non si dovrebbero fare.”

L’unica parte identica e confermata da entrambe le parti sembra essere effettivamente l’esistenza del bacio.

Ma una domanda allora sorge spontanea: perché la donna avrebbe dovuto presentare una querela contro il manutentore se l’iniziativa era sua? Perché mentire su un bacio consenziente? 

Questi stessi interrogativi se li è posta anche il pm Fabiola D’Errico, che a sostengo di quest’ultimi mostrava la donna, la quale ancora dopo 6 anni, con ancora segni evidenti di disagio e malessere interiore per l’accaduto che sulla sua pelle e sulle sue labbra sentiva come violenza sessuale.

Si può considerare violenza? 

Riflettendo sulla sentenza finale del giudice che ha espresso come il fatto in sè non fosse reato, una ricerca più approfondita sugli articoli del codice penale italiano ha confermato come venga reputata violenza sessuale qualsiasi azione nei confronti di una persona a cui viene negata la libertà di scelta o in cui viene comunque lesa la libertà sessuale della vittima. 

È circostanza attenuante ad effetto speciale ex art. 63 che ricorre quando […] si ritiene che la libertà personale o sessuale della vittima sia stata compressa in maniera meno grave.”

Perciò tenendo conto di tutti i dati a disposizione e alla vicenda accaduta 6 anni fa a Torino, ci sono tutti gli elementi per comprendere come fosse, in realtà, a tutti gli effetti possibile condannare l’uomo come responsabile di violenza sessuale nei confronti della donna, considerando ovviamente la parola della vittima come veritiera e attendibile.

“L’elemento oggettivo, […] si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso…”

È considerato atto sessuale, e conseguente violenza se non consensuale, anche il compiersi di un atto improvviso, come raccontato dalla donna, a cui non ha potuto reagire o, ancora meglio, che non ha potuto prevenire con la possibilità di manifestare dissenso e disaccordo nei confronti dell’uomo. Togliere alla persona l’opportunità di scegliere per sè stessa senza permetterle di dimostrare e usufruire della propria libertà sessuale e individuale è un’effettiva privazione di qualcosa riconosciuto biologicamente e legalmente come diritto proprio.

È atto sessuale qualsiasi atto che,  […] tra soggetto attivo e soggetto passivo, ovvero in un coinvolgimento della corporeità sessuale di quest’ultimo, sia idoneo e finalizzato a porre in pericolo la libera autodeterminazione della sfera sessuale.”

“Libera autodeterminazione della sfera sessuale“. Parole che ripetute varie volte nella nostra mente risuonano molto rassicuranti e familiari. Ci ricordano che abbiamo la capacità di giudizio critico, di determinare noi stessi con le nostre azioni, come ha fatto la stessa donna vittima di un bacio indesiderato, di un’azione che le è stata imposta.

Avrebbe avuto la stessa pesantezza nel caso l’azione fosse avvenuta in una coppia sposata come nel caso di marito e moglie a Messina. Il marito avrebbe stretto il viso della moglie, bloccandola e imponendole il bacio sulla bocca e, infine, senza permetterle di spostarsi e sfuggire dalla presa. Gesto dell’uomo deciso in preda al panico dopo essere venuto a conoscenza del piano della moglie di porre fine al loro rapporto e allontanarsi da lui.

Non c’è stata violenza fisica o verbale da nessuna delle due parti, “ma non occorre che la violenza sia di forma o veemenza particolare o, men che meno, brutale e aggressiva” come scrive anche l’Huffpost. Ciò che bisogna tenere a mente è proprio che l’azione sia visto come “atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della vittima non consenziente”. L’unica differenza tra queste due vicende è che in questo secondo caso è stato riconosciuto all’uomo di dover contare 2 anni di carcere, ma insieme anche ad altri reati oltre che per l’episodio del bacio.

Perché é contato come violenza sessuale se successo in una coppia sposata e non in un contesto tra due sconosciuti? Solo per le due versioni diverse? Viene il bacio forse minimizzato e non reputato sufficiente per denunciare un atto di violenza sessuale? Quanta sofferenza servità per essere considerati (attendibili) e vedere dei reali provvedimenti verso queste azioni deplorevoli?

Possiamo ancora accettare questo modo di dire?

Alla luce degli eventi sopra riportati, possiamo riflettere sulla concezione di “bacio rubato”. Pensiamo a quante volte nell’immaginario comunque è stato romanticizzato, a quante volte è stato soggetto di opere d’arte, scene di film, narrazioni di libri e poesie.

Un esempio che può venire in mente è il quadro del Settecento in stile Rococò francese di Fragonard, sotto il nome di “Bacio furtivo” e che rappresentava al meglio il suo tempo e una società in costante mutamento. Questo dipinto non venne subito ben visto in quanto il soggetto raffigurato veniva ricollegato a sentimenti e passioni sfuggevoli ed effimere, al piacere, al vizio, a cogliere il momento, l’istante di un corteggiamento senza impegno e superficiale nei momenti che precedevano il matrimonio. 

Il bacio rubato, Jean-Honoré Fragonard, 1788
Il bacio rubato, Jean-Honoré Fragonard, 1788.

È importante tornare indietro nel passato e notare i cambiamenti avvenuti fino ad oggi. Come un dipinto ha segnato un periodo storico, come una semplice azione sia stata vista come irrispettosa verso una tradizione lunga millenni, come una singola persona abbia fatto discutere così tanto, come un gesto possa aver portato a dei cambiamenti. Tratto ricollegabile anche alla nostra società attuale e a quanto si stia continuamente evolvendo la condizione di libertà di parola e opinione. Così come è rivoluzionario anche un “semplice bacio”.

Non è solo un momento che lega due persone, la manifestazione del bene presente nel loro rapporto ma anche il solo e semplice piacere passeggero e superficiale che sa di libertà. È anche uno scambio, personale e intimo di qualcosa che ci appartiene, della nostra personalità e individualità. È una scelta. Una condivisione di istanti che non a tutti concediamo, a cui non facciamo accedere così facilmente, come ciò che di più intimo riguarda la nostra vita e che difendiamo con tutte le nostre forze.

Si può accettare, perciò, di parlare ancora di “bacio rubato” come modo di dire pur essendo qualcosa che avviene contro la nostra volontà? Anche se è un’azione a cui si viene sottoposti senza consenso violando la libertà di scelta a sottrarsi o meno al gesto? Oppure ha senso continuare a preoccuparsi solo di azioni “più” gravi oscurando le altre e la conseguente e diversa sensibilità delle persone?

di Giulia Fontanesi

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