Tre astronauti, due colori, una guerra

Tre astronauti russi arrivano alla Stazione Spaziale Internazionale con vistose divise che sembrano richiamare i colori dell'Ucraina, riaccendendo le polemiche su una guerra le cui conseguenze vanno ben oltre il campo di battaglia

Venerdì 18 marzo, tre astronauti russi decollano dallo Spazioporto Baikonur, con le consuete uniformi blu. Tre ore più tardi, poco prima dell’attracco con la Stazione Spaziale Internazionale, le uniformi sono ancora blu. Al momento del trasbordo dalla Sojuz alla ISS, la sorpresa: le uniformi sono diventate di un vistoso giallo canarino; in blu sono rimasti solo alcuni dettagli, che compongono un abbinamento cromatico molto famigliare in questi giorni: quello della bandiera Ucraina.

Andra Bettini, giornalista di RaiNews24, a pochissime ore dai fatti, riporta l’accaduto su Twitter rilanciando un’immagine tratta dalla diretta della missione. Sul social era già partita una vivacissima polemica sull’accaduto.

Coincidenza? I tre astronauti hanno precisato di sì. Ogni equipaggio sceglie in autonomia le proprie uniformi, solo il caso avrebbe voluto che nel tempo si sia accumulato molto materiale di quel colore: per il nuovo equipaggio della ISS sarebbe dunque stata una scelta quasi obbligata. (Se invece non fosse stata una coincidenza, potrebbero dirlo senza rischiare gravi ritorsioni dal loro governo?).

Precisazione tardiva: Twitter si era già scatenato. Tra chi si complimentava per la scelta coraggiosa e chi faceva notare che quei colori sono anche quelli della Bauman State Technical University di Mosca (dove tutti e tre gli astronauti russi della missione hanno studiato), non poteva certo mancare il commento di Dmitry Rogozin, direttore generale dell’agenzia spaziale russa Roscosmos. Il numero uno del programma spaziale russo ha fatto notare che il giallo può essere semplicemene un colore, per poi accusare l’intero occidente di cospirare contro la Russia e di trasformare ogni cosa in strumento di propaganda.

La reazione al vetriolo del direttore di Roscosmos non deve stupire. Fin dalle prime battute del conflitto ucraino è in corso su Twitter un vero e proprio scontro a colpi di dissing (contrazione dell’inglese disrespecting, parola con cui si indicano, in gergo, i litigi sui social network) tra Rogozin e… il resto del mondo. Il primo arrivando nientemeno che a minacciare di far cadere su Europa o Stati Uniti la Stazione Spaziale Internazionale.

«Un meeting per organizzare l’odio verso il popolo Russo» [traduzione automatica di Twitter dal russo]. Fin dalle prime ore della guerra in Ucraina, il numero uno di Roscosmos, Dmitry Rogozin, si è lanciato in una sua personalissima campagna al vetriolo contro il mondo intero, senza risparmiare quegli stessi social (limitati o bloccati in territorio russo) che gli permettono di portare avanti le sue polemiche. Polemiche che, a parti invertite, gli costerebbero quindici anni di carcere, o peggio.

Per capire da dove deriva questa curiosa minaccia, se essa sia credibile e in che misura, bisogna fare un passo indietro.

Stare in orbita: ovvero, l’arte di buttarsi giù evitando di colpire il terreno

Per mettere in orbita un oggetto non è sufficiente sollevarlo fino all’altezza voluta, è anche necessario che l’oggetto sia accelerato fino ad una velocità sufficiente a compensare, con la forza centrifuga, la forza di gravità terrestre. Se preferite, è necessario che la velocità orbitale dell’oggetto sia tale da far sì che la sua velocità di caduta venga esattamente compensata dalla curvatura della superficie terrestre. In questo modo la sua distanza dal suolo non cambia mai. Un satellite è quindi in caduta libera, ma cade evitando di colpire il terreno. Entrambe le formulazioni del problema conducono allo stesso risultato: ad ogni altezza orbitale corrisponde una precisa velocità alla quale l’orbita rimane stabile.

Un oggetto in orbita può essere visto come un oggetto in caduta libera con una velocità “laterale” (orbitale) tale per cui la curvatura terrestre compensa esattamente la sua velocità di caduta. Questa formulazione del concetto di orbita consente di descrivere matematicamente le orbite senza ricorrere al concetto di forza centrifuga. (Immagine: schoolphysics.org modificata)

Il problema di fondo è che alla quota a cui orbita la ISS l’atmosfera non è ancora completamente assente. Questo fa sì che l’attrito con i gas che ancora si trovano a quella quota, per quanto minimo sia, tende a rallentare la stazione spaziale, che quindi necessita di regolari aggiustamenti d’orbita. A ciò si uniscono la necessità di mantenere l’assetto e gli occasionali spostamenti per evitare eventuali detriti spaziali. Il risultato è che la ISS ha bisogno di propulsori sempre a disposizione. Questi propulsori sono, in pratica, delle navette Sojuz costantemente attraccate alla stazione.

Nei più di vent’anni di vita della stazione si sarebbe formata una sorta di divisione dei compiti, con la NASA responsabile della parte elettrica ed elettronica, e la Roscosmos della parte di movimentazione di uomini e materiali, e del mantenimento di orbita e assetto. Questa complementarietà sarebbe però andata a scapito della interoperabilità tra le parti: se il conflitto in Ucraina arrivasse a causare un’interruzione della collaborazione della Roscosmos, la ISS rimarrebbe ben presto priva della possibilità di manovrare e mantenere la sua orbita.

Minaccia credibile, o no?

La minaccia non sembra in realtà molto credibile, per almeno due ragioni. Stando a quanto dichiarato dall’astronauta veterano (ora in pensione) Scott Kelly in un’intervista alla CBS, Rogozin sarebbe «sempre stato un buffone» («always been a clown») ma nella realtà dei fatti il suo potere decisionale sarebbe molto più limitato di quanto non si possa pensare.

La seconda buona ragione per cui la minaccia non sembra credibile ce la offre Elon Musk, che quando c’è da far gazzarra su Twitter raramente si tira indietro. A una domanda (retorica) di Rogozin su chi avrebbe tenuto in orbita la ISS senza la Roscosmos, il magnate sudafricano ha risposto con la sua consueta sobrietà, suggerendo che un’alternativa alla Sojuz potrebbe in fondo esserci.

«[…]. Se bloccate la cooperazione con noi, chi salverà la ISS da una discesa incontrollata e da una caduta sugli USA o…» [Traduzione autamatica di Twitter dal russo]

La navetta Crew Dragon di SpaceX già nel 2020 ha dimostrato di poter trasportare astronauti fino alla ISS. Secondo Elon Musk sarebbe anche in grado di sostituire le Sojuz nel compito di mantere in orbita la stazione. Operazione delicata e costosa, e che sarebbe soprattutto preferibile non dover improvvisare, ma non impossibile. Insomma, come ha fatto notare anche Scott Kelly, se la Roscosmos si sfilasse dalla collaborazione internazionale, più che la ISS a rischiare sarebbe il posto di lavoro di Rogozin, visto che il programma spaziale russo non sembra prevedere molto altro oltre alla suddetta collaborazione.

C’è dunque ragione per essere ottimisti riguardo al futuro della stazione spaziale, tanto più che lo spazioporto da cui decollano le Sojuz tecnicamente non si trova neppure in Russia, per ragioni molto pragmatiche.

Spazioporti e guerra: anche la geografia conta

La rotazione terrestre può aiutare a raggiungere la velocità orbitale, con grande risparmio di carburante per i lanci. La velocità lineare di rotazione della Terra è massima all’equatore (poco meno di 1700 chilometri orari), e proprio per questo gli spazioporti sono tendenzialmente costruiti alle latitudini più basse. Quello statunitense si trova in Florida (Kennedy Space Center, circa 28° nord), quello europeo a Korou, nella Guiana Francese (CGS, Centre Spatial Guyanais, circa 5° nord), quello italiano in Kenia, vicino a Malindi (“Luigi Broglio” Space Center, circa 3° sud, attualmente svolge solo attività di tracciamento e comunicazione).

L’ingegner Luigi Broglio (1911-2001), pioniere dell’astronautica italiana, cui oggi è intitolato lo spazioporto italiano in Kenia. Da lui fortemente voluto, e poi diretto per diversi anni, nonostante la sua posizione molto favorevole, lo spazioporto italiano è oggi largamente sottoutilizzato. L’ultimo lancio è avvenuto nel 1988 e oggi si limita alle sole operazioni di comuinicazione e tracciamento dei satelliti.

Lo spazioporto usato dall’ente spaziale russo (Baikonur Cosmodrome) si trova in Kazakistan, più o meno alla stessa latitudine di Milano. La sua posizione, a circa 46° nord, non è forse ideale ma può comunque contare su una velocità lineare di rotazione terrestre di circa 1100 chilometri orari. Questo sito, scelto ai tempi dell’Unione Sovietica, non si trova in territorio russo, ed è ora affittato dall’ente spaziale di Mosca.

Vero è che il Kazakistan ha un rapporto molto stretto con la Russia. Fa infatti parte di una confederazione di mutua difesa omologa alla NATO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), che proprio a gennaio di quest’anno è intervenuta per una rivolta interna al Kazakistan stesso, causata da una lunga e profonda crisi economica tuttora irrisolta. Tuttavia lo spazioporto della Roscosmos rimane defilato dal conflitto, in una nazione che è almeno formalmente neutrale.

Così, mentre il dissing su Twitter continua a dare spettacolo, continua anche la collaborazione internazione che tiene attiva la ISS. Le prossime missioni sono ancora tutte a calendario, compresa quella che ad aprile riporterà nello spazio anche la nostra Cristoforetti.

È invece stata sospesa la missione ExoMars, che prevedeva il lancio dallo spazioporto europeo CSG ma con vettore russo. La decisione, comunicata il 17 marzo, si è resa necessaria in seguito alla decisione di Roscosmos di ritirare tutto il suo personale dallo spazioporto della Guyana Francese. Nel comunicato stampa, l’ESA ha anche precisato di aver iniziato a lavorare alla ricerca di altre opzioni per il proseguimento del progetto.

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